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LA REPUBBLICA del 23 maggio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
I partiti spariranno "in un peto", i loro leader sono zombie, morti, quasi morti, un´accolita di fantasmi incapaci e – peggio ancora – di persone indistinte, non-uomini indegni di incarnare un´idea, destra uguale a sinistra, birilli che il vento della democrazia diretta (il Sacro Web) spazzerà via. Il movimento delle Cinque Stelle merita rispetto, non è antipolitica, è impegno civile di una moltitudine di autoconvocati, in larga parte giovani e disinteressati. Ma il linguaggio del loro leader è un problema grosso come una casa. E´ un linguaggio carico di disprezzo, maneggia la morte (spesso e volentieri) come l´insulto definitivo, non riconosce MAI dignità all´avversario, è ignobile e ripugnante tanto quanto il latrato leghista. Usciamo da vent´anni di semplificazioni rozze, di parole usate come sputi. Possibile che la nuova politica usi un linguaggio così vecchio? Si capisce la gratitudine (meritata) che le persone delle Cinque Stelle hanno per il loro fondatore. Ma, a meno che non siano un triste calco delle legioni bossiane, entusiaste del dito medio e dell´insulto metodico, possibile che nessuno di loro osi chiedere al capo di non urlare, e soprattutto di non urlare quelle cose?
 
 

LA REPUBBLICA del 1 maggio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il breve rosario di belinate sulla mafia scappate di bocca a Beppe Grillo nella sua predica palermitana ha una spiegazione tecnica quasi ovvia, ma stranamente rimossa dal discorso pubblico su Grillo e il grillismo: Grillo è un comico, ragiona e parla come un comico. E il linguaggio comico lavora sulla sintesi.
Procede per battute e brutali semplificazioni che possono anche essere fulminanti, ma solo in quel contesto. Se un intellettuale o un politico osasse liquidare un argomento tremendo come la mafia con quattro battute, verrebbe considerato un cialtrone.
La semplificazione comica è bene accetta, e liberatoria, perché ci solleva dalla complicazione della vita. Il successo di Grillo dipende (anche) dall’avere trasposto il suo carisma di semplificatore in mezzo alla polis, e di averlo fatto in un momento in cui la vita pubblica ed economica è così complicata da essere angosciante. Ma ci sono istanti rivelatori (il discorso di Palermo è uno di questi) in cui il gioco della semplificazione crea un cortocircuito, e anche il re dei semplificatori all’improvviso è nudo. Semplicemente, così come un politico che fa lo spiritoso in genere è deprimente, un comico che fa politica in genere è irritante. Contro la mafia don Ciotti, che non ha mai fatto ridere nessuno, vale un milione di Grillo messi insieme. 

LA REPUBBLICA del 24 maggio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Cambiare nome al partito, rifondarlo, fondarne uno nuovo, assemblarne un paio di vecchi… tra i cocci della sedicente seconda Repubblica si sente dire di tutto, ma è specialmente nel pittoresco mondo dei "moderati" che la confusione appare suprema. Tra l´avvento di Montezemolo (del quale si mormora dai tempi di Nuvolari), gli appelli di Casini, le manovre di Scajola (a sua insaputa?), la scomparsa di Fini, la sola scintillante certezza, per la quale facciamo un tifo indiavolato, è la minaccia di Berlusconi di ritornare alla guida del partito. Ammesso che, in quel rottame, riesca a trovare il volante ancora avvitato, lo spettacolo sarebbe imperdibile. Invidiando a Grillo, da uomo di spettacolo, la trionfale platea, il Berlu resuscitato farebbe qualunque cosa pur di recuperare il suo pubblico: assaltare di persona Equitalia, fare della castità il punto di forza della sua leadership, perfino mostrarsi calvo e senza cerone per commuovere le madri. Mai avremmo pensato, pochi mesi dopo la fuoruscita dall´orrendo regimetto del Silvio, di desiderare la sua rentrée, per giunta per futili motivi. Eppure accade: segno che la storia ha ripreso a correre veloce perfino nella vecchia Italia. 

