LA REPUBBLICA del 10 novembre 2011
È veramente fenomenale la faccia tosta con quale i protagonisti indiscussi dello sfascio ora vogliono chiudere la legislatura come niente fosse (cioè come se lo Stato non fosse in bancarotta) e rinverginarsi con una bella campagna elettorale. Nella quale, magari, giocarsela da vocianti innovatori dopo essere stati, per lunghi anni, l´alfa e l´omega di un potere politico tanto tracotante quanto inetto. Così è il populismo (del quale Berlusconi e Bossi sono il Gatto e la Volpe): un giorno a Palazzo, il giorno dopo a fare casino per le strade, un giorno reazionario e il giorno dopo rivoluzionario, basta non dover rendere conto ad altri che a se stessi e alla propria claque vociante, che fino a un minuto prima strillava sui suoi giornali "giù le mani dalla legislatura" e un minuto dopo strilla "evviva, tutti alle urne!". Il gioco è talmente scoperto da suscitare, per istinto più che per calcolo, una improvvisa simpatia per qualunque soluzione che il Capo dello Stato riesca a trovare, raccogliendo i cocci che il governo in fuga lascia sul pavimento. Va bene tutto, compresa una maggioranza-pateracchio che vada da Fini a Bersani a Pisanu, con dentro anche il Papa e le guardie svizzere: dopo quello che abbiamo trangugiato per vent´anni, qualche mese di quarantena non farebbe una gran differenza.
LA REPUBBLICA del 3 dicembre 2011
Nella gravità del momento, siamo debitori alla Lega del dettaglio esilarante, quello che scioglie la tensione in una risata tra amici. Il Carroccio accusa il governo Monti di "sgarbo istituzionale" per avere indetto una importante riunione a Roma in concomitanza con la festosa riapertura del Parlamento Padano. Ora, detto che se il Parlamento Padano fosse una cosa seria sarebbe già stato sgomberato dai bersaglieri e sigillato dalla magistratura, ci si domanda come può mai venire in mente che il calendario di questa bizzarra kermesse possa in alcun modo interferire con il governo del Paese (lo stesso Paese che, tra l´altro, paga lo stipendio agli eletti leghisti, anche quando invece di lavorare giocano agli omini verdi). Il solo riferimento storico che mi viene da fare è a una mia vecchia prozia, da tempo defunta: sosteneva che la Seconda guerra mondiale non avrebbe mai dovuto essere dichiarata perché l´aveva costretta a rimandare le nozze. Per non essere troppo severo, aggiungo che il Parlamento Padano (nei fatti, la riunione neanche plenaria di un partito di proporzioni medio-piccole) ha un rilievo leggermente maggiore rispetto alle nozze di mia prozia. Ma non tanto maggiore.
LA REPUBBLICA del 11 novembre 2011
I cosiddetti "poteri forti" sono, per la destra populista, una vera ossessione, e quasi una superstizione: come l´aglio per le streghe. La Lega, i pretoriani di "Silvio" e Tonino Di Pietro (che incarna ottimamente la porzione di populismo in quota alla sinistra) ne parlano come nei licei si parlava della Cia negli anni Settanta: una presenza malefica e capillare in grado di avvelenare anche i cappuccini nel bar dove ci si riuniva per scrivere i volantini. Nella realtà di davvero forte, in Italia, non c´è niente se non lo spirito di adattamento. L´influenza e il ruolo dei "poteri forti" sono ingigantiti a dismisura, a destra, dalla poca dimestichezza che i nuovi quadri dirigenti del leghismo e del berlusconismo hanno con le istituzioni, da un lato, con la borghesia dall´altro. Si teme soprattutto ciò che non si conosce. Se i poteri forti fossero davvero forti, dovrebbero dunque invitare qualche volta a cena anche Calderoli o la Michela Brambilla o Di Pietro, chiudendo un occhio sugli accostamenti di colore e cercando di piazzarli vicino a commensali disposti a sacrificarsi per la causa. Parlandosi, e sopportando vicendevolmente l´aplomb molto difforme, i nuovi capipopolo e i vecchi notabili capirebbero di avere non poco in comune: per esempio, non sapere che pesci pigliare.
