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LA REPUBBLICA del 3 luglio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Si capisce che non è al sindaco Alemanno che si deve chiedere ragione della svastica al Circo Massimo, e in generale del rosario di svastiche, fasci littori e croci celtiche che impavesano da molti anni l’Olimpico, e dell’onnipresente iconografia fascista (perfino nello stile grafico dei manifesti murali) che sborda un poco ovunque nella città visivamente più fascista d’Europa, dopo Latina. Diciamo che non è la persona giusta, il sindaco, per affrontare il fenomeno con qualche speranza di autorevolezza, perché ognuno ha la sua storia e non è che a cinquant’anni suonati Alemanno se ne possa inventare un’altra. Ma che il problema esista sarebbe ora di dirselo con franchezza, anche perché Roma, oltre a essere sede della Roma e della Lazio, è anche e non secondariamente la capitale d’Italia, a Roma ci sono il Quirinale, il palazzo del governo, le due Camere, un sacco di ministeri, e insomma che nutriti drappelli di nazisti, di picchiatori di omosessuali, di antisemiti si radunino oggi qui e domani là, sentendosi a casa loro come circoli dopolavoristi o cicloturisti, non è una cosa normalissima. Non è colpa di Alemanno, per carità. Ma qualcuno dovrà pure occuparsene. In sua vece. 

LA REPUBBLICA del 14 giugno 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
È in atto un “attacco militare” per la “liquidazione dei centri di resistenza all’omologazione”, allo scopo di “normalizzare dall’alto l’Italia”. Chi lo scrive? Anarchici? Circoli neopunk? Okkupanti? Cesare Battisti intervistato da Toni Negri sulla spiaggia di Rio (o viceversa)? Macché. Questa prosa insurrezionale appartiene — incredibile ma vero — al plurigovernatore di Lombardia Roberto Formigoni. Uno che è passato dalla Prima Comunione al potere senza neanche fare un salto a casa per salutare la famiglia. Uno che è riuscito a mettere insieme, pezzo dopo pezzo, potere politico, potere economico, potere curiale, tanto da fare credere ai suoi milioni di parrocchiani, e probabilmente credere egli stesso, di aver gestito la regione più ricca d’Europa, per decenni, in seguito a qualche remota investitura spirituale. Uno consustanziale a Ligresti, al San Raffaele, all’Expo prima spacciato per “agricolo” (ah ah ah!) e poi coltivato a calcestruzzo. E uno così ha il coraggio di definire il proprio potere “centro di resistenza all’omologazione”??!! Ma non erano molto meglio, dico, i Gava, i Lima, gli Andreotti, i democristi di potere e di appalto, padroni e padrini delle città, nessuno dei quali si è mai sognato di sentirsi “resistente” ad alcunché? Tutta gente omologatissima, pace all’anima loro, che almeno non ci prendeva per i fondelli? 

LA REPUBBLICA del 4 luglio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Un senatore che si chiama Bodega è stato molto sbertucciato sul web perché ha sbagliato un congiuntivo parlando a Palazzo Madama. Non si vede dove stia la notizia: questa legislatura è ricca di onorevoli (specie leghisti e dipietristi) che hanno problemi già con l’indicativo, non si può pretendere che padroneggino addirittura il congiuntivo. Piuttosto, si è avuto modo di sapere, a margine del discorso di Bodega, che costui, eletto nella Lega, oggi fa parte di un raggruppamento politico che si chiama, ve lo giuro, Siamo Gente Comune. (Il solo precedente politico noto è “Semo gente de borgata” dei Vianella). Immagino che questa gioiosa rivendicazione di ordinarietà, nelle intenzioni del Bodega e dei suoi compagni di strada, giustifichi e anzi rivendichi un parlato molto spiccio: è gente che lavora, non ha mica tempo da perdere con quel tipico espediente da radicalchic che è il congiuntivo. Il problema è che la gente comune, proprio perché sa quanto sia faticoso e importante esprimersi bene, si è via via affidata, nei secoli, a tribuni dall’oratoria trascinante, leader di alto profilo intellettuale, oratori in grado di affrontare alla pari i rappresentanti delle classi privilegiate. In sintesi: perché la gente comune, con tutti gli svantaggi che ha, dovrebbe anche farsi rappresentare in Parlamento dal senatore Bodega? 