LA REPUBBLICA del 27 aprile 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Trapela, in buona parte del mondo politico, una specie di timor panico nei confronti del movimento di Beppe Grillo. Considerando che i "grillini", secondo i sondaggi più benevoli, sono accreditati del sei-otto per cento dei voti, questo timor panico è indecoroso. Partiti che hanno, ciascuno, il doppio, il triplo o il quadruplo dei voti di Grillo, che sono bene introdotti nel mondo mediatico, che hanno un personale politico di lunga esperienza, che sono affiancati da centri studi di buon calibro, non possono inorridiree strillare come fanciulle che scoprono un topo sotto il letto. Non è dignitoso, e alimenta il sospetto che il sistema dei partiti, nel suo complesso, sia spaventato dalla società: quella società che dovrebbe essere, per la politica, materia prima, terreno di confronto e anche di scontro, campo di lotta a viso aperto, che produce umori benigni ma anche maligni, che cova speranze ma anche rancori, come può far così paura al mondo della politica? Che cosaè accaduto, alla politica italiana, da farle temere che "fuori" di lei, e fuori dalle sue stanze, allignino solo mostri ostili, ombre malvagie? I partiti raddrizzino la schiena e provino a uscire per la strada: si misurino faccia a faccia con quella che chiamano "antipolitica", scopriranno di essere di parecchie spanne più alti. 

LA REPUBBLICA del 4 maggio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Ma il Bossi, non era quello che si era dimesso e si era fatto da parte, subito elogiato da acuti commentatori che ne sottolineavano la "diversità"? E come mai, allora, non c´è comizio leghista senza di lui, è tutti giorni al telegiornale che saluta con il medio in resta, e addirittura parla di ricandidarsi alla segreteria, e nessuno dei suoi apostoli ha la coerenza e il buon gusto di fargli presente che neanche un mese fa se ne parlava al passato, e i giornali pubblicavano biografie così definitive da sembrare tombali? E le famose camicie verdi, che nei giorni dello scandalo agitavano le ramazze e parevano disposte, per l´onore del partito, a non guardare in faccia nessuno, nemmeno il Capo dei Capi, che cosa ci fanno schierate davanti a Bossi con le stesse scope, però usate come per il più disciplinato dei presentat-arm? Com´è italiana la Lega, italiana nel senso più classico e più malinconico, sempre pronta a inveire contro le magagne altrui, ma rapidissima a chiudere un occhio quando le stesse identiche magagne diventano affare della propria tribù. Che pena rivedere sul palco, in mezzo alla sua gente adorante, il povero papà del Trota ridiventato, in tempi record, il Duce di Padania. 

LA REPUBBLICA del 5 giungo 2012

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Sento in un talk-show l’impressionante Sallusti definire Roberto Saviano “un ricco scrittore”, espressione che al pubblico che fa riferimento a Sallusti deve sembrare l’acme della corruttela morale. Pare di capire che la destra bastonatrice ( Giornale e Libero, per non far nomi) voglia indicare in Saviano il nuovo, odiato simbolo dei “radical chic”, il leader blandito “nei salotti che contano” dalle signore svenevoli e dagli orditori delle trame demo-pluto-massoniche. I toni e gli argomenti usati contro l’autore di Gomorrasono piuttosto spregevoli (anche se non raggiungono l’allucinata violenza toccata un mesetto fa da Giuliano Ferrara sul Foglioin uno degli articoli più ignobili della storia del giornalismo mondiale), ma la sostanza della campagna di stampa fa decisamente sorridere. Saviano può piacere o non piacere, ma con i radicalchic c’entra come i cavoli a merenda. È uno scrittore-soldato, che paga la sua guerra alla malavita conducendo una vita tremenda. Non è di sinistra, ha valori popolari molto simili a quelli di un meridionale tradizionalista non colluso e non servo. È un uomo libero e coraggioso. In un Paese munito di una destra decente (cioè legalitaria e repubblicana) sarebbe di destra. Dunque, non in questo Paese. 

LA REPUBBLICA del 25 maggio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Confesso di essere stato colto di sorpresa dalla vastità, dalla varietà, dalla serietà delle commemorazioni per Falcone e Borsellino. Non era scontato. Abbiamo l´impressione di vivere un tempo sbrecciato, di abitare in una società destrutturata, dove la gran parte delle idee e dei sentimenti sono momentanei e volatili. Dove la bomba messa da un demente riesce a monopolizzare la scena e a levare la parola alla fatica quotidiana (compresa la fatica politica) di milioni di cittadini. Fortunatamente, non è così. Il lavoro ventennale (e oltre) di associazioni, insegnanti, sindacati, partiti, intellettuali, cittadini contro le mafie e la cultura mafiosa si è sedimentato in un´opinione pubblica (o almeno in una sua parte) che non è disposta a vivere alla giornata, senza princìpi, senza memoria, in balia del più forte. Si sono sentite (anche alla Rai, che una volta tanto ha fatto il suo mestiere di servizio pubblico) parole non banali, ricostruzioni non di comodo dei due attentati, analisi utili della vulnerabilità del nostro tessuto democratico. Che è fragile, ma non fragilissimo se vent´anni dopo le due stragi mafiose il denso groviglio di dolore, di paura ma anche di orgoglio è sembrato rivivere come allora. Non sempre le commemorazioni sono pompose e vuote. Questa è stata poco retorica, e piena di speranza. 