LA REPUBBLICA del 4 dicemre 2011
Pare che la circolare anti-profilattico diffusa alla Rai sia nata dall´iniziativa autonoma di una funzionaria, e dunque non sia imputabile al ministero della Sanità. Sospiro di sollievo. Ma l´episodio, benché circoscritto, è il sintomo (ennesimo) non solo di una invincibile ostilità confessionale ai rapporti sessuali protetti; ma anche della pretesa di imporre A TUTTI (maiuscolo e sottolineato) le convinzioni e gli stili di vita che sono solo di alcuni. Di questa pretesa, che è strutturalmente violenta anche quando assume forme suadenti e paternalistiche, non si discuterà mai abbastanza: perché è il punto attorno al quale ruota, in Italia assai più che altrove, l´intera questione etica. In parole semplicissime: chi usa il preservativo non impone di usarlo a chi non vuole; perché, dunque, chi non lo usa cerca di impedirne l´uso a chi vuole? Vietare o anche solo sconsigliare l´uso della parola "profilattico" nella giornata mondiale della lotta all´Aids significa voler espropriare alla comunità nazionale un pezzo rilevante del discorso, se non il discorso stesso. Ovviamente l´idea è stata all´istante denunciata e ridicolizzata da chi avrebbe dovuto subirla. Ma che quell´idea ancora alligni, è per metà incredibile, per l´altra metà insopportabile.
LA REPUBBLICA del 16 novembre 2011
Vuoi mettere il Parlamento Padano? Che è finto come una quinta di cartapesta, ma ti fa provare l´ebbrezza ininterrotta del cento per cento dei voti, perché non c´è opposizione e non c´è politica, c´è solo la parata celebrativa dei capi e dei sottocapi dell´unico partito rappresentato. Le legnate prese a Roma, nel campionato vero, nel Parlamento vero, si dimenticano in fretta nel rassicurante calduccio di una Heimat inventata, circondata dall´indifferenza e dall´ostilità di un territorio che in larghissima maggioranza si sente italiano, e ha già ampiamente dimostrato, nell´anno del centocinquantenario, di averne le tasche piene dell´arrogante pretesa del Carroccio di parlare a nome di un Nord che già cinquanta metri fuori da quel "Parlamento" non lo vota e non lo stima. Per colmo della misura, il frettoloso ricovero dei resti della "Lega di governo" nella sua vecchia tana posticcia ha il sapore, davvero molto sgradevole, di una doppiezza furbastra, che fino a un minuto prima consentiva di parlare a nome di uno Stato di cui si è ministri, e un minuto dopo di colpirlo alle spalle invocando la secessione. In un Paese che dovesse recuperare la propria dignità, una così esplicita e ripetuta fellonia non passerebbe impunita.
LA REPUBBLICA del 6 dicembre 2011
Si deve essere grati al capogruppo del Pdl, il socialista Cicchitto, per averci solennemente ricordato in Parlamento che il governo Berlusconi aveva abolito l´Ici. È anche da misure demagogiche come quella che sono nati lo sfascio dei conti pubblici, la prostrazione economica degli enti locali, il conseguente ritrarsi dei servizi sociali. Niente di quanto ci sta accadendo ora – compresa una manovra economica aspra con tutti ma inclemente soprattutto con chi ha faticato di più e ha evaso di meno – è spiegabile senza la catastrofe politica che lo ha preceduto. Si vorrebbe che gli esponenti di punta del precedente governo, che di questa crisi sono la quintessenza, e ne incarnano il volto, ne parlassero, se non con umiltà, almeno con accenti di incertezza, come accade, in genere, agli sconfitti. Ne parlano, invece, con boria immutata, come se la ricetta dell´abbondanza e del bel vivere fosse una specialità della casa, e l´abolizione dell´Ici, anziché una smargiassata senza copertura economica, fosse stata il do di petto di una maggioranza in stato di grazia, che stava trascinando il Paese a un trionfale benessere. Poi, come accade ai Grandi della Storia, è stato il destino cinico e baro a rispedirli a casa e a reintrodurre l´Ici.
