LA REPUBBLICA del 3 febbraio 2012
"La più colossale banca dati che il mondo abbia mai visto": così Vittorio Zucconi, ieri su questo giornale, definiva Facebook, aiutando anche i poco esperti in materia (per esempio me) a capire la favolosa quotazione in Borsa della società del giovane Zuckerberg. Zucconi calcola anche il valore commerciale di ciascuno degli ottocento milioni di abitanti di Facebook: dieci centesimi. Spiccioli che il social network ha saputo assemblare fino a farne una montagna d´oro, trasformando una moltitudine di singoli consumatori in un immane corpus transnazionale. Un archivio dei gusti umani consultabile da chiunque voglia farne commercio. Niente di illegale, è evidente, e neanche niente di subdolo: chi apre porte e finestre di casa sua in rete, sa bene di rendersi visibile non solo ad amichetti e amichette ciarlieri, ma anche alla più pervasiva e capillare rete commerciale della storia. Ma se questo gregge smisurato di umani, venduto e comperato all´ingrosso ogni millesimo di secondo, dovesse rendersi conto del pluslvalore che produce, e che gli viene oggettivamente estorto; e trovasse i modi e i mezzi per rivendicare per sé almeno parte dei miliardi lucrati sulla sua visibilità: beh, al confronto anche la rivoluzione proletaria sarebbe una barzelletta. E il mondo tremerebbe dalle fondamenta.
LA REPUBBLICA del 21 dicembre 2011
"Il Segretario del Partito Marco Rizzo e il Responsabile esteri Alfonso Galdi hanno espresso dolore e presentato le proprie condoglianze al popolo nordcoreano per la morte di Kim Jong-il, guida della causa rivoluzionaria dell´ideologia Juche e del Partito, dell´esercito e del popolo della Repubblica Democratica Popolare di Corea". Questo comunicato ufficiale, apparso ieri sul sito dei Comunisti-Sinistra Popolare, ha avuto meritata fortuna tra i numerosi fan del paranormale. Forse per un disguido, o per un malevolo boicottaggio, il comunicato è apparso monco della sua seconda parte, anch´essa molto rilevante, che qui riportiamo: "Il Segretario Rizzo e il responsabile esteri Galdi sono altresì vicini al popolo plutoniano nel giorno del Sacro Hooog, in cui, a mille anni dalla sua morte in battaglia, si celebra la reincarnazione del Generalissimo Kkipga in un cavallo fosforescente. E invitano i fedeli a visitare il monastero virtuale di Hammon, nella galassia di Popelin, dove è possibile vedere lacrimare una statua della Beata Kattarinetta, figlia di Ponk, re di Ork, destinata a redimere la Via Lattea prima che si avveri il Grande Malefizio".
LA REPUBBLICA del 20 gennaio 2012
La giornalista del tigì che insegue trafelata il comandante De Falco e gli chiede (gridando per farsi sentire): «lei è un eroe? », mentre quello, giustamente, fugge e preferirebbe sprofondare piuttosto che risponderle (perché quale persona al mondo accetterebbe di rispondere a una domanda del genere senza sentirsi ridicolo o stupido?) ; quella giornalista, dicevo, è a sua volta un´eroina, perché accetta di incarnare fino in fondo, fino allo stremo, il ruolo assurdo che il dovere le assegna. Che è quello di confezionare la realtà come uno spettacolo facile facile, commestibile per tutte le bocche, uno spettacolo con i buoni e i cattivi, gli eroi e gli infami, i vincitori e i vinti. Senza le sfumature, le ambiguità, i margini di dubbio, uno spettacolo fatto solo di chiari e di scuri, che lo capiscano anche i bambini, oppure quegli adulti ridotti a bambini che la tivù amerebbe noi fossimo. Una volta vidi Benigni sistemare le luci prima di una sua apparizione televisiva. Tenne ai tecnici una breve lezione: «Mi raccomando levatemi ogni ombra. Il comico deve apparire sempre in piena luce o nel buio fondo, perché il comico è come un cartoon: non ha psicologia, dunque non ha sfumature». È esattamente per questo che la domanda «lei è un eroe? » suona, alle nostre orecchie, come una domanda comica.
