UN CRIMINE che avviene in un luogo affollato ha centinaia di testimoni attendibili. Ma non è questo il caso della bomba carta esplosa nello stadio Olimpico a Torino, né di qualunque altro atto violento o illegale commesso da o tra curvaioli. Per ricostruire la dinamica di quel botto, gli inquirenti devono sperare nei filmati o in una “soffiata” imprevista e insperata. Perché vige, in quei luoghi, la stessa omertà che offusca la vista e la favella nei quartieri di malavita, e gli inquirenti possono trovare nei protagonisti (comprese le vittime) ben poca collaborazione. Sono mondi, quelli, autoregolati, che non conoscono altra legge e altra parola al di fuori della propria. Perfino l’odio per il fronte avverso non vale a collaborare con gli “sbirri”: molto difficilmente un ultrà denuncerebbe un ultrà avversario, perché vorrebbe dire appaltare ad altri lo scopo stesso di quegli assembramenti maschili, che è il continuo regolamento dei conti tra tribù.
Centinaia di migliaia di italiani, forse milioni (me compreso) non mettono più piede in uno stadio perché non lo riconoscono più come un luogo pubblico. Gli ultrà lo hanno privatizzato. La sola maniera di smuovere i ponzipilati che gestiscono il calcio è prenderli per fame vuotando gli stadi. Già adesso sono così disposti: le due curve fumiganti e vomitanti insulti, una sparuta tribuna centrale di signori eleganti, e tutto il resto vuoto.