LA REPUBBLICA del 25 aprile 2012
Lunedì tivù e giornali rigurgitavano di indignazione e di "mai più" per l´incredibile sequestro di uno stadio intero ad opera di una cosca di ultras del Genoa. Ventiquattr´ore dopo, la montagna emotiva ha partorito un ridicolo topolino: una manciata di "daspo" (divieti di entrare allo stadio) che conferma la totale resa del calcio italiano, e dello Stato, di fronte agli ultras (co-protagonisti, per altro, di tutti o quasi gli episodi di violenza politica degli ultimi anni, dalle aggressioni fasciste e omofobe ai saccheggi e agli incendi della primavera scorsa a Roma). Negli stadi italiani si può delinquere nella certezza dell´impunità, e i pavidi mercanti che gestiscono lo sport nazionale, a cominciare dai presidenti di società, sanno indignarsi giusto nei pochi minuti del dopo-partita, quando in favore di telecamere dichiarano solennemente che è una vergogna e che non si ripeterà mai più. Mentono. La loro unica urgenza è strappare qualche briciola di diritti televisivi in più per tappare i buchi di bilancio causati dagli spalti deserti, evitati come la peste dalla gente perbene che non ama sentirsi ostaggio di bande armate. Non è un paese civile quello che rinuncia a tutelare gli onesti e i mansueti e li lascia in balia di chi vive di illegalità, ricatto, violenza. Gli ultras non sono più un problema di ordine pubblico, sono un problema di democrazia.
LA REPUBBLICA del 19 maggio 2012
Nell´orribile declino leghista sconcerta la rassegnata, quasi bonaria comprensione che dirigenti e "base" riservano al vecchio capo, che pure è
l´evidente artefice del clan avido e rozzo che usava le casse del partito per i propri comodi. Si tende a dire che è la fede popolare a impedire certe rese dei conti, ma è vero fino a un certo punto. Ho viva memoria della vergogna, dell´ira, delle assemblee tumultuose e certo non reticenti nelle quali la base comunista, ai tempi di Tangentopoli, accusava i suoi capi di essersi fatti coinvolgere in quel sistema di illegalità. Non era meno appassionata, quella base, e neanche meno devota alle gerarchie di partito. Solo che anteponeva a tutto, e a tutti, un interesse collettivo al quale le persone, compresi i capi, erano sottoposti. Non così, evidentemente, i leghisti, ai quali la struttura dispotica e familista del loro movimento non è mai parsa, fin qui, degna di dibattito (quale dibattito, poi, in un partito che ha fatto il suo ultimo congresso dieci anni fa?). Da chi ha ingoiato senza fiatare quell´assetto ducesco del partito, quella coincidenza (folle) tra Capo e Destino, non ci si può aspettare, oggi, una reazione sana. Molto probabile che la Lega segua Bossi nella sua tomba politica. Se lo saranno meritato entrambi.
l´evidente artefice del clan avido e rozzo che usava le casse del partito per i propri comodi. Si tende a dire che è la fede popolare a impedire certe rese dei conti, ma è vero fino a un certo punto. Ho viva memoria della vergogna, dell´ira, delle assemblee tumultuose e certo non reticenti nelle quali la base comunista, ai tempi di Tangentopoli, accusava i suoi capi di essersi fatti coinvolgere in quel sistema di illegalità. Non era meno appassionata, quella base, e neanche meno devota alle gerarchie di partito. Solo che anteponeva a tutto, e a tutti, un interesse collettivo al quale le persone, compresi i capi, erano sottoposti. Non così, evidentemente, i leghisti, ai quali la struttura dispotica e familista del loro movimento non è mai parsa, fin qui, degna di dibattito (quale dibattito, poi, in un partito che ha fatto il suo ultimo congresso dieci anni fa?). Da chi ha ingoiato senza fiatare quell´assetto ducesco del partito, quella coincidenza (folle) tra Capo e Destino, non ci si può aspettare, oggi, una reazione sana. Molto probabile che la Lega segua Bossi nella sua tomba politica. Se lo saranno meritato entrambi.
LA REPUBBLICA del 2 giugno 2012
È in corso una polemica personale e procedurale, dentro il Pd, a proposito del doppio incarico del nuovo sindaco di Civitavecchia, che è anche deputato. Costui ha definito “carogne” i suoi compagni di partito che (in maggioranza) gli chiedono di dimettersi immediatamente dalla Camera. Ma la sola carogna delle quale si sente l’odore è l’intelligenza della politica, che dev’essere in avanzato stato di decomposizione se esiste ancora qualcuno, là dentro, così ottuso da non capire che ogni gesto meno che limpido, in questo momento, equivale a un suicidio. La domanda è semplice: come è possibile che la stessa persona faccia in modo decente due lavori difficili come il deputato della Repubblica e il sindaco di una città? La risposta è altrettanto semplice: non è possibile, a meno che uno dei due lavori sia interpretato come una carica onorifica. Una prebenda. Un premio alla carriera. È accaduto, in passato, infinite volte. Non si contano i casi di doppi incarichi. Ora, finalmente, è stato deciso (anche dentro i partiti) che non è più il caso, non solo per ragioni di leggi e regole, ma per ragioni di rispettabilità della politica. Che essendo una cosa seria, va fatta seriamente, e a tempo pieno. Non è incredibile che se ne debba ancora discutere?