LA REPUBBLICA del 22 novembre 2011
Detto tutto il bene possibile dello stile, dei toni bassi, del ritrovato aplomb di Stato, perfino del trolley che il professor Monti traina di persona, come se fosse un essere umano par nostro, non ha per niente torto Vendola quando dice di aspettare il nuovo governo al varco dell´equità sociale. Perché se è vero, come si mormora, che esiste un veto della destra sulla patrimoniale (la destra ha pur sempre in viva simpatia i ricchi, specie se il suo dominus è uno straricco) allora non si capisce bene con quali quattrini dev´essere tessuta la toppa che serve a riparare il Grande Sbrego. Viene un momento (per fortuna) che la politica, dopo avere tanto complicato, è la sola che può semplificare, e chiarire da che parte si deve e si può andare. In un paese dove le dichiarazioni dei redditi sono una fotografia pallida e mendace della ricchezza vera, ci sarà pure il modo di spillare qualcosa dai patrimoni (immobili, depositi bancari, portafogli azionari, titoli). Anche perché "chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato" è il detto più italianamente rassegnato, conservatore e vigliacco: chi ha avuto è ora che dia qualcosa, chi ha dato è ora che abbia un poco di tregua. E tutto il resto è solo parlare d´altro.
LA REPUBBLICA del 7 dicembre 2011
In genere ci si indigna quando noti criminali, usciti dal carcere, fanno pubblico mercato della propria fama, comparendo in tivù o rilasciando interviste. Poi capita che la giovane matricida e fratricida Erika, scontata la sua pena, chieda di essere lasciata sola con i suoi terapeuti nella sua comunità; e quasi tutti i telegiornali e molti giornali le dedicano lunghi servizi nei quali, con toni accorati, si dice che la ragazza chiede il silenzio, e nel frattempo la si vede nelle immagini di repertorio o in altre, più fresche, rubate da una telecamera che fruga oltre la siepe che dovrebbe proteggere lei dal nostro sguardo, e il nostro sguardo da lei. Ed ecco che la sua richiesta di silenzio viene ribaltata in nuovo rumore, come se tutti gli attori di questo dramma dell´indiscrezione fossero nell´impossibilità di variare il copione, anche volendolo. E la ragazza che fugge dai riflettori, dai riflettori viene braccata per mostrarla mentre fugge dai riflettori. Forse anche i media – come Erika – vorrebbero ritrarsi, ma non ne sono più capaci. Fanno del proprio potere un uso compulsivo, e dunque più che esercitarlo lo subiscono. Più che del loro potere, dovremmo cominciare a discutere della loro impotenza.
LA REPUBBLICA del 23 novembre 2011
I MOLTI MODI POSSIBILI DI FARE CULTURA
Se (come giustamente sollecita il Capo dello Stato) verrà concessa la cittadinanza ai figli di migranti che nascono in Italia, e che sono italiani per logica, per crescita e per educazione, ma non per la legge, dice il Calderoli che la Lega "farà le barricate". Credo che ci sia un errore, annoso, al quale rimediare. Un peccato di omissione del quale rischiamo, presto o tardi, di doverci vergognare non solo di fronte ai figli di migranti che nascono in Italia, ma anche di fronte ai nostri figli. L´errore è questo: che ogni volta che Calderoli o un altro gerarca verde ha aperto la bocca per minacciare barricate, o schioppettate, o forconate, e sempre per qualche causa ripugnante o qualche ragione tirchia, e sempre con quel ghigno gongolante e quei toni da taverna di chi si sente popolo in mezzo ai fighetti; avremmo dovuto rispondergli, metafora per metafora, che le loro barricate, se prima non arrivano l´esercito o i carabinieri a spianarle, gliele tiriamo giù noi con la ruspa e poi ci piantiamo sopra il Tricolore repubblicano, perché di vent´anni di razzismo organizzato ne abbiamo le balle piene, e di ruspisti ne conosciamo a gogò. La Lega crede di avere il monopolio dei modi bruschi, ma sbaglia. Nelle taverne del Nord che frequentiamo il dito medio lo mostrano a chi odia l´Italia, non a chi arriva da lontano per nascerci.
LA REPUBBLICA del 8 dicembre 2011
"Ebreo comunista miliardario" scrive su Facebook, a proposito di Roberto Benigni, un uomo di punta del Pdl calabrese, assessore all´Urbanistica del capoluogo, avvocato, ex coordinatore di An, insomma a tutti gli effetti un esponente della classe dirigente del primo partito italiano. Il trittico di epiteti ha due aspetti rilevanti, e tipici. Il primