LA REPUBBLICA del 8 giugno 2012
È già stato scritto (con particolare efficacia da Curzio Maltese, ieri su questo giornale) che molti gesti di questa classe politica paiono ispirati da una vocazione invincibile all´autodistruzione. Vedi la ottusa lottizzazione (Pd, Pdl, Udc) dell´Agcom e il salvataggio puramente castale di un personaggio insalvabile come il senatore Di Gregorio: atti ovviamente destinati a ingrossare l´esercito dei non votanti, o dei votanti per chiunque si distingua, a qualunque titolo, dalla congregazione politicante. Se ne scrive, in genere, con rammarico, di questo prolungato tentativo di suicidio. Ma in giornate come quella di ieri, anche il rammarico rischia di cedere il passo a una più rassegnata e forse serena presa d´atto. E perfino quelli come me, che nel ruolo dei partiti hanno sempre creduto, che disprezzano il mugugno sordo e meschino del "sono tutti uguali", che hanno decisamente paura di una eventuale Italia post-partitica, si domandano fino a quando, e soprattutto perché, ci toccherà, nel nome della politica, difendere chi della politica ha fatto carne di porco. Se è servire la Repubblica e la Costituzione, ciò che davvero conta, perché mai una legislatura che prima produce e poi difende i Di Gregorio deve farci meno paura di un domani incerto?
LA REPUBBLICA del 28 giugno 2012
Se tutti “seguono”, chi dirige? Se lo chiede Thomas Friedman sul New York Times e su questo giornale (ieri), in un eccellente editoriale, “Il potere dei followers”, nel quale ragiona sulla coincidenza, non casuale, tra trionfo dei nuovi media e crisi delle leadership mondiali. Classi dirigenti risucchiate dall’ossessione di “piacere alla gente”, e condannate a saperlo in tempo reale, non sono più in grado di concentrarsi sul diritto-dovere di fare scelte e fare programmi (cioè di fare il proprio mestiere di classe dirigente) senza farsi schiacciare da quel costante aggiornamento sulle opinioni e le emozioni di massa che sono Twitter, Facebook e i media sociali in genere. È come se ogni gesto, ogni parola fosse continuamente sotto il ricatto di un fischio o di un applauso. A quanto scrive Friedman va aggiunto che i media sociali sono al tempo stesso causa ed effetto di un nuovo tipo di democrazia diretta che si considera tanto più efficiente e virtuosa quanti più “followers” e “mi piace” riesce a rastrellare, ovvero quanto più “uguale a me” risulta essere il mondo. Ma, forse per un vecchio equivoco, credo che la forza della democrazia non è permettermi di votare per chi è uguale a me, ma per chi è migliore di me.
LA REPUBBLICA del 13 giugno 2012
La demagogia è sempre detestabile. Ma diventa un rischio inevitabile in un Paese che sembra ormai strutturalmente propenso a punire i deboli sempre e ovunque, come se un neo-classismo strisciante (e non si capisce quanto cosciente) ne pilotasse le scelte. Per esempio: non ho le cognizioni tecnico-amministrative per sapere se siano davvero così “inevitabili” i tagli alle linee regionali (cioè ai treni dei pendolari) minacciati dall’amministratore delegato di Trenitalia, Moretti, che batte cassa con lo Stato inadempiente e lamenta l’antieconomicità del servizio. Ma basta viaggiare spesso in questo Paese per sapere che la forbice tra “i treni dei signori” (Guccini) e quelli della gente comune si è, negli ultimi anni, spaventosamente allargata. Nonostante ripetuti tagli dei cosiddetti “rami secchi” (come se la grande maggioranza degli italiani vivesse a Milano o a Roma e non nei centri medi e piccoli), il servizio è costantemente peggiorato, e la luccicante e sontuosa vetrina Tav non fa che rendere sempre più precari e ansimanti, per contrasto, gli altri convogli. Impossibile che Moretti non lo sappia, a meno che non abbia mai viaggiato sui suoi treni. Sbalorditivo che non colga, se non altro per diplomazia, quanto scontatamente ideologico sia tagliare sempre in basso.
