LA REPUBBLICA del 30 marzo 2012
Dopo i famosi diari di Hitler e di Mussolini, il senatore Dell´Utri ha acquistato all´asta anche alcuni volantini delle Brigate Rosse. Probabilmente possiede, in una teca, anche la barba di Landrù, un cannone di Bava Beccaris, la patente di Pacciani e la testa mozza del Battista, assecondando una vocazione collezionistica decisamente "noir". Per puntellare l´aspetto storico-culturale di questo suo pallino, il senatore ha poi dichiarato che quelle carte insanguinate gli serviranno per allestire "una mostra sul Sessantotto come motore del terrorismo". Ovviamente ognuno è libero di sostenere ciò che gli pare intelligente, compresa una così sciocca banalizzazione della storia del nostro Paese. L´importante è che il senatore, per dare meritato respiro alla sua mostra, allarghi la ricerca storica � a proposito di terrorismo � anche ai rapporti tra mafia e politica, tra servizi segreti e stragi, tra neofascismo e bombe, tra Gladio e il traffico d´armi e tritolo in giro per l´Italia. Il problema, temiamo, è documentale: per quanto abilissimo nello scovare carteggi, diari, epistole, Dell´Utri difficilmente riuscirà a procurarsi qualcosa da esporre. Le Brigate Rosse scrivevano le loro truci sentenze. Mafia e servizi non hanno lasciato tracce.
LA REPUBBLICA del 18 aprile 2012
Per arrivare preparati a un futuro di sconquassi, sarà bene evitare di chiamare "antipolitica" tutto quello che non capiamo. Specialmente noi anzianotti, cresciuti dentro una società fatta di partiti e di sindacati, tendiamo a buttare in quel sacco tutto e il contrario di tutto. Ma è sbagliato. La sola vera antipolitica (non da oggi) è la non-politica. È il menefreghismo civico, la tirchieria volgare di chi alla cosa pubblica non dà nulla (neppure la fatica di informarsi) ma da lei tutto pretende. È l’evasione fiscale, il qualunquismo ignorante, la furbizia plebea opposta all’impegno popolare.
Suggerirei di non definire antipolitica, invece, ciò che ribolle fuori dai partiti, e si raggruma in rete e altrove attorno a parole d’ordine certo molto discutibili, ma totalmente politiche. Il grillismo (che non amo) è certamente politica. E, per quanto rozzamente espressi, sono materia politica anche lo sdegno contro i privilegi castali, il sordo sommovimento contro il sistema dei partiti, perfino la contestazione del sistema di riscossione fiscale incarnato da Equitalia. Alcune di queste pulsioni sono tipicamente di destra. Altre populiste di sinistra. Altre ancora del tutto nuove e tutte da interpretare. Esorcizzare il tutto definendolo "antipolitica" serve solamente a tapparsi occhi e orecchie.
LA REPUBBLICA del 3 aprile 2012
Gli italiani seguono le cose della Fiat con speciale partecipazione e un velo di affetto. È inevitabile, in ogni famiglia c´è stata almeno una Fiat, e ben pochi marchi sono simbiotici all´immagine e alla storia di un Paese quanto Fiat e l´Italia. Anche per questo il crollo delle vendite mette di cattivo umore, è come un presagio malevolo, si somma all´asprezza dello scontro sindacale, alle tante voci di fuga in America, e soprattutto all´ormai annosa attesa di "nuovi modelli" che, più di ogni altra cosa, darebbe il segno di una perdurante vitalità industriale, creativa, futuribile. Al di là dei comunicati ufficiali, e di un volto aziendale che su questi argomenti appare inespressivo, reticente o del tutto chiuso, una questione "tecnica" sta diventando, di anno in anno, un tema popolare: si aspetta una Fiat davvero nuova come un piccolo scatto d´epoca, un colpo di reni, e si pensa che
l´assenza di nuove Fiat (che non siano l´ennesimo remake, o un’americana travestita) sia uno dei più evidenti sintomi della crisi del nostro sistema industriale, dell´ingegneria creativa che ha dato, se non tutto, moltissimo allo sviluppo economico italiano. Da quando sono nato ogni età della mia vita ha avuto per corredo una nuova Fiat. Tranne l´età presente e, temo, quella futura. Collego la Fiat al passato, e non è un bel segno.
l´assenza di nuove Fiat (che non siano l´ennesimo remake, o un’americana travestita) sia uno dei più evidenti sintomi della crisi del nostro sistema industriale, dell´ingegneria creativa che ha dato, se non tutto, moltissimo allo sviluppo economico italiano. Da quando sono nato ogni età della mia vita ha avuto per corredo una nuova Fiat. Tranne l´età presente e, temo, quella futura. Collego la Fiat al passato, e non è un bel segno.
LA REPUBBLICA del 20 marzo 2012
L´onorevole Gasparri gode fama di politico esperto. Conquistata per accumulo, perché Gasparri fa politica dall´età di circa otto anni. Ma quando parla di Rai l´esperienza gli basta appena a controllare la fuoruscita di fumo dalle orecchie, per salvare almeno le apparenze. È la sostanza che lo tradisce, e insieme a lui tradisce la disperata resistenza che il centrodestra oppone al più o meno dissimulato commissariamento che tutti gli altri partiti (perfino loro) caldeggiano come sola via d´uscita dagli orrori della lottizzazione. Le ragioni sono ovvie quanto insostenibili: durante la lunga stagione politica appena conclusa, Pdl e Lega sono riusciti a imbottire la Rai di loro uomini, quasi nessuno dei quali aveva titoli professionali per poterselo permettere (la destra ha pochi intellettuali di vaglia, e tutti accuratamente emarginati). Nello scandalo annoso della spartizione partitica, ecco lo scandalo specifico di una lottizzazione di così infimo livello da sembrare un vero e proprio boicottaggio: in quale altro Paese e in quale altra epoca, sennò, uno come Masi avrebbe potuto diventare il dominus della prima azienda culturale? Pdl e Lega sanno benissimo che, se in Rai dovesse mai prevalere il merito, per i loro uomini diventerebbe impossibile dirigere anche solo le previsioni del tempo.
LA REPUBBLICA del 20 aprile 2012
Che un partito politico (la Lega) paghi al suo capogruppo (Calderoli) l´affitto di un appartamento a Roma, non è uno scandalo. Specie se raffrontato ai tanti scandali veri, e disgustosi, venuti alla luce a proposito dell´uso dei fondi pubblici destinati ai partiti. Ma si fatica, ormai, a fare distinzioni, a giudicare caso per caso. Si fatica perché ogni ragionamento è subito sommerso dalle urla indistinte della rivolta contro i partiti, e basta un giretto sul web per intendere che su questo argomento per ogni voce pacata ce ne sono dieci isteriche e violente, già disposte, in cuor loro, a sputare
sull´incatenato e ad applaudire il boia. È uno dei danni collaterali delle rivoluzioni: nel polverone, tra le rovine, nelle strade invase, tutti i braccati si assomigliano, siano grandi o piccole (e a volte inesistenti) le loro responsabilità. È come se, nella canea, andasse smarrito il vaglio delle colpe. E chi ha davvero rubato, chi ha scialato denaro pubblico, chi lo ha sottratto per i suoi porci comodi, è sempre il primo a dire che tutti sono ladri e tutti sporchi. Il vero politico ladro ha tutto l´interesse che si diffonda un clima di linciaggio: nella confusione, può sperare di farla franca.
sull´incatenato e ad applaudire il boia. È uno dei danni collaterali delle rivoluzioni: nel polverone, tra le rovine, nelle strade invase, tutti i braccati si assomigliano, siano grandi o piccole (e a volte inesistenti) le loro responsabilità. È come se, nella canea, andasse smarrito il vaglio delle colpe. E chi ha davvero rubato, chi ha scialato denaro pubblico, chi lo ha sottratto per i suoi porci comodi, è sempre il primo a dire che tutti sono ladri e tutti sporchi. Il vero politico ladro ha tutto l´interesse che si diffonda un clima di linciaggio: nella confusione, può sperare di farla franca.
LA REPUBBLICA del 4 aprile 2012
Più che alla disonestà vera e propria, gli scandali della Lega fanno pensare alla disperata precarietà strutturale di un partito inventato da un fanfarone di paese, finto medico, cantante fallito, che per oltre vent´anni è riuscito ad abbindolare un popolo evidentemente abbindolabile. Tutto, nella storia leghista, è improvvisato e cialtrone, a partire da quel logo fantasma, "Padania", che non ha alcuna attinenza con storia e geografia e pare sortito da un partita notturna a Risiko annaffiata da troppo alcol. Proseguendo con il ridicolo crak del credito padano, l´inverosimile carriera politica del povero Trota, il cerchio magico con le fattucchiere e le badanti, l´università dell´Insubria, gli amiconi illetterati messi alla Rai per puro sfregio, i finti ministeri a Monza, gli elmi cornuti, gli affaroni in Tanzania… È quasi prodigioso che con ingredienti così poveri la grande simulazione di Bossi abbia potuto reggere così a lungo. È come se un "Amici miei" di basso rango fosse arrivato a governare un Paese. Poi i giudici, non per colpa loro, arrivano sempre dopo. Dopo che milioni di italiani l´hanno bevuta, ci hanno creduto, si sono tappati occhi e orecchie per non sentire e non vedere.
LA REPUBBLICA del 30 maggio 2012
È solo un dettaglio. Ma vedere e sentire il redivivo Capezzone sbucare in un tigì per dire che «la vera grande opera è mettere in sicurezza tutto il Paese» desta totale sbalordimento. Neanche rabbia: puro sbalordimento. Ma come? Non era e non è, Capezzone, portavoce del partito di Berlusconi o di quel poco che ne rimane? E quando mai, nei lunghi anni di potere dell´uomo del ponte sullo Stretto, della New Aquila (!?), della cementificazione allegra, la messa in sicurezza di qualcosa è stata una priorità, o anche semplicemente un´urgenza? Non erano forse gli ambientalisti menagramo e nemici dello sviluppo a sostenere che bisognava usare tutti i quattrini a disposizione per aggiustare l´esistente, piuttosto che speculare sull´inesistente? Non erano forse gli intellettuali rompiballe, i geologi squattrinati, i vetero di ogni risma, quelli che remavano contro, a ripetere che è assurdo vaneggiare di grandi opere straordinarie in un Paese che, ordinariamente, si sgretola e cigola in ogni sua giuntura, strutturale e infrastrutturale? E adesso sbuca questo qui, verso l´ora di pranzo, a spiegarci che «la vera grande opera» è aggiustare quello che è rotto? Ma con che faccia? Con che coerenza? Con che curriculum? Con quali parole e quali atti alle spalle, che lo autorizzino a qualcosa di diverso da un doveroso silenzio?
LA REPUBBLICA del 5 aprile 2012
C’è una sola cosa che mette più tristezza di un calciatore che si vende una partita. Sono i tifosi ultras che scommettono contro la propria squadra, come è accaduto a Bari, e minacciano i giocatori di “andarli a prendere a casa” se non rispettano le consegne. Gente che almeno una volta nella vita avrà vergato su qualche cartello le sguaiate, patetiche professioni di fede delle curve, e poi la fede se la gioca nella prima bisca che gli capita a tiro. È proprio vero che i fanatici sono sempre i primi a tradire. Le passioni gonfiate, le estasi drogate sono le meno verosimili, gas che esplode ma non lascia sostanza, neppure cenere. È come in politica: per un estremista che si immola, cieco di passione, ce ne sono cento che voltano gabbana non appena si stufano di quel giochino, e ne vogliono un altro. È da tempo immemorabile che il calcio italiano vive nel terrore che gli ultras “lo vadano a prendere a casa”. Giocatori minacciati, inseguiti, pestati, irruzioni sui campi di allenamento con la tracotanza di una cosca che comanda e decide, autogrill devastati, coltellate omicide, bombe carta, spalti devastati. Ora la novità di un pezzo di curva che si vende il tifo per un tozzo di scommessa. I calciatori vengono sospesi e radiati. Ma i tifosi?