LA REPUBBLICA del 6 dicembre 2011
Si deve essere grati al capogruppo del Pdl, il socialista Cicchitto, per averci solennemente ricordato in Parlamento che il governo Berlusconi aveva abolito l´Ici. È anche da misure demagogiche come quella che sono nati lo sfascio dei conti pubblici, la prostrazione economica degli enti locali, il conseguente ritrarsi dei servizi sociali. Niente di quanto ci sta accadendo ora – compresa una manovra economica aspra con tutti ma inclemente soprattutto con chi ha faticato di più e ha evaso di meno – è spiegabile senza la catastrofe politica che lo ha preceduto. Si vorrebbe che gli esponenti di punta del precedente governo, che di questa crisi sono la quintessenza, e ne incarnano il volto, ne parlassero, se non con umiltà, almeno con accenti di incertezza, come accade, in genere, agli sconfitti. Ne parlano, invece, con boria immutata, come se la ricetta dell´abbondanza e del bel vivere fosse una specialità della casa, e l´abolizione dell´Ici, anziché una smargiassata senza copertura economica, fosse stata il do di petto di una maggioranza in stato di grazia, che stava trascinando il Paese a un trionfale benessere. Poi, come accade ai Grandi della Storia, è stato il destino cinico e baro a rispedirli a casa e a reintrodurre l´Ici.
LA REPUBBLICA del 22 novembre 2011
Detto tutto il bene possibile dello stile, dei toni bassi, del ritrovato aplomb di Stato, perfino del trolley che il professor Monti traina di persona, come se fosse un essere umano par nostro, non ha per niente torto Vendola quando dice di aspettare il nuovo governo al varco dell´equità sociale. Perché se è vero, come si mormora, che esiste un veto della destra sulla patrimoniale (la destra ha pur sempre in viva simpatia i ricchi, specie se il suo dominus è uno straricco) allora non si capisce bene con quali quattrini dev´essere tessuta la toppa che serve a riparare il Grande Sbrego. Viene un momento (per fortuna) che la politica, dopo avere tanto complicato, è la sola che può semplificare, e chiarire da che parte si deve e si può andare. In un paese dove le dichiarazioni dei redditi sono una fotografia pallida e mendace della ricchezza vera, ci sarà pure il modo di spillare qualcosa dai patrimoni (immobili, depositi bancari, portafogli azionari, titoli). Anche perché "chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato" è il detto più italianamente rassegnato, conservatore e vigliacco: chi ha avuto è ora che dia qualcosa, chi ha dato è ora che abbia un poco di tregua. E tutto il resto è solo parlare d´altro.
LA REPUBBLICA del 7 dicembre 2011
In genere ci si indigna quando noti criminali, usciti dal carcere, fanno pubblico mercato della propria fama, comparendo in tivù o rilasciando interviste. Poi capita che la giovane matricida e fratricida Erika, scontata la sua pena, chieda di essere lasciata sola con i suoi terapeuti nella sua comunità; e quasi tutti i telegiornali e molti giornali le dedicano lunghi servizi nei quali, con toni accorati, si dice che la ragazza chiede il silenzio, e nel frattempo la si vede nelle immagini di repertorio o in altre, più fresche, rubate da una telecamera che fruga oltre la siepe che dovrebbe proteggere lei dal nostro sguardo, e il nostro sguardo da lei. Ed ecco che la sua richiesta di silenzio viene ribaltata in nuovo rumore, come se tutti gli attori di questo dramma dell´indiscrezione fossero nell´impossibilità di variare il copione, anche volendolo. E la ragazza che fugge dai riflettori, dai riflettori viene braccata per mostrarla mentre fugge dai riflettori. Forse anche i media – come Erika – vorrebbero ritrarsi, ma non ne sono più capaci. Fanno del proprio potere un uso compulsivo, e dunque più che esercitarlo lo subiscono. Più che del loro potere, dovremmo cominciare a discutere della loro impotenza.
LA REPUBBLICA del 23 novembre 2011
I MOLTI MODI POSSIBILI DI FARE CULTURA
Se (come giustamente sollecita il Capo dello Stato) verrà concessa la cittadinanza ai figli di migranti che nascono in Italia, e che sono italiani per logica, per crescita e per educazione, ma non per la legge, dice il Calderoli che la Lega "farà le barricate". Credo che ci sia un errore, annoso, al quale rimediare. Un peccato di omissione del quale rischiamo, presto o tardi, di doverci vergognare non solo di fronte ai figli di migranti che nascono in Italia, ma anche di fronte ai nostri figli. L´errore è questo: che ogni volta che Calderoli o un altro gerarca verde ha aperto la bocca per minacciare barricate, o schioppettate, o forconate, e sempre per qualche causa ripugnante o qualche ragione tirchia, e sempre con quel ghigno gongolante e quei toni da taverna di chi si sente popolo in mezzo ai fighetti; avremmo dovuto rispondergli, metafora per metafora, che le loro barricate, se prima non arrivano l´esercito o i carabinieri a spianarle, gliele tiriamo giù noi con la ruspa e poi ci piantiamo sopra il Tricolore repubblicano, perché di vent´anni di razzismo organizzato ne abbiamo le balle piene, e di ruspisti ne conosciamo a gogò. La Lega crede di avere il monopolio dei modi bruschi, ma sbaglia. Nelle taverne del Nord che frequentiamo il dito medio lo mostrano a chi odia l´Italia, non a chi arriva da lontano per nascerci.