LA REPUBBLICA del 15 giugno 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Leggendo del caso Penati e del cosiddetto “sistema Sesto”, si cerca (invano) traccia di una qualche percepibile differenza rispetto ad altri “Sistemi”. Non sto parlando solo del tasso di (il) legalità, degli eventuali reati commessi, delle violazioni delle norme sugli appalti pubblici. Parlo delle differenze politiche: se cioè gli attori della vicenda (amministratori e imprenditori) avessero in testa un’idea di città, di società, di destinazione delle aree dismesse, riconoscibile come “di sinistra”. Perché – dico un’ovvietà – il rispetto delle leggi è importante, ma è una precondizione uguale per tutti. È la politica, invece, che dovrebbe essere diversa per tutti, costruire alternative di sistema, immaginare paesaggi differenti, mutare il peso dei poteri (e se si è di sinistra, mutarlo a vantaggio dei poteri deboli). È grave che si rubi, ma è almeno altrettanto grave accorgersi che si ruba non solo tutti alla stessa maniera, ma tutti per gli stessi identici scopi, gli stessi appalti, lo stesso futuro identico al presente. Per dirla schematicamente e brutalmente, una sinistra ladra è colpevole quanto una destra ladra; ma una sinistra incapace di rubare per ragioni differenti, e con scopi differenti, è colpevole il doppio. 

LA REPUBBLICA del 5 luglio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La deragliante tirata polemica del presidente del Napoli Calcio, De Laurentiis, contro i giornalisti sportivi, avrebbe potuto riscuotere — nonostante i modi — anche parecchi consensi: perché il capo d’accusa di De Laurentiis è che la stampa sportiva si interessa solo di contratti, compensi, trame economiche. Ossessionata dai soldi come la nostra società nel suo complesso. E dunque, mentre De Laurentiis sbraitava, uno si aspettava che, da un momento all’altro, indicasse ai giornalisti, a mo’ di sprone, le tante belle cose che lo sport sa raccontare. Il lato umano. L’epopea. Il romanzo. Ma ecco che — colpo di scena — De Laurentiis, allontanandosi furente, si volta di scatto e sibila, come drammatico finale della sua scena madre, questa memorabile frase: “Fate lievitare i costi! ”. Ma come? Noi si sperava che la sua ribellione contro la dittatura del denaro, pur non essendo egli un comunista, né un comboniano, e nemmeno un fautore del cinema d’essai, povero ma bello, potesse sfociare in un sublime monito morale, di quelle frasi da far leggere ai giovani. E invece: era incazzato perché calciatori e procuratori, leggendo certe cifre sul “Corriere dello sport”, alzano le pretese. Insomma, aveva in testa i quattrini: manco fosse un giornalista sportivo… 

LA REPUBBLICA del 29 giugno 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Se davvero – come scrive l’Espresso in edicola basandosi su un’inchiesta della magistratura – il “mariuolo” Mario Chiesa fosse diventato “referente della Lega Nord negli ospedali lombardi”, Tangentopoli potrebbe finalmente passare agli archivi come la beffa suprema ai danni di quegli italiani onesti che si illusero – ai tempi – di poter vivere in un paese a loro misura. E alla caduta di Craxi, e dei suoi “mariuoli”, manifestarono, accesero fiaccole, esultarono come per una seconda Liberazione. Pensate se, vent’anni fa, qualcuno avesse detto loro che Mario Chiesa, allora simbolo assoluto del malaffare politico, passata la buriana non solo sarebbe risorto politicamente, ma lo avrebbe fatto come “referente” d’affari della Lega, che allora era il partito della forca, del repulisti, delle zero garanzie per gli imputati. La Lega e i suoi giornalisti di riferimento usarono le parole, ai tempi, come le querce in Alabama, per appenderci la gente senza processo. Ora chiedono – per se stessi e per i loro amici – molte più garanzie di quante erano disposti a concedere agli imputati di vent’anni fa. Vedi come è diversa, la giustizia, vista sotto la quercia o sopra.

LA REPUBBLICA del 16 giugno 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Fa simpatia il nuovo sindaco di Parma, il pallido Pizzarotti, che per raccomandarsi a qualche santo dei dintorni si insedia citando Guareschi. La citazione è un po’ goffa, ma congrua: “nel suo mondo alcune figure si scontrano, ma poi arrivano al bene dei cittadini”. Voleva dire che Peppone e don Camillo litigano su tutto, ma sulle grandi scelte, quelle che mettono in gioco la dignità e l’identità dell’intera comunità, si ritrovano alleati. È una versione nobile (e letteraria) di quello che oggi si chiama “consociativismo”. Fa specie, la citazione, in bocca al primo sindaco importante di un movimento che ha fatto sfracelli maledicendo i compromessi, minacciando sfracelli, rifiutando qualunque tipo di alleanza o apparentamento. Così, del resto, è il potere: se si è stupidi rende più arroganti, se si è intelligenti rende più umili, perché se ne percepisce il peso. Quando ero giovane giudicavo malissimo il rivoltoso che entrando a Palazzo abbassava la cresta, cambiava tono e atteggiamento. Pensavo al tradimento. Con gli anni, si arriva a capire che è fisiologico debuttare da rivoluzionari e governare da riformatori. Pizzarotti merita tutti i nostri auguri. Anche perché governa una città difficile e poco affidabile: prima di lui i parmigiani avevano eletto la maggioranza più incapace e corrotta del pianeta. Non so se lo meritano, Pizzarotti. 

