LA REPUBBLICA del 8 maggio 2012
Le cinque stelle sono la grande novità, ma se i numeri contano qualcosa il vincitore delle amministrative è il Pd di Bersani. Parlarne bene è un esercizio talmente poco di moda che nessun commentatore, di destra di centro e soprattutto di sinistra, si azzarda mai a farlo. Ma è un dato di fatto che tra astensione dilagante, voto di protesta montante, semi-cancellazione di interi partiti (vedi il Pdl), il Pd è il solo partito tradizionale che mantiene il suo campo, e giganteggia al cospetto delle catastrofi altrui. Qualche merito lo avrà, dunque, questo partito per il quale nessuno spende mezza parola di elogio o di affetto (neanche i suoi elettori), con una linea politica vaga, un leader poco carismatico, un paio di scandali decisamente pesanti in casa (Lusi, Penati), un´immagine esterna tanto sfocata da irritare. Magari quel "radicamento nel territorio" che nei commenti degli ultimi vent´anni è stato considerato brevetto esclusivo della Lega ha qualcosa a che fare anche con il Pd. Magari ebbe ragione Bersani quando pochi anni fa, in un dibattito tivù, in uno dei suoi non frequenti scatti di orgoglio, disse a un giornalista di destra che diceva "popolo" e "gente" ogni tre secondi: "guardi che il popolo ce l´abbiamo anche noi".
LA REPUBBLICA del 26 maggio 2012
Il capitalismo ha molti difetti, ma tra i suoi pregi annovera l´etica del rischio individuale. Non si capisce, dunque, con chi ce l´hanno i risparmiatori che hanno strapagato le azioni di Facebook e ora vogliono rivalersi in tribunale dopo il tracollo delle medesime. Si dice "giocare in Borsa", significa – appunto – che si può vincere ma si può anche perdere. Se qualcuno (brocker o altri) ha sopravvalutato il valore di Facebook, qualcun altro ha deciso di fidarsi dei suoi consigli e ha perso la scommessa. Se la prenda con se stesso. Gli investitori spennati che vanno dall´avvocato mi ricordano i fumatori ammalati che fanno causa ai produttori di sigarette. Prima di smettere ho fumato per quarant´anni, sapevo benissimo che i miei polmoni non se ne sarebbero avvantaggiati, considererei vile e stupido dare la colpa al tabacco: la colpa, se mi ammalo di cancro ai polmoni, è solo mia. Colpisce constatare, dopo un paio di secoli di cultura capitalista e di culto dell´individualismo, che la pratica della responsabilità personale è ancora così poco diffusa, e dare la colpa ad altri (allo Stato, alle banche, alla Borsa, al sistema) è un vizio spalmato ovunque, tra le piagnucolanti clientele dello Stato assistenziale così come tra gli intrepidi (apparentemente) investitori americani.
LA REPUBBLICA del 21 aprile 2012
Impressionante la storia del ciclista Riccò, dopato, squalificato, recidivo, cacciato via dalle strade che aveva percorso da protagonista. Impressionanti la cecità e la spavalderia con la quale un ragazzo di vent´anni sciala il proprio talento e corre a perdifiato verso la rovina. Se capissimo che cosa ha in testa uno come Riccò, come e quando ha perduto il senso del limite e con esso quello della realtà, capiremmo qualcosa di molto importante anche di noi stessi e della nostra maniera di vivere. La nostra società è dopata ormai strutturalmente. Lo è a partire dalle sue fondamenta economiche: è dopata di debiti (pubblici e privati). Dopata di farmaci, di cibo, di impegni, di obiettivi da raggiungere, di delusioni da evitare. È dopata di applausi, di fracasso, di ritmo, di velocità, di insonnia, di desideri sempre nuovi, "derivati" come i prodotti finanziari guasti. Quelli che chiamiamo "drogati" sono solo le cavie (spesso volontarie) di un virus che avrà requie solo quando ci avrà contagiati tutti. Il virus (già isolato dagli antichi) della rana che, per diventare bue, si gonfiò fino a scoppiare.