LA REPUBBLICA del 13 aprile 2012
La rissa al Colosseo tra centurioni e vigili, con urla in vernacolo e largo impiego di tipi umani da Cinecittà, sembrava una scena ancora inedita di "Roma" di Fellini. Invece era vera, come probabilmente vero è il bisogno che spinge padri di famiglia non più giovani e non più aitanti a travestirsi da antichi romani per rastrellare qualche mancia tra i turisti.
Vedendo omoni travestiti da legionario, con l’elmo di latta basculante, spingersi ed evocare i rispettivi mortacci tra le pietre millenarie e i pini secolari, si intendeva che neppure una faida tra cammellieri al Cairo, o una resa dei conti tra cocaleros in Colombia, avrà mai la stessa strepitosa e direi immortale teatralità. La nostra catastrofe, e in specie quella capitolina, ha questo di bello e questo di brutto: che è irriducibile al fluire dei secoli, un evergreen della commedia umana. Tra mille anni, quando Roma e l’Italia saranno da molte generazioni sotto la dominazione cinese, guardie rosse inutilmente disciplinate tenteranno, senza successo, di liberare il Colosseo dai centurioni discendenti di questi centurioni qui, forse dai loro ologrammi. E li mortacci di ogni epoca – da quelli di Enea a quelli di Alemanno a quelli del futuro governatore cinese Wu – faranno corona al trionfo, ennesimo, di una plebe eterna e indomabile.
LA REPUBBLICA del 18 marzo 2012
Percorrendo la via Cassanese, lungo quell´angosciante dedalo di capannoni, rotonde e quartieroni para-urbani che è la Lombardia nordorientale, si rimane sbigottiti passando accanto al parco di Villa Invernizzi. Un imprevisto scorcio di bellezza laddove la bellezza è stata piallata via dalle classi dirigenti lombarde dal dopoguerra in poi, compresa la Lega che è colpevole al quadrato perché "partito territoriale" che del territorio ha fatto scempio (dunque, scempio della propria anima). Il parco di Villa Invernizzi, anche all´automobilista che passa in fretta, lascia intuire, in mezzo a quel susseguirsi di non-luoghi, una decisa disciplina estetica (che nella Lombardia agricola non era affatto privilegio dei ricchi: cascine e case coloniche avevano armonia e dignità). Il contrasto con ciò che sta intorno – decollando da Orio al Serio la fascia prealpina appare uno sterminato ammasso di cemento sparso a casaccio – è totale. Tanto che ci si chiede: ma come è possibile che sia rimasto intatto un pezzo di Italia così perfetto? Infatti, non è possibile. Leggo sui giornali che una fetta di parco sarà abbattuta per fare posto alla nuova autostrada Brebemi. La Lombardia, in fin dei conti, cerca una sua armonia: il bello, in mezzo al brutto istituzionalizzato, è una stonatura.
LA PREPUBBLICA del 14 aprile 2012
C’è una tipologia di trasmissioni tivù e radio che funziona così: si piazza una telecamera e/o un microfono sotto il naso di un personaggio pubblico (meglio se un politico) nella speranza che dica una puttanata. Poi la si manda in onda come un trofeo. Il giorno dopo tutti i giornali, su quella puttanata, aprono un accanito dibattito, mettendo le ali tanto alla puttanata quanto alla trasmissione che l’ha diffusa. Il caso più recente è quello di Daniela Santanché, che su Radio 24 ha paragonato Nicole Minetti a Nilde Iotti (è come paragonare le sorelle Lecciso a Madame de Staël). Con susseguente, inutile spreco di reazioni indignate, chiarimenti, approfondimenti. Ora: fare da ricettori, anzi da ricettatori di puttanate, specialmente in questo paese, è un gioco da ragazzi. Tra l’onorevole ignorante che non sa in che anno siamo, il nazista che odia gli ebrei, la velina che straparla di economia (e con Scilipoti Borghezio e Santanché comunque utilizzabili come jolly) c’è solo l’imbarazzo della scelta. Il difficile sarebbe usare telecamera e microfono per scovare chi dice cose intelligenti, utili o – addirittura – belle. Ma si farebbe molta fatica (toccherebbe lavorare), e il giorno dopo quasi nessun giornale se ne occuperebbe.
LA REPUBBLICA del 28 marzo 2012
La senilità di Emilio Fede ha spessore romanzesco, tra Piero Chiara (nei momenti alti) e Fantozzi (nei tonfi). I cronisti che tentano di ricucirne la trama maneggiano ingredienti fantastici: bische, debiti di gioco, traffico di señorite in combutta con amiconi del bel mondo, imputazioni di prossenetismo, stremati giuramenti di eterno amore alla moglie come nei film di Germi. Ora – strepitoso sussulto per un ottuagenario – compaiono una valigia piena di quattrini e una misteriosa "amante cubana", che a noi piace immaginare molto matura, ma ancora in grado di accennare una rumba. La valigia sarebbe stata rifiutata da una banca svizzera, circostanza anch´essa stupefacente perché non si conoscono precedenti e le banche svizzere hanno fama di accettare valigie piene di qualunque roba, siano pure denti d´oro, scalpi umani o triglie andate a male. Ma il colpo di teatro che costringe il pubblico all´applauso lo aggiunge lui. Negando – ovviamente – l´esistenza di valigie, e anche della Svizzera, Fede denuncia "una manovra per farmi perdere la direzione del Tg4". Il pubblico trattiene il fiato. Chi vuole – dopo soli trent´anni di direzione, praticamente appena insediato – levare il Tg4 a Fede? I comunisti? I creditori? Al Qaeda? Il marito dell´amante cubana? Vogliamo la prossima puntata. Presto!
LA REPUBBLICA del 29 marzo 2012
L´atroce rogo di Bologna davanti alla sede di Equitalia non è certo il solo episodio che ci parla della solitudine e della disperazione di molti lavoratori autonomi, artigiani, piccoli imprenditori nella tempesta della crisi. Oscar Giannino ha dedicato (meritoriamente) un´intera puntata della sua trasmissione radiofonica alla catena di suicidi (per debiti) che ha scosso il Nord-Est, dando rilievo e voce all´iniziativa di un sindacalista della Cgil veneta che cerca di costruire, attorno a queste solitudini, una rete di solidarietà. A differenza di Giannino io sono statalista. Forse proprio per questo non riesco ad accettare che lo Stato non sia in grado di distinguere tra i ladri evasori e i galantuomini che non hanno liquidità per pagare le tasse. Sono proprio questi ultimi che avvertono in modo lacerante il peso del loro debito: l´evasore, delle proprie inadempienze, è orgoglioso, il cittadino onesto ne è sopraffatto, ne avverte la vergogna. Non è possibile che non esista, per chi è onesto ma non ha più fiato, per chi lavora ma non ha più margine economico, una zona di tregua, una camera di compensazione che lo aiuti a sopravvivere e a ricostruirsi una solvibilità. Un Fisco ottuso serve solo agli evasori per avere un alibi in più.
LA REPUBBLICA del 17 aprile 2012
In mezzo a tutte queste tristezze, chi l’avrebbe mai detto che le notizie made in Berlusconi, per vent’anni fonte di depressione e scoramento, ci sarebbero venute in soccorso? I resoconti (nelle pagine molto interne dei giornali) del cosiddetto processo Ruby sono uno dei pochi momenti di svago di questo periodo: come quando, nei cinema di una volta, i cinegiornali sulle attricette facevano capolino tra primo e secondo tempo di un polpettone troppo impegnativo. Ieri, per esempio, siamo venuti a sapere che una delle ragazze si esibiva “travestita da Ronaldinho”. Non la Minetti, che per rispetto del suo ruolo politico-istituzionale si vestiva autorevolmente da suora. Un’altra, una delle tante, non si sa se di quelle poi gratificate e promosse, o disgustate e oggi testimoni a carico. Vestita da Ronaldinho, comunque. Chissà se completa di scarpe bullonate e altri accessori, nessuno dei quali, comunque, di intuitiva funzione erotica. Si commenta con gli amici del bar e si ride. Il rischio – diciamolo – è di dubitare dell’orgia, e dovere ammettere, con deplorevole ritardo, che si trattava effettivamente, se non di cene eleganti, di festicciole per stupidoni e stupidone.
LA REPUBBLICA del 30 marzo 2012
Dopo i famosi diari di Hitler e di Mussolini, il senatore Dell´Utri ha acquistato all´asta anche alcuni volantini delle Brigate Rosse. Probabilmente possiede, in una teca, anche la barba di Landrù, un cannone di Bava Beccaris, la patente di Pacciani e la testa mozza del Battista, assecondando una vocazione collezionistica decisamente "noir". Per puntellare l´aspetto storico-culturale di questo suo pallino, il senatore ha poi dichiarato che quelle carte insanguinate gli serviranno per allestire "una mostra sul Sessantotto come motore del terrorismo". Ovviamente ognuno è libero di sostenere ciò che gli pare intelligente, compresa una così sciocca banalizzazione della storia del nostro Paese. L´importante è che il senatore, per dare meritato respiro alla sua mostra, allarghi la ricerca storica � a proposito di terrorismo � anche ai rapporti tra mafia e politica, tra servizi segreti e stragi, tra neofascismo e bombe, tra Gladio e il traffico d´armi e tritolo in giro per l´Italia. Il problema, temiamo, è documentale: per quanto abilissimo nello scovare carteggi, diari, epistole, Dell´Utri difficilmente riuscirà a procurarsi qualcosa da esporre. Le Brigate Rosse scrivevano le loro truci sentenze. Mafia e servizi non hanno lasciato tracce.