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LA REPUBBLICA del 15 marzo 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Sì, la ministra Fornero poteva evitare di dare in pasto ai cronisti la parola "paccata" (e più in generale: i professoroni al governo dovrebbero mantenere un aplomb più professorale). Ma che dire di una comunità mediatica che su quella parola costruisce la descrizione di una trattativa, quella sul lavoro, che dura da settimane, e attorno a frasette del genere disfa e ricuce la trama di un rapporto (quello tra governo, sindacati e Confindustria) che è complicato da capire perfino per i protagonisti? Che dire di un giornalismo per il quale ogni dissidio diventa "rissa", ogni inciampo diventa "rottura", e per speziare il suo minestrone quotidiano abusa di "proposte shock", "dichiarazioni shock", "notizie shock", come se l´opinione pubblica fosse sordastra e solo l´urlaccio nelle orecchie potesse attirare la sua attenzione? A che servono, poi, le pazienti ricostruzioni, le schede tecniche, le inchieste che sviscerano e spiegano, se la confezione è quasi sempre un titolaccio "shock", se i titoli dei telegiornali (che danno il là all´intero coro mediatico, anche quello di carta) si fabbricano con i cocci di frase raccattati nei corridoi? Sono i media grossolani a costruire un pubblico superficiale. L´alibi, poi, è accusare il pubblico di essere superficiale. 

LA REPUBBLICA del 18 febbraio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il ventennale di Mani Pulite è stato celebrato meno istericamente del previsto (il clima sobrio e leggermente soporifero di questa parentesi "tecnica" serve, almeno, a mitigare i bollori politici). Ma è stato celebrato, quasi da tutti, come una sconfitta. Specie alla luce dei recenti e desolati calcoli sulla corruzione, che gode di eccellente salute. Ci si illuse, allora, che un manipolo di giudici valorosi avrebbe rimesso in riga un Paese che era, quanto a illegalità, perfettamente speculare alla sua classe dirigente. Le fiaccolate e il mito della "società civile" fecero corona a quell´appassionante colpo di reni della legge, e tutti facemmo finta che due evidenti minoranze (quei giudici, preceduti da decenni di insabbiamenti e omissioni; e la "società civile") incarnassero un´irresistibile volontà popolare. Così non è stato, e l´innamoramento di mezza Italia per Berlusconi segnò anche il bisogno irresistibile di abbandonare la plumbea severità della legge per tornare alla pacchia generalizzata e all´autoassoluzione di un Paese che di sentirsi in colpa non aveva alcuna voglia. Questi vent´anni sono dunque serviti almeno a capire che se non cambiano gli italiani, grazie a un profondo travaglio culturale e politico, nessuna legge sarà in grado, da sé sola, di cambiare alcunché. 

LA REPUBBLICA dle 19 febbraio 2012

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Nel clima certo non favorevole ai partiti, stupisce che si sia parlato così poco, e in modo piuttosto frammentario, di uno scandalo che a me pare gigantesco, e davvero gravissimo in termini di credibilità della politica. Mi riferisco al finto tesseramento al Pdl, con migliaia, forse decine di migliaia di iscritti "a loro insaputa" (tra i quali, per garantire anche il lato comico, anche morti e comunisti…), compreso, per fare prima e non faticare troppo a stilare liste, l´elenco completo di un´associazione di cacciatori del Veneto. Pare che la causa scatenante di questo mercato fraudolento sia il controllo, regione per regione, del partito, che almeno sulla carta dovrebbe funzionare, di qui in poi, attraverso regolari congressi, proprio come se fosse un partito vero, e non più per acclamazione del suo fondatore, finanziatore e proprietario. La cosa triste, e politicamente micidiale, è che sarebbe dunque proprio l´abbandono del sistema ducesco-acclamatorio, e il transito alla democrazia, ad avere scatenato questa schifosa frode. Tanto per assestare un colpo in più – come se ce ne fosse bisogno – al sistema dei partiti. E dare qualche argomento in più a chi, della democrazia, proprio non sentiva l´esigenza, e gli bastava l´ovazione al Capo per sentirsi un militante modello. 