LA REPUBBLICA del 9 maggio 2012
Il fenomeno dei giornalisti tifosi è troppo patetico perché io vi ammorbi con la mia opinione sulla controversa "terza stella" della Juventus. Mi limito a un´osservazione strettamente tecnica, temo inoppugnabile. La Juventus ha tutto il diritto di ritenersi vittima di una sentenza sbagliata e cucirsi sulle maglie la terza stella. Ma un secondo dopo, la Federazione italiana gioco calcio dovrebbe dichiararsi sciolta, perché il suo operato e quello della giustizia sportiva sono ritenuti carta straccia, e giudicati nulli, da una delle società più autorevoli e note del calcio italiano. Terze vie non ce ne sono, perfino in un Paese di ipocrisie e di pateracchi. Perché attribuirsi due scudetti revocati per frode sportiva non è solo un gesto di "orgoglio ritrovato", come pensa abbastanza puerilmente il presidente Andrea Agnelli. È, a tutti gli effetti, un gesto che sconquassa dalle fondamenta le istituzioni del calcio, le sconfessa, le rifiuta. È un durissimo chiamarsi fuori dal mondo in cui si opera e dalle sue regole. Nella vita, ovviamente, ci si può anche ribellare. Quello che non si può fare è credere che ci si possa ribellare al modico prezzo di qualche titolo di giornale, e cavarsela temperando le polemiche con un paio di interviste diplomatiche.
LA REPUBBLICA del 29 maggio 2012
La vera domanda, attorno ai cosiddetti misteri vaticani, è quanto ancora possono incidere, i maneggi e le lotte intestine di quegli anziani prelati, sulla vita della società italiana. Nel resto del mondo il loro peso politico è ormai vicino allo zero: la stampa estera ne parla, in genere, con divertito esotismo, come se noi parlassimo degli intrighi alla corte del marajah. Del resto, se la Chiesa romana avesse inteso – anche solo per marketing – coronare l´avvento di due papi stranieri concedendo più potere e visibilità ai porporati d´Asia, d´Africa e delle Americhe, forse il mondo la considererebbe quell´istituzione internazionale che pretende di essere. Invece, così come stanno le cose, con quel Bertone che si occupa soprattutto dell´Udc, si capisce che "romana" vuol dire proprio romana, soltanto romana. Tornando dunque alla domanda iniziale: quello che accade dietro quelle alte mura, che ricadute avrà fuori di esse? Avrà ripercussioni anche oltre l´Udc, arrivando a lambire la famosa componente cattolica del Pd? O una cortese indifferenza prevarrà anche da noi, perfino da noi, visto che di alcune dinamiche interne al Vaticano molti commentatori scrivono come se in ballo ci fosse non il destino del Paese, ma quello di una prestigiosa ma polverosa istituzione, tipo i Lincei o la Crusca?
LA REPUBBLICA del 10 maggio 2012
Santanché ha ragione, perfettamente ragione. Che cosa c´entra la destra così come Berlusconi l´ha aggregata pezzo dopo pezzo (antistatale, antifiscale, illegalitaria, la sola vera "antipolitica" fin qui vincente in Italia) con il governo Monti? La fanfaluca del "partito dei moderati" che il Pdl ha finto di accreditare, negli anni, per drenare anche il voto di qualche orfano della Dc, di qualche liberale in pensione e di qualche ex lettore di Montanelli, è miseramente crollata alla prova dei fatti: ben pochi degli elettori del Pdl ha rivotato per un partito che sostiene gli odiati professori moderati e borghesi al governo, quelli che Libero e il Giornale trattano da aguzzini, servi delle banche, pedine del complotto pluto-massonico ai danni del "popolo", che sarebbe poi il nome d´arte che la piccola borghesia berlusconiana si è data… Piuttosto si astengono, o votano Grillo, facendo implodere dall´interno il presunto "moderatismo" di una destra massicciamente populista, aggressiva e antirepubblicana. Quella che ci ha governato fino a ieri, e che da qualche parte – ha ragione Santanché – prima o poi si riprenderà la scena, non appena troverà qualcuno che sia all´altezza della sua potenza e del suo rancore.
LA REPUBBLICA del 11 maggio 2012
Che possa essere "un genovese di una certa età già militante nell´area brigatista" uno dei sospettati per l´attentato al dirigente dell´Ansaldo, è solamente un´illazione. Piuttosto verosimile, però, perché ci rimanda dritti alla decrepitezza del nostro Paese, al nostro invecchiare tutti insieme e sempre uguali, e sempre più ingombranti, tignosi e insopportabili mano a mano che il tempo passa (possibile che non ci sia un´età pensionabile anche per i terroristi? Non è un lavoro usurante?). Non sono un´illazione, invece, le rivendicazioni che circolano in rete, laggiù nella remota e fantasmatica galassia detta "insurrezionale". Dove si parla di "infami rappresentanti del capitalismo", di "parassiti" e di "masse popolari" come nei canti di fine Ottocento, come nei manifesti murali del Dopoguerra, come nei ciclostilati degli anni Sessanta, come se tutto fosse eternato (la Storia e le persone) in un bassorilievo museale. Magari chi parla in quella maniera muffita ha vent´anni: ed è perfino più triste e più sinistra, la figura del ventenne già rincoglionito, di quella del vecchietto brigatista.
