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LA REPUBBLICA del 25 novembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Le facce e le voci, dalla Fiat di Termini Imerese che chiude e se ne va, sono di desolazione e di impotenza, quasi che perdere il lavoro sia una catastrofe naturale. C´è più rabbia tra gli alluvionati che tra i licenziati, e questo è un portato dei tempi, un segno di quanto profonda sia stata la disfatta politica e culturale della sinistra, che voleva mettere la produzione al servizio degli uomini e non viceversa. È viceversa che ha vinto. Gli esseri umani, esattamente come scriveva Marx quasi duecento anni fa, sono una variabile del capitale. Tutti o quasi hanno coscienza, anche nel sindacato, anche tra gli operai, che l´alternativa sperimentata (il socialismo reale, l´economia statalizzata) è stata perfino peggiore, non solo più inefficiente, anche più inumana e oppressiva. Ma il problema resta: gigantesco, incombente, irrisolto. Uomini come ingranaggi, come pezzi da usare se servono, da accantonare quando non rendono abbastanza, come in "Tempi moderni" di Chaplin. Due secoli di lotte hanno strappato orari più umani, salari meno miseri, diritti in fabbrica, ma non hanno potuto inventare o suggerire o imporre un modo di produzione in cui siano padroni gli esseri umani e non il capitale. 

LA REPUBBLICA del 10 dicembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Le paurose paginate di giornale sulla congiuntura economica, giungle di cifre e percentuali, labirinti di balzelli presenti e futuri, hanno alla fine
l´effetto di farci sentire del tutto impotenti di fronte a quello che già alla fine del secolo scorso la saggista francese Viviane Forrester battezzò
«L´orrore economico». A meno di soffrire di una sorta di feticismo contabile, l´istinto è alzare le mani, chiedere il conto, pagarlo (se si è in grado) e andarsene in mezzo ai boschi o alla neve o al mare, per capire che cosa ci rimane da pensare, da vedere, da sognare al di fuori dei quattrini. Non è una questione di morale, ma di metabolismo. È il corpo che si rifiuta, alla lunga, di misurare il mondo solo con il metro economico, di parlare solo di soldi, di calcolare la giornata, la settimana, la vita come una variabile dipendente dai bilanci statali, aziendali, familiari. L´economia è un insieme di diagrammi dentro i quali cerchiamo giorno dopo giorno il nostro puntino. Ma non siamo solo quel puntino, per fortuna. Siamo fatti di carne e ossa, e dotati di cinque sensi che non riescono a nutrirsi solo di videate e di scartoffie. L´economia è roba metafisica, riguarderà magari l´anima degli umani: ma la vita fisica esige altre emozioni, e si sente soffocare nella galera dei conti pubblici e privati.

LA REPUBBLICA del 29 novembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Sapere chi abbia ragione e chi torto, tra il sindaco Pisapia e il suo ex assessore Stefano Boeri, è importante ma non decisivo. Decisivo è capire che i soli veri sconfitti sono gli elettori milanesi che pochi mesi fa, per mandare Pisapia a Palazzo Marino con una maggioranza schiacciante, avevano messo da parte differenze e diffidenze ben più cospicue di quelle che oggi lacerano il governo di Milano. A festeggiare in piazza del Duomo c´erano la borghesia che vota al centro e i ragazzi dei centri sociali, i vecchi militanti dei partiti di sinistra e la nuova leva di cani sciolti internettari, i referendari senza tessera che si mobilitano di volta in volta e i funzionari di partito che sono mobilitati per mestiere. Pur di costituirsi in una nuova maggioranza, ognuno di questi elettori aveva rinunciato a qualcosa e aveva accettato di fidarsi degli altri. Ovvio che, dentro il potere, le ragioni di discussione e di lite sono molto solide e molto ingombranti. Ma come è possibile che lo spirito di quei giorni, che concedeva così poco al puntiglio individuale e alla vanità personale, faccia già parte del passato? 

