L’AMACA di Michele Serra del 10/01/2016
Ho visto il film di Checco Zalone e mi è piaciuto parecchio. È ben pensato, ben scritto, ben girato, ben recitato, è divertente con chiazze di malinconia come dev’essere un film comico che si rispetti. Si legge e si sente dire da parecchie parti che questo film, e il lavoro di Zalone in generale, dispiacerebbero ai radical-chic. Non essendo un radical-chic ma un pennivendolo marcatamente pop (sono stato anche autore di un paio di Sanremo) non ho idea di che cosa passi per la testa dei radical-chic, e perché mai dovrebbero detestare Zalone. Il suo personaggio di italiano figlio di mamma, pastasciuttaro e innamorato del posto pubblico mi sembra semmai nel solco (certo non populista, anche se molto popolare) della commedia all’italiana classica, alla Sordi, tra i cui sceneggiatori e registi c’erano un sacco di comunisti con le case piene di libri, che per mestiere prendevano per i fondelli il popolo, proprio come oggi fa Zalone. Credo di poter dire che buona parte del dibattito sul film di Zalone sia di livello molto inferiore rispetto al film che lo ha innescato. È nutrito di frasi fatte sulla destra, la sinistra, i radical-chic, la comicità, la satira. È pretestuoso e autoriferito, con un sacco di gente che non parla del film ma dei fatti propri. Spesso, del resto, gli artisti faticano (e rischiano la faccia) e gli altri chiacchierano. Se fossi Zalone-Nunziante, per il prossimo film di Zalone prenderei ispirazione dal dibattito sui film di Zalone.
L’AMACA di Michele Serra del 29/04/2015
UN CRIMINE che avviene in un luogo affollato ha centinaia di testimoni attendibili. Ma non è questo il caso della bomba carta esplosa nello stadio Olimpico a Torino, né di qualunque altro atto violento o illegale commesso da o tra curvaioli. Per ricostruire la dinamica di quel botto, gli inquirenti devono sperare nei filmati o in una “soffiata” imprevista e insperata. Perché vige, in quei luoghi, la stessa omertà che offusca la vista e la favella nei quartieri di malavita, e gli inquirenti possono trovare nei protagonisti (comprese le vittime) ben poca collaborazione. Sono mondi, quelli, autoregolati, che non conoscono altra legge e altra parola al di fuori della propria. Perfino l’odio per il fronte avverso non vale a collaborare con gli “sbirri”: molto difficilmente un ultrà denuncerebbe un ultrà avversario, perché vorrebbe dire appaltare ad altri lo scopo stesso di quegli assembramenti maschili, che è il continuo regolamento dei conti tra tribù.
Centinaia di migliaia di italiani, forse milioni (me compreso) non mettono più piede in uno stadio perché non lo riconoscono più come un luogo pubblico. Gli ultrà lo hanno privatizzato. La sola maniera di smuovere i ponzipilati che gestiscono il calcio è prenderli per fame vuotando gli stadi. Già adesso sono così disposti: le due curve fumiganti e vomitanti insulti, una sparuta tribuna centrale di signori eleganti, e tutto il resto vuoto.