LA REPUBBLICA del 3 luglio 2012
Si capisce che non è al sindaco Alemanno che si deve chiedere ragione della svastica al Circo Massimo, e in generale del rosario di svastiche, fasci littori e croci celtiche che impavesano da molti anni l’Olimpico, e dell’onnipresente iconografia fascista (perfino nello stile grafico dei manifesti murali) che sborda un poco ovunque nella città visivamente più fascista d’Europa, dopo Latina. Diciamo che non è la persona giusta, il sindaco, per affrontare il fenomeno con qualche speranza di autorevolezza, perché ognuno ha la sua storia e non è che a cinquant’anni suonati Alemanno se ne possa inventare un’altra. Ma che il problema esista sarebbe ora di dirselo con franchezza, anche perché Roma, oltre a essere sede della Roma e della Lazio, è anche e non secondariamente la capitale d’Italia, a Roma ci sono il Quirinale, il palazzo del governo, le due Camere, un sacco di ministeri, e insomma che nutriti drappelli di nazisti, di picchiatori di omosessuali, di antisemiti si radunino oggi qui e domani là, sentendosi a casa loro come circoli dopolavoristi o cicloturisti, non è una cosa normalissima. Non è colpa di Alemanno, per carità. Ma qualcuno dovrà pure occuparsene. In sua vece.
LA REPUBBLICA del 14 giugno 2012
È in atto un “attacco militare” per la “liquidazione dei centri di resistenza all’omologazione”, allo scopo di “normalizzare dall’alto l’Italia”. Chi lo scrive? Anarchici? Circoli neopunk? Okkupanti? Cesare Battisti intervistato da Toni Negri sulla spiaggia di Rio (o viceversa)? Macché. Questa prosa insurrezionale appartiene — incredibile ma vero — al plurigovernatore di Lombardia Roberto Formigoni. Uno che è passato dalla Prima Comunione al potere senza neanche fare un salto a casa per salutare la famiglia. Uno che è riuscito a mettere insieme, pezzo dopo pezzo, potere politico, potere economico, potere curiale, tanto da fare credere ai suoi milioni di parrocchiani, e probabilmente credere egli stesso, di aver gestito la regione più ricca d’Europa, per decenni, in seguito a qualche remota investitura spirituale. Uno consustanziale a Ligresti, al San Raffaele, all’Expo prima spacciato per “agricolo” (ah ah ah!) e poi coltivato a calcestruzzo. E uno così ha il coraggio di definire il proprio potere “centro di resistenza all’omologazione”??!! Ma non erano molto meglio, dico, i Gava, i Lima, gli Andreotti, i democristi di potere e di appalto, padroni e padrini delle città, nessuno dei quali si è mai sognato di sentirsi “resistente” ad alcunché? Tutta gente omologatissima, pace all’anima loro, che almeno non ci prendeva per i fondelli?
LA REPUBBLICA del 4 luglio 2012
Un senatore che si chiama Bodega è stato molto sbertucciato sul web perché ha sbagliato un congiuntivo parlando a Palazzo Madama. Non si vede dove stia la notizia: questa legislatura è ricca di onorevoli (specie leghisti e dipietristi) che hanno problemi già con l’indicativo, non si può pretendere che padroneggino addirittura il congiuntivo. Piuttosto, si è avuto modo di sapere, a margine del discorso di Bodega, che costui, eletto nella Lega, oggi fa parte di un raggruppamento politico che si chiama, ve lo giuro, Siamo Gente Comune. (Il solo precedente politico noto è “Semo gente de borgata” dei Vianella). Immagino che questa gioiosa rivendicazione di ordinarietà, nelle intenzioni del Bodega e dei suoi compagni di strada, giustifichi e anzi rivendichi un parlato molto spiccio: è gente che lavora, non ha mica tempo da perdere con quel tipico espediente da radicalchic che è il congiuntivo. Il problema è che la gente comune, proprio perché sa quanto sia faticoso e importante esprimersi bene, si è via via affidata, nei secoli, a tribuni dall’oratoria trascinante, leader di alto profilo intellettuale, oratori in grado di affrontare alla pari i rappresentanti delle classi privilegiate. In sintesi: perché la gente comune, con tutti gli svantaggi che ha, dovrebbe anche farsi rappresentare in Parlamento dal senatore Bodega?
LA REPUBBLICA del 15 giugno 2012
Leggendo del caso Penati e del cosiddetto “sistema Sesto”, si cerca (invano) traccia di una qualche percepibile differenza rispetto ad altri “Sistemi”. Non sto parlando solo del tasso di (il) legalità, degli eventuali reati commessi, delle violazioni delle norme sugli appalti pubblici. Parlo delle differenze politiche: se cioè gli attori della vicenda (amministratori e imprenditori) avessero in testa un’idea di città, di società, di destinazione delle aree dismesse, riconoscibile come “di sinistra”. Perché – dico un’ovvietà – il rispetto delle leggi è importante, ma è una precondizione uguale per tutti. È la politica, invece, che dovrebbe essere diversa per tutti, costruire alternative di sistema, immaginare paesaggi differenti, mutare il peso dei poteri (e se si è di sinistra, mutarlo a vantaggio dei poteri deboli). È grave che si rubi, ma è almeno altrettanto grave accorgersi che si ruba non solo tutti alla stessa maniera, ma tutti per gli stessi identici scopi, gli stessi appalti, lo stesso futuro identico al presente. Per dirla schematicamente e brutalmente, una sinistra ladra è colpevole quanto una destra ladra; ma una sinistra incapace di rubare per ragioni differenti, e con scopi differenti, è colpevole il doppio.