LA REPUBBLICA del 4 novembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
L´incendio "purificatore" del glorioso giornale satirico parigino Charlie Hebdo da parte di fanatici islamisti costringe a rifare i conti (non fatti) con la mano omicida dell´integralismo musulmano. La stessa che ha ucciso il regista Theo Van Gogh, condannato a morte Salman Rushdie, accoltellato il suo traduttore italiano, assassinato il suo traduttore giapponese. Gli italiani a Parigi sono di casa, ma di quelle fiamme, qui da noi, è arrivato appena un remoto riverbero. Mentre Le Monde dedicava al rogo di Charlie un severo editoriale di prima pagina, i commenti italiani sono stati in genere blandi, prudenti e molto confusi. Molti imputano al giornale francese la "colpa" di avere "scherzato con la religione". Altri definiscono assurdamente "una provocazione" la scelta di una tivù tunisina (anche lei assaltata dagli islamisti) di mandare in onda un capolavoro della tolleranza laica come il film d´animazione Persepolis. Se siamo così incerti e così impreparati quando si tratta di difendere la libertà di espressione e la tolleranza, non ci dobbiamo meravigliare, poi, se hanno campo libero, e un successo travolgente, le reazioni intolleranti e razziste, alla Oriana Fallaci. È sempre la viltà dei pacifici che dà spazio (immeritato) ai fanatici.

LA REPUBBLICA del 30 novembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Una comunità civile – strenuamente civile – come quella norvegese maneggia con comprensibile fatica lo stragista Breivik, le sue idee primitive, il suo crimine bestiale. Le leggi impediscono la vendetta, che è barbarica (e dunque familiare a Breivik, non ai suoi giudici) e addirittura costringono quel tribunale a porsi, su un uomo che ha macellato decine di ragazzi come agnelli, la fatidica domanda se sia solo un criminale o soprattutto un pazzo, dunque da curare (la diagnosi dei periti è "schizofrenia paranoica") più che da punire. La domanda, in realtà, andrebbe estesa a molti criminali di guerra, nonché a tutti o quasi i crimini innescati dall´odio razziale o religioso, tanto "folle" appare, alla nostra ragione nonché alla nostra pietà, la decisione di sopprimere qualcuno perché considerato inferiore, infetto, alieno e pericoloso. Molte idee sono malate, schizofreniche e paranoiche fino dalla loro formulazione. Il razzismo lo è certamente, benché abbia disperatamente tentato, per secoli, di darsi una struttura culturale e "scientifica". Far capire ai razzisti che sono malati non risolve certo il nostro problema (che è metterli nelle condizioni di non nuocere). Ma forse, può aiutarli a risolvere il loro. 

LA REPUBBLICA del 5 novembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
«Dicono tutti che c´è la crisi ma i ristoranti sono pieni» è un classico dell´uomo della strada. Lo dice il tassista, lo dice l´avventore del bar, probabile che lo abbia detto ciascuno di noi in uno di quei momenti di spensierata dabbenaggine che costellano la vita di ogni persona qualunque. Sentire per la prima volta pronunciare quella frase al G20, da un capo di governo, è una svolta storica: vuol dire che l´uomo della strada, con tutta la sua spensierata dabbenaggine, è arrivato al vertice. Ci ritroviamo dunque a essere governati da uno qualunque, che quando pensa una fesseria qualunque la dice a tutti. Probabile che alcuni italiani ne siano soddisfatti: "che bello, finalmente un pirla come me è al potere, questa sì che è democrazia". Ma è probabile, anche, che altri italiani, tra i quali mi annovero, ne siano invece desolati. Forse suggestionati da vecchie letture scolastiche (Pericle, per esempio) pensavano che la democrazia fosse una selezione dei migliori. Aperta a tutti, ma destinata a individuare i migliori. Il vecchio concetto di classe dirigente, insomma. Ritrovarsi rappresentati nel mondo da uno che pensa e parla come l´ultimo di noi è un bruciante fallimento. Votare per uno "come noi" significa sprecare il voto e sprecare la democrazia. Vogliamo votare per uno che sia migliore di noi. Per questo – soprattutto – non abbiamo mai votato Berlusconi. 

LA REPUBBLICA del 11 dicembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
La notizia della probabile sostituzione di Augusto Minzolini alla direzione del Tg1 è accompagnata da decine, centinaia, migliaia, forse milioni di dichiarazioni di esponenti politici. In questa grandinata di parole, vi sfido a trovarne una, dico una, che si astenga dal giudizio e attribuisca alla Rai, e solo alla Rai, la facoltà di decidere che cosa fare del suo telegiornale più importante. Di viale Mazzini i politici parlano stabilmente come di una loro succursale, quasi un terzo ramo del Parlamento. Lo fanno con naturalezza assoluta, come se neanche li sfiorasse il sospetto che la Rai, pure se gravata di una speciale responsabilità pubblica, è un´azienda editoriale, e da molti anni, nelle sue persone migliori, chiede disperatamente ai partiti di fare il famoso passo indietro, mollare la morsa metà clientelare metà censoria che ammorba quelle stanze e rende faticoso ogni passo, ogni gesto di chi là dentro lavora, o almeno prova a farlo. Nella rimozione di un direttore di telegiornale non c´è niente di rivoluzionario: è facoltà di ogni azienda rimuovere i dirigenti incapaci. Rivoluzionario sarebbe che i politici che bivaccano dentro e attorno alla Rai non avessero niente da dichiarare, perché non è affar loro. 