LA REPUBBLICA del 6 luglio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La feroce determinazione con la quale i berlusconiani cercano di conservare il controllo della Rai non si spiega solo con i normali parametri della lotta per le poltrone. C’è un sovrappiù simbolico che è perfino imbarazzante dover ripetere: un forte complesso di inferiorità culturale che scatena nella destra italiana l’impulso violento a occupare per potere ciò che non è in grado di occupare per merito. La vera tragedia del berlusconismo morente, dopo quasi due decenni di purghe, censure e scorrettezze (la più scandalosa delle quali è avere imposto alla Rai uomini Mediaset, leali alla concorrenza anche se ritiravano la busta paga in viale Mazzini), è non essere stato capace di formare dirigenti, produttori, conduttori, artisti all’altezza degli odiati e cosiddetti “rossi”. Il centrodestra — con gli ovvi distinguo — ha avuto la sua piena espressione culturale ed estetica in Mediaset. Ma sapeva, sentiva, che molte trasmissioni e molti uomini della Rai facevano ombra, eccome, a quella cultura e a quell’estetica. Per questo la governanceberlusconiana alla Rai si è manifestata soprattutto in poche e dimenticate produzioni colate a picco, e nell’accanito boicottaggio di quello che, in Rai, funzionava bene. Non c’era bisogno di ordini superiori. Era un invincibile istinto: colpire chi è più bravo di te. 

LA REPUBBLICA del 17 giugno 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il calcio italiano non merita un “premier” come Cesare Prandelli. Che di fronte all’insopportabile e onnipresente cicaleccio sul “biscotto” (per i non addetti: pareggio concordato) tra spagnoli e croati, semplicemente rifiuta di considerare l’ipotesi, parendogli che il pensare male faccia male, e basta. Una sorta di onestà obbligatoria, sicuramente a rischio di ingenuità, ma esemplare in un uomo di sport. Prandelli non può dirlo, ma certamente pensa che il nostro calcio, in questo momento, è l’ultimo al mondo che può permettersi il lusso di fare la morale agli altri. È il calcio più inquisito del mondo, segnato da scandali infiniti nel senso che sono tanti ma anche nel senso che non finiscono mai. È un calcio che non sopporta neanche le proprie regole (vedi l’assurda polemica sulla “terza stella” della Juve). È un calcio in larga parte succube delle sue curve malavitose (vedi la disgustosa cerimonia della “consegna delle maglie” dei giocatori del Genoa ai capi tribù ultras). È un calcio che da quattro giorni non riesce a parlare d’altro che di un fantomatico “biscotto” ai propri danni: perché è tipico degli immorali essere anche vittimisti: la colpa è sempre di qualcun altro. 

LA REPUBBLICA del 10 luglio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Rinnegando Miss Padania, il neosegretario Maroni cerca disperatamente di tracciare i connotati di una Lega rincivilita, un po´ meno "popolana", un po´ meno incolta. E´ un´impresa titanica. La rivendicazione (in chiave anti-borghese) della mangiata grassa, della pacca sul culo, della poppa tracimante, sono uno degli ingredienti fondanti della Lega. Nell´epopea leghista c´è una componente quasi rabelaisiana (se i leghisti non si offendono: Rabelais è pur sempre uno scrittore), carnivora, vinosa, con cacciagione meglio se di frodo (minacciarono, i leghisti del Trentino, di mangiare un orso venuto da fuori), le donne ai fornelli, gli uomini a tavola, e a ramengo il politicamente corretto che è roba poco virile. Morta la secessione, morente il federalismo, perduto il governo, che cosa resta ai leghisti se gli levano pure la saga barbarica, il grasso che cola, le selezioni locali di Miss Padania con i giurati che valutano le figliuole con lo sguardo vinoso, e usando lo stesso calibro temperato negli anni per valutare magnifiche mucche frisone, olandesi e limousine? Guardi Maroni, il femminismo è una roba per noi fichetti di sinistra, lasci stare, non traumatizzi così la sua gente. 
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