LA REPUBBLICA del 15 aprile 2012
"Facciamo il possibile per combattere il razzismo ma anche i media devono darci una mano", dice il direttore sportivo della Juventus Marotta. Eccoci qua, pronti a dare una mano e addirittura un suggerimento. Quasi ogni stadio italiano ha, in curva, il suo nazi-point. Quello in dotazione alla Juve ha accumulato, quest’anno, il record di multe per cori razzisti, e il cumulo è tale da rasentare la squalifica del campo. Nessuno meglio dei dirigenti della Juve è in grado di sapere chi sono i farabutti che insozzano quel magnifico stadio. Più in generale: nessuno meglio dei dirigenti del calcio italiano conosce nome, cognome e indirizzo dei capi tribù che tengono in ostaggio gli stadi, gli autogrill, le domeniche di noi tutti. Ecco dunque il suggerimento: la società Juventus, che dalla piaga del razzismo è danneggiata moralmente ed economicamente, faccia pressione sulle altre società professionistiche per una denuncia congiunta, forte, energica, ufficiale, molto pubblicizzata, di quei mascalzoni. È pericoloso? Sì, probabilmente lo è. Ma è certamente più pericoloso, in Sicilia o a Napoli o in Calabria, ribellarsi al pizzo. Eppure c’è chi lo fa. Gli ultras sono forse più potenti della mafia? E nello specifico, la Fiat è disposta a farsi tenere in pugno da quattro nazistelli?
LA REPUBBLICA del 31 maggio 2012
Memorabile lo speciale di Bruno Vespa sul terremoto, l´altra sera. L´ho seguito per un paio d´ore, al tempo stesso ammirato e atterrito
dall´eccitazione quasi folle che la catastrofe aveva innescato nell´uomo e nel professionista. Parlando a mitraglia, con lo sguardo acceso, a volte mulinando una bacchetta per indicare mappe, coordinare inviati, ammonire geologi, Vespa ha in pratica gestito da solo i soccorsi. Punto alto della serata, il severo monito da lui rivolto a una terremotata affinché raggiungesse immediatamente, non si sa perché, un albergo di Reggio Emilia. La signora, costernata, non ne aveva alcuna voglia, ma le è mancato l´animo di dirlo, forse perché le dispiaceva deludere Vespa. Niente poteva sfuggirgli: discrepanze nelle carte telluriche, disponibilità di camere d´albergo nel raggio di centinaia di chilometri dall´epicentro, imprecisioni di sindaci e assessori sul numero esatto delle brande, delle cucine da campo, dei picchetti per le tende. Gli ospiti hanno potuto parlare pochissimo, anche perché dopo poche sillabe Vespa toglieva loro la parola per dire meglio di loro quanto avrebbero voluto dire. Sono rimasti per ore, muti e attoniti, seduti ai loro posti, chiedendosi anche loro perché era così urgente che almeno alcuni dei senzatetto raggiungessero immediatamente Reggio Emilia. Ma non hanno osato chiederlo.
dall´eccitazione quasi folle che la catastrofe aveva innescato nell´uomo e nel professionista. Parlando a mitraglia, con lo sguardo acceso, a volte mulinando una bacchetta per indicare mappe, coordinare inviati, ammonire geologi, Vespa ha in pratica gestito da solo i soccorsi. Punto alto della serata, il severo monito da lui rivolto a una terremotata affinché raggiungesse immediatamente, non si sa perché, un albergo di Reggio Emilia. La signora, costernata, non ne aveva alcuna voglia, ma le è mancato l´animo di dirlo, forse perché le dispiaceva deludere Vespa. Niente poteva sfuggirgli: discrepanze nelle carte telluriche, disponibilità di camere d´albergo nel raggio di centinaia di chilometri dall´epicentro, imprecisioni di sindaci e assessori sul numero esatto delle brande, delle cucine da campo, dei picchetti per le tende. Gli ospiti hanno potuto parlare pochissimo, anche perché dopo poche sillabe Vespa toglieva loro la parola per dire meglio di loro quanto avrebbero voluto dire. Sono rimasti per ore, muti e attoniti, seduti ai loro posti, chiedendosi anche loro perché era così urgente che almeno alcuni dei senzatetto raggiungessero immediatamente Reggio Emilia. Ma non hanno osato chiederlo.