LA REPUBBLICA del 3 marzo 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il Quotidiano di Calabria chiede di dedicare il prossimo otto marzo a Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola, Giuseppina Pesce. Sono tre donne nate in famiglie di ‘ndrangheta che si sono ribellate al loro destino. Il patriarcato assassino che regge le sorti di quello sventurato pezzo di Italia ha ucciso la prima (Lea) e ha costretto al suicidio la seconda (Maria Concetta). Giuseppina è riuscita a fuggire ed è testimone di giustizia, a nome suo e di tutte le persone libere. Al Quotidiano arrivano migliaia di adesioni. Aggiungo anche la mia. Chi ritiene l´otto marzo una ricorrenza inutile, fuori tempo massimo, rifletta sulla condizione di assoggettamento e umiliazione che ha spinto Lea, Maria Concetta, Giuseppina al martirio e alla fuga. "Famiglia", nel meridione d´Italia, è spesso parola di spietata ambiguità. Rimanda alle mafie, ai vincoli ferrei e spesso mostruosi che fanno di ogni individuo non una persona, ma il membro di un branco; e fanno delle donne le custodi mute e sottomesse di quella catena di sangue, avidità e oppressione. Se a disobbedire è una donna, l´intera catena rischia di spezzarsi. Alle donne, nella maggior parte di questo pianeta, si adatta perfettamente ciò che Marx disse dei proletari: non hanno da perdere che le loro catene. 

LA REPUBBLICA del 6 marzo 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Fa male sentire che qualche tigì chiama ancora "delitto passionale" mattanze come quelle di Brescia, dove un maschio reso feroce dalla sua demenza, o reso demente dalla sua ferocia, uccide una donna che considera "sua" e non lo vuole più. E come contorno della sua orribile esecuzione ammazza altre tre persone (due delle quali ventenni) che avevano per sola colpa essere prossimi alla vittima: amico, figlia, fidanzato della figlia. Perché gratificare di "passione" questo nazismo maschile che ogni anno produce, solo qui in Italia, un vero e proprio olocausto di femmine soppresse solo perché non vogliono più appartenere (come bestie, come cose) a un padrone, e per giunta un padrone violento? "O mia o di nessuno", dice il boia di turno, ed è la perfetta sintesi di una cultura arcaica e mostruosa che – esattamente come il movente razziale – dovrebbe costituire un´aggravante, in un paese civile. Mentre l´aggettivo "passionale" rimanda, purtroppo, a una sorta di attenuante, quasi di "spiegazione": e fino a una generazione fa, qui in Italia, era di fatto un´attenuante giuridica. Levato dai codici quell´infame eufemismo che erano le "ragioni di onore", rendiamo onesto, veridico anche il linguaggio giornalistico. Passione e amore non c´entrano, c´entrano il potere, il terrore di perderlo, l´odio della libertà. 

LA REPUBBLICA del 14 febbraio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Èmolto in voga, tra i governanti deposti, lodare il governo Monti come ideale prosecutore della loro opera illuminata. 
Da Alfano al socialista (ah! ah! ah!) Cicchitto e addirittura alla Santanché, che avendo sentito dire che Monti è "di destra" se ne sente in qualche modo imparentata. Il trucco è patetico, ma fa parte di quegli auto-inganni che aiutano a tirare avanti quando i conti con se stessi sarebbero troppo dolorosi. Basterebbe una lettura anche distratta della stampa del pianeta Terra per prendere atto che il cambio Berlusconi-Monti è vissuto, nel mondo intero, come un miracoloso ribaltamento: come se la Costa Concordia si raddrizzasse da sé sola, tirasse un muggito con la sirena e riprendesse la navigazione. Niente – non lo stile, non gli obiettivi, non la velocità di esecuzione, perfino non l’aplomb dei maschie delle femmine- rassomiglia, nel governo Monti, al precedente. Destra, per altro, significa poco, forse anche meno di sinistra. Di destra furono Mussolini e Einaudi, Almirante e Scalfaro. Di destra è la Minetti e probabilmente il ministro degli Interni Cancellieri. Non solo non c’è nesso, ma c’è una cesura clamorosa, mai vista nella storia repubblicana, tra la destra di Arcore e quella che ne ha pietosamente rimosso la salma. 

LA REPUBBLICA del 4 febbraio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Era improbabile che la surrealtà nella quale noi italiani abbiamo vissuto per lunghi anni potesse essersi dissolta con la mera caduta politica del suo artefice massimo, Silvio Berlusconi. E infatti, non si è dissolta. Per celebrare, a Roma, l´esordio letterario del deputato Razzi (ex Idv, oggi Responsabile), si è materializzato, accanto allo stesso Razzi e a Berlusconi in persona, un sosia dell´onorevole Scilipoti. Già il fatto che il deputato Razzi (se non lo avete mai sentito parlare, non potete capire) abbia scritto un libro, costituisce una scherzosa effrazione della realtà così come l´abbiamo sempre conosciuta. Ma per elevare al cubo l´assurdità della circostanza, ecco il debutto pubblico di uno Scilipoti bis, della cui vera identità ovviamente nessuno si è reso conto perché già l´originale, lo Scilipoti vero, pare a sua volta il replicante di varie e antiche macchiette regionali del Sud. Quello avvistato l´altra sera a Roma era, dunque, il sosia di un sosia, così come, se Pulcinella è uno, i suoi interpreti sono tanti. Ha spiegato a un paio di giornalisti, serissimo, di non essere il solo sosia di Scilipoti. "Siamo in parecchi", ha detto. E non è affatto scontato che lo Scilipoti che siede in Parlamento sia quello vero. 

