LA REPUBBLICA del 5 settembre 2012 

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Se entrare nel merito aiuta a neutralizzare le urla, facciamolo. Ciò che meno condivido e meno capisco, nella cultura politica delle Cinque Stelle, è il terrore quasi superstizioso della politica come mestiere. Il mito del cittadino che si fa carico in proprio della cosa pubblica, cioè si autoelegge e poi si autodistrugge (massimo due mandati!) per non correre il rischio di divenire egli stesso parte della "casta", è suggestivo e perfino attraente, perché ravviva antichi sogni di democrazia diretta e di autogoverno. Ma ha un limite grave, e in questa fase storica gravissimo: ostacola la formazione di una nuova, vera classe dirigente, che non può nascere al di fuori di un percorso solidamente e direi duramente professionale (equo stipendio compreso). Che i meccanismi di selezione e ricambio della politica italiana siano decisamente inceppati è verissimo, e un Parlamento di nominati ne è la dimostrazione lampante. Ma una società già di suo precarizzata, che sta distruggendo i mestieri e le competenze, perché mai dovrebbe darsi una classe politica ugualmente precaria? Infine: ridurre i tempi di permanenza al potere riduce anche il rischio di disonestà? Il ladro, in così poco tempo, avrà solo più fretta di rubare. L´onesto, per un anno o per venti, servirà i suoi elettori con lo stesso rigore. 

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