LA REPUBBLICA del 12 maggio 2012
Incredibile ma vero, la presa di posizione di Barack Obama in favore delle unioni legali tra omosessuali non ha provocato, nel suo avversario conservatore Romney, una reazione di arroccamento. Semmai, lo ha "aiutato" a salire un gradino della lunga scala dei diritti, pronunciandosi a favore delle adozioni di bambini da parte delle coppie omosessuali. E dire che buona parte dell´elettorato repubblicano è apertamente ostile all´idea che al di fuori della famosa "famiglia tradizionale" possa esistere anche solo l´ombra di un diritto. In Italia, da anni, il tema è oggetto di indicibili, penosissime esitazioni, quasi tutte riconducibili alla convinzione che "il paese non sia ancora pronto" e alla raccomandazione di non indisporre troppo il campo avverso. Ma non essendo chiaro quando il paese sarà pronto (un anno? un secolo? un altro Evo?) ed essendo il campo avverso già indisposto di suo, non sarebbe il caso di rompere qualche indugio e sfidare qualche tabù? La dinamica Obama-Romney dimostra che imporre
l´agenda del futuro, invece di subirla, è per i progressisti non solo un dovere (che progressista è colui che non progetta il futuro?), ma anche un vantaggio. Si attendono notizie dai nostri pavidi partiti riformatori: gli anni passano, le buone occasioni pure.
l´agenda del futuro, invece di subirla, è per i progressisti non solo un dovere (che progressista è colui che non progetta il futuro?), ma anche un vantaggio. Si attendono notizie dai nostri pavidi partiti riformatori: gli anni passano, le buone occasioni pure.
LA REPUBBLICA del 24 aprile 2012
"I partigiani lottavano per la libertà, i fascisti stavano con i nazisti". Così Francesco Guccini si ribella all´appropriazione indebita di un verso della Locomotiva ("gli eroi sono tutti giovani e belli") stampato su un manifesto che inneggia a Salò. Non si potrebbe esprimere in maniera più semplice, e insieme più giusta, la differenza tra partigiani e repubblichini: contro il nazismo oppure a fianco del nazismo, questa fu la scelta. Eppure questa verità, oggi, suona quasi anticonformista, e perfino intellettualmente difficile: le carte sono state tutte rimescolate, e alcune anche truccate, dalla pervasiva, insistente, annosa campagna di revisionismo storico che ha accompagnato gli anni di Berlusconi, primo premier della storia repubblicana non antifascista. L´espediente retorico di rendere omaggio alla "voce dei vinti" ha finito per trasformare, pian piano, i lupi in agnelli, e la minoranza di ragazzi generosi e coraggiosi che, sebbene cresciuti dentro un regime stupido e razzista, presero la via dei monti, nel racconto revisionista viene spacciata per un potere soverchiante e opportunista. Domani è il 25 aprile e ogni anno che passa festeggiarlo diventa sempre più importante, sempre più giusto e, per quanto mi riguarda, sempre più emozionante.
LA REPUBBLICA del 13 maggio 2012
La lista degli italiani che odiano lo Stato è così lunga da richiedere incessanti ritocchi e aggiornamenti. Gli anarchici informali, gli evasori fiscali, i secessionisti, la destra eversiva, i vetero e i neo terroristi, i qualunquisti del bar, gli ultras del calcio, alcuni tra i NoTav (mega scritta su un muro di Bologna: "no Tav no Stato!"), la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta. Questi gruppi umani hanno in comune una cosa soltanto: la totale difformità della loro natura sociale, degli scopi e (quando c´è) della prassi. Non solo è impossibile immaginarli alleati, ma perfino all´interno di ogni loro segmento le rivalità interne li distraggono e li assorbono: esilarante, in questo senso, la parentesi polemica che l´anarchico estensore della rivendicazione dell´agguato di Genova dedica ad altri anarchici rivali, una zuffa tra eversori che interessa perfino meno di certe dispute tra eruditi. Lo Stato, invece, per quanto sbrindellato, per quanto incapace e fellone (per quanto, dunque, effettivamente odiabile) ha l´enorme, riposante pregio di essere uno solo, e come tale unificante per natura, anche solo per comodità. Visitando la splendida mostra sui centocinquant´anni di Stato unitario, all´Officina Grandi Riparazioni di Torino, ho pensato che senza lo Stato noi italiani saremmo solamente dei miserabili, litigiosi narcisi.