LA REPUBBLICA del 8 dicembre 2011
"Ebreo comunista miliardario" scrive su Facebook, a proposito di Roberto Benigni, un uomo di punta del Pdl calabrese, assessore all´Urbanistica del capoluogo, avvocato, ex coordinatore di An, insomma a tutti gli effetti un esponente della classe dirigente del primo partito italiano. Il trittico di epiteti ha due aspetti rilevanti, e tipici. Il primo è che (ovviamente) non sono epiteti, ma lo diventano nella cultura paranoica di una destra ammalata di ignoranza e di paura. Il secondo è che al classico abbinamento "ebreo e comunista" (due gruppi di esseri umani che hanno potuto frequentarsi soprattutto nei lager nazisti, insieme agli zingari e agli omosessuali), si aggiunge "miliardario" perché l´ingrediente populista, non nuovo ma assai potenziato nel ventennio berlusconiano, si nutre di un odio indeterminato e pregiudiziale per ogni genere di élite. Agli artisti di successo capita di guadagnare bene. Se sono di destra, la circostanza è considerata congrua e perdonabile. Se di sinistra, un turpe scandalo. Un recente paginone del "Giornale" contro Roberto Vecchioni gli rinfacciava fino all´ossessione, fino al tic nervoso, dieci volte, cento volte, di essere "ricco", "lautamente pagato", "attaccato ai soldi". "Ebreo" non gli veniva imputato. Forse una dimenticanza.
LA REPUBBLICA del 24 novembre 2011
Con allegra perfidia, i due sindacalisti della Fiom Landini e Airaudo hanno sollecitato il governo a pretendere, per i ministeri, "auto italiane". Ben sapendo che, Maserati a parte, ben poco di ministeriale viene prodotto dalla Fiat da molti anni, e l´intera classe politica nazionale sarebbe dunque costretta a girare in Panda (o in Vespa, molto chic ma scomodo in inverno). Qualunque cosa si pensi di Marchionne e della complicata vertenza Fiat, questo è un punto decisivo: se Fiat è ancora una fabbrica di automobili, dove sono le nuove automobili? La mancanza, dopo il remake della Cinquecento, di nuovi modelli in grado di segnare il costume italiano (come Fiat ha fatto per quasi un secolo) è la prova provata di una fuga degli investimenti dalla fabbrica ad altri lidi, dal prodotto all´economia immateriale. Un ammainabandiera che rischia di far languire quel tanto o quel poco di tifo nazionalista che ancora si raccoglie attorno al glorioso marchio, e rende non solo plausibile, ma del tutto ragionevole la domanda del sindacato: scusate, ma dov´è il piano industriale? La speranza (paradossale) è che il mercato finanziario vada perfino peggio del mercato dell´auto, riportando in fabbrica almeno gli spiccioli…
LA REPUBBLICA del 9 dicembre 2011
Il governo Monti può piacere o no. Ma è ingeneroso pretendere che faccia cose di sinistra, per il semplice fatto che di sinistra non è. Le cose di sinistra (la famosa equità sociale) proverà a farle la sinistra nel caso – tutt´altro che certo – che vinca le prossime elezioni. In questo frattempo l´obiettivo dichiarato è evitare la bancarotta del Paese e ricostruire una dignitosa immagine nazionale da offrire a noi stessi e al resto del mondo. Punto. Berlusconi non è stato destituito dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, o dalla Fiom con le bandiere in resta, o dagli indignati vittoriosi e costituiti in Direttorio in collegamento con Santoro; ma da una vecchia élite borghese con i capelli bianchi, disgustata dal populismo becero e dalla mancanza di stile e di talento (la forma è anche sostanza) della classe dirigente di centrodestra. La sinistra – eletti ed elettori – è autorizzata a sognare la futura equità, e a lavorare per questo. Non a rimproverare a Monti ciò che Monti non può fare prima di tutto perché gli manca il mandato elettorale, e poi perché non è certo da un bocconiano liberal-cattolico che si può pretendere un New Deal italiano. Chi a sinistra si lamenta di Monti perde il suo tempo e ruba energie alla costruzione di una alternativa elettorale seria.