LA REPUBBLICA del 6 settembre 2012 

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Sono uno dei (tanti) tifosi di Alessandro Del Piero, è un uomo intelligente e sereno, non credo che Andrea Agnelli abbia l’esatta misura di quello che la sua Juventus ha perduto congedando, con Del Piero, un pezzo di se stessa. Ora se ne va in Australia, e solamente lui può dire se a tracciare una rotta così lunga, e così insolita per un calciatore, sia un contratto irresistibile, lo spirito migrante dei veneti o il desiderio di trovare, per i suoi tre figli, un luogo dove il futuro ha qualche consistenza in più, rispetto al nostro ansimante sopravvivere. Certo è che dire “Del Piero a Sidney” è un piccolo indizio in più per valutare le nostre ristrettezze, forse anche le nostre decrepitezze. Non siamo un paese per giovani (meglio, potendo, fare studiare i figli altrove) ma neanche per vecchi, visto che un campione di trentotto anni (appena uno in più di Matteo Renzi) pur essendo una celebrità planetaria è stato messo in esubero dalla sua società come un qualunque dipendente non previsto dai piani aziendali. Lo scontro generazionale è dunque un falso storico: quando un paese perde voglia di fare, di cambiare e di inventare, non c’è età che regga il colpo, e ci si deprime tutti assieme, i vecchi e i giovani. 

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