LA REPUBBLICA del 16 febbraio 2012

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
I (pochi) oppositori del "no" olimpico di Monti sostengono che il rilancio di un paese in crisi passa anche dalla fiducia nelle proprie forze e nel futuro, e rinunciare ai Giochi significa quasi ufficializzare il clima da Grande Depressione, perpetuandolo. Sarà: ma deprime di più pensare a un paese che, per anni, ha lasciato dissestare il proprio territorio e andare in malora le proprie infrastrutture, accettando treni vergognosi (a parte la Tav), servizi scadenti, scuole languenti, in cambio dell´illusione di Grandi Opere megalomani e spesso solo sulla carta, fumo negli occhi come il Ponte sullo Stretto, vetrine pacchiane che celano un retrobottega vuoto. Tra le famose "scelte della politica", specie in tempi di penuria, una normalità decente vale molto di più di una straordinarietà luccicante ma illusoria. Il famoso paese normale che tutti invochiamo – per ora inutilmente – è anche un paese che non considera mediocre o perdente una dignitosa quotidianità, e diffida dell´ottimismo cialtrone come delle sabbie mobili. Le Olimpiadi non dispiacciono a nessuno, ma il vero sogno italiano, di qui al 2020, sarebbe ristabilire un minimo di gerarchia tra l´indispensabile e il superfluo. Il secondo, senza il primo, è puro inganno. 

LA REPUBBLICA del 7 marzo 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
I commenti di molti dirigenti del Pd alle primarie di Palermo sono in qualche caso meschini, e in tutti i casi divaganti. Meschini: perché la sconfitta della Borsellino è usata per la propria parrocchia, con i centristi che ricusano l´alleanza con Vendola e la sinistra che accusa i centristi di avere remato contro. Divaganti: perché nonostante le mazzate prese per ogni dove dal "candidato del Pd", nel Pd ancora non si è capito che l´errore madornale (lo spiegava bene ieri, su questo giornale, Giancarlo Bosetti) è proprio proporre un "candidato del Pd". Le primarie, per loro natura, non prevedono investiture preventive. Si fanno apposta per far scegliere ai propri elettori, in una rosa piuttosto varia, chi sarà il candidato, in questo caso alla poltrona di sindaco. Perdere le primarie è dunque impossibile, e lo è strutturalmente: perché "il candidato del Pd", molto banalmente, è quello che vince tra i vari concorrenti. Come accade negli Usa per le primarie democratiche e repubblicane. Se capisse questa ovvietà (che lo espone a "scalate" di outsiders, ma lo qualifica come un partito aperto e vivo) il Pd vincerebbe tutte le primarie di qui al Tremila. E si libererebbe delle residue incrostazioni da Politburo che lo rendono poco lucido e a tratti – non saprei dirlo diversamente – incredibilmente tonto. 

LA REPUBBLICA del 7 febbraio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Zapping casuale (e fulminante) domenica sera. Su Raitre, Gherardo Colombo sostiene che il vero problema del nostro Paese non è giudiziario, è culturale: la maggioranza degli italiani non capisce a che cosa servono le regole, e fino a che non lo capirà anche il più equo dei sistemi giudiziari potrà fare ben poco. Su Raidue, in quel preciso momento, Fabio Capello, uno dei più stimati allenatori italiani, a domanda risponde che Luciano Moggi è stato un eccellente dirigente sportivo (il giovane Andrea Agnelli, pochi giorni prima, aveva detto: il migliore di tutti). Neanche mezza parola sul processo per frode sportiva, sulle schede telefoniche estere regalate agli arbitri, sull´intera, complicata ma ineludibile vicenda che chiamiamo Calciopoli. Capello ha risposto, indirettamente, a Gherardo Colombo. Confermandone la tesi. Moggi è stato "il migliore di tutti" perché ha vinto moltissimo, non importa con quali mezzi, né trasmettendo quali valori al suo gruppo di lavoro. Le ombre etiche e le macchie giudiziarie sono considerate irrilevanti perché irrilevante, in fin dei conti, è il rispetto delle regole. Per molti italiani, anche di livello (Capello lo è), le regole sono considerate, in fondo, l´ultima risorsa dei deboli e degli invidiosi. 
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