LA REPUBBLICA del 1° dicembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Le polemiche sui "tempi lenti" del governo Monti fanno abbastanza ridere se rapportate alla sensazione di consolidata immobilità che, per anni, lo ha preceduto. Non è che veniamo da un fox trot. Veniamo da un fermo immagine durato quasi vent´anni, quello che va dal Berlusconi del ´94 che scende in campo contro i comunisti al Berlusconi di tre giorni fa che scende in campo contro i comunisti. Veniamo da una palude fatta di irresolutezza, molte decisioni evitate, pochissime decisioni prese ma clamorosamente sbagliate (l´abolizione dell´Ici), e una nebbia luminescente che avvolgeva tutto e tutti e occultava la realtà della vita, del lavoro, del concreto farsi e disfarsi della nostra società. A pensarci meglio, le critiche sulla lentezza del nuovo governo, a dispetto delle intenzioni di chi le muove, sono la prova provata che abbiamo davvero e finalmente voltato pagina. Si è rimesso in moto l´orologio della realtà, e nella realtà una settimana è lunga, un mese è lunghissimo, un anno è l´eternità. Chiedere a Monti di fare in fretta equivale a dire che ci siamo svegliati da un lungo coma, e il tempo vale, il tempo pesa, il tempo è di nuovo il nostro. 

LA REPUBBLICA del 9 novembre 2011 

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Nelle lunghe dirette televisive di ieri, impressionava lo scarto pauroso tra le brevi e secche voci d´allarme che arrivavano dall´Europa a proposito del nostro debito pubblico, e l´andazzo tutto sommato attendista e prudente della politica romana. Buttiglione che spiegava le "larghe convergenze", Lupi che abbozzava un percorso politico così fumoso e incomprensibile che il microfono pareva ossidarsi, il via vai di telecamere, giornalisti, politici che sembrava formare nelle vie attorno ai Palazzi delle istituzioni, complice la pioggia, un lento gorgo limaccioso. L´ansia del telespettatore, vedendo scorrere sul video i sottotitoli con le gravi considerazioni dei cugini europei, faceva a pugni con la flemma della grande maggioranza degli onorevoli intervistati. Sapendo che oggi arrivano nella capitale i commissari europei, c´è da chiedersi se riusciranno a mettere in circolo un po´ di adrenalina, aiutando ad abbreviare i tempi mostruosamente lunghi di questa agonia politica (solo l´agonia di Hiro Hito fu più lunga di quella di Berlusconi) ; oppure se anche loro, come i cardinali di Nanni Moretti, dopo una mezza giornata a Roma avranno per unico scopo, specie se spunta il sole, di andare a bere il cappuccino a Borgo Pio. 

LA REPUBBLICA del 2 dicembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
La Lega che pretende lo scontrino fiscale è un clamoroso inedito, come se Le Pen lodasse l´immigrazione e il vampiro invocasse l´aglio. È successo così: che Mario Monti è andato dal barbiere di domenica, e un manipolo di parlamentari del Carroccio ha chiesto di verificare se sia stato emesso regolare scontrino. Alla parola "scontrino" ci sono vaste zone del Nord che ammutoliscono, proprio come nella Calabria di Cetto Laqualunque: e sono zone nelle quale gli elettori leghisti, in odio allo Stato sanguisuga e a Roma ladrona, abbondano. Ma si sa com´è la politica: oggi il Carroccio è all´opposizione, per giunta dopo anni di poltrone romane e dunque con l´affannoso bisogno di riconquistare gli elettori delusi. Lo scontrino fiscale non fa parte del suo armamentario né della sua cultura politica, non è la doppietta padana già evocata da Bossi, non la quota-latte da ricacciare in gola alla porca Europa, non il dito medio da mulinare davanti alle telecamere: è un minimo, indispensabile cartiglio di Stato che funge da biglietto d´ingresso nel consesso degli italiani onesti. Forse i leghisti non se ne rendono conto, ma quando sventolano lo scontrino è come se sventolassero un mini-tricolore. Rischiano di ustionarsi i polpastrelli. 
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