LA REPUBBLICA del 5 luglio 2012
La deragliante tirata polemica del presidente del Napoli Calcio, De Laurentiis, contro i giornalisti sportivi, avrebbe potuto riscuotere — nonostante i modi — anche parecchi consensi: perché il capo d’accusa di De Laurentiis è che la stampa sportiva si interessa solo di contratti, compensi, trame economiche. Ossessionata dai soldi come la nostra società nel suo complesso. E dunque, mentre De Laurentiis sbraitava, uno si aspettava che, da un momento all’altro, indicasse ai giornalisti, a mo’ di sprone, le tante belle cose che lo sport sa raccontare. Il lato umano. L’epopea. Il romanzo. Ma ecco che — colpo di scena — De Laurentiis, allontanandosi furente, si volta di scatto e sibila, come drammatico finale della sua scena madre, questa memorabile frase: “Fate lievitare i costi! ”. Ma come? Noi si sperava che la sua ribellione contro la dittatura del denaro, pur non essendo egli un comunista, né un comboniano, e nemmeno un fautore del cinema d’essai, povero ma bello, potesse sfociare in un sublime monito morale, di quelle frasi da far leggere ai giovani. E invece: era incazzato perché calciatori e procuratori, leggendo certe cifre sul “Corriere dello sport”, alzano le pretese. Insomma, aveva in testa i quattrini: manco fosse un giornalista sportivo…
LA REPUBBLICA del 29 giugno 2012
Se davvero – come scrive l’Espresso in edicola basandosi su un’inchiesta della magistratura – il “mariuolo” Mario Chiesa fosse diventato “referente della Lega Nord negli ospedali lombardi”, Tangentopoli potrebbe finalmente passare agli archivi come la beffa suprema ai danni di quegli italiani onesti che si illusero – ai tempi – di poter vivere in un paese a loro misura. E alla caduta di Craxi, e dei suoi “mariuoli”, manifestarono, accesero fiaccole, esultarono come per una seconda Liberazione. Pensate se, vent’anni fa, qualcuno avesse detto loro che Mario Chiesa, allora simbolo assoluto del malaffare politico, passata la buriana non solo sarebbe risorto politicamente, ma lo avrebbe fatto come “referente” d’affari della Lega, che allora era il partito della forca, del repulisti, delle zero garanzie per gli imputati. La Lega e i suoi giornalisti di riferimento usarono le parole, ai tempi, come le querce in Alabama, per appenderci la gente senza processo. Ora chiedono – per se stessi e per i loro amici – molte più garanzie di quante erano disposti a concedere agli imputati di vent’anni fa. Vedi come è diversa, la giustizia, vista sotto la quercia o sopra.
LA REPUBBLICA del 16 giugno 2012
Fa simpatia il nuovo sindaco di Parma, il pallido Pizzarotti, che per raccomandarsi a qualche santo dei dintorni si insedia citando Guareschi. La citazione è un po’ goffa, ma congrua: “nel suo mondo alcune figure si scontrano, ma poi arrivano al bene dei cittadini”. Voleva dire che Peppone e don Camillo litigano su tutto, ma sulle grandi scelte, quelle che mettono in gioco la dignità e l’identità dell’intera comunità, si ritrovano alleati. È una versione nobile (e letteraria) di quello che oggi si chiama “consociativismo”. Fa specie, la citazione, in bocca al primo sindaco importante di un movimento che ha fatto sfracelli maledicendo i compromessi, minacciando sfracelli, rifiutando qualunque tipo di alleanza o apparentamento. Così, del resto, è il potere: se si è stupidi rende più arroganti, se si è intelligenti rende più umili, perché se ne percepisce il peso. Quando ero giovane giudicavo malissimo il rivoltoso che entrando a Palazzo abbassava la cresta, cambiava tono e atteggiamento. Pensavo al tradimento. Con gli anni, si arriva a capire che è fisiologico debuttare da rivoluzionari e governare da riformatori. Pizzarotti merita tutti i nostri auguri. Anche perché governa una città difficile e poco affidabile: prima di lui i parmigiani avevano eletto la maggioranza più incapace e corrotta del pianeta. Non so se lo meritano, Pizzarotti.