LA REPUBBLICA del 8 maggio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Le cinque stelle sono la grande novità, ma se i numeri contano qualcosa il vincitore delle amministrative è il Pd di Bersani. Parlarne bene è un esercizio talmente poco di moda che nessun commentatore, di destra di centro e soprattutto di sinistra, si azzarda mai a farlo. Ma è un dato di fatto che tra astensione dilagante, voto di protesta montante, semi-cancellazione di interi partiti (vedi il Pdl), il Pd è il solo partito tradizionale che mantiene il suo campo, e giganteggia al cospetto delle catastrofi altrui. Qualche merito lo avrà, dunque, questo partito per il quale nessuno spende mezza parola di elogio o di affetto (neanche i suoi elettori), con una linea politica vaga, un leader poco carismatico, un paio di scandali decisamente pesanti in casa (Lusi, Penati), un´immagine esterna tanto sfocata da irritare. Magari quel "radicamento nel territorio" che nei commenti degli ultimi vent´anni è stato considerato brevetto esclusivo della Lega ha qualcosa a che fare anche con il Pd. Magari ebbe ragione Bersani quando pochi anni fa, in un dibattito tivù, in uno dei suoi non frequenti scatti di orgoglio, disse a un giornalista di destra che diceva "popolo" e "gente" ogni tre secondi: "guardi che il popolo ce l´abbiamo anche noi". 

LA REPUBBLICA del 26 maggio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il capitalismo ha molti difetti, ma tra i suoi pregi annovera l´etica del rischio individuale. Non si capisce, dunque, con chi ce l´hanno i risparmiatori che hanno strapagato le azioni di Facebook e ora vogliono rivalersi in tribunale dopo il tracollo delle medesime. Si dice "giocare in Borsa", significa – appunto – che si può vincere ma si può anche perdere. Se qualcuno (brocker o altri) ha sopravvalutato il valore di Facebook, qualcun altro ha deciso di fidarsi dei suoi consigli e ha perso la scommessa. Se la prenda con se stesso. Gli investitori spennati che vanno dall´avvocato mi ricordano i fumatori ammalati che fanno causa ai produttori di sigarette. Prima di smettere ho fumato per quarant´anni, sapevo benissimo che i miei polmoni non se ne sarebbero avvantaggiati, considererei vile e stupido dare la colpa al tabacco: la colpa, se mi ammalo di cancro ai polmoni, è solo mia. Colpisce constatare, dopo un paio di secoli di cultura capitalista e di culto dell´individualismo, che la pratica della responsabilità personale è ancora così poco diffusa, e dare la colpa ad altri (allo Stato, alle banche, alla Borsa, al sistema) è un vizio spalmato ovunque, tra le piagnucolanti clientele dello Stato assistenziale così come tra gli intrepidi (apparentemente) investitori americani. 

LA REPUBBLICA del 21 aprile 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Impressionante la storia del ciclista Riccò, dopato, squalificato, recidivo, cacciato via dalle strade che aveva percorso da protagonista. Impressionanti la cecità e la spavalderia con la quale un ragazzo di vent´anni sciala il proprio talento e corre a perdifiato verso la rovina. Se capissimo che cosa ha in testa uno come Riccò, come e quando ha perduto il senso del limite e con esso quello della realtà, capiremmo qualcosa di molto importante anche di noi stessi e della nostra maniera di vivere. La nostra società è dopata ormai strutturalmente. Lo è a partire dalle sue fondamenta economiche: è dopata di debiti (pubblici e privati). Dopata di farmaci, di cibo, di impegni, di obiettivi da raggiungere, di delusioni da evitare. È dopata di applausi, di fracasso, di ritmo, di velocità, di insonnia, di desideri sempre nuovi, "derivati" come i prodotti finanziari guasti. Quelli che chiamiamo "drogati" sono solo le cavie (spesso volontarie) di un virus che avrà requie solo quando ci avrà contagiati tutti. Il virus (già isolato dagli antichi) della rana che, per diventare bue, si gonfiò fino a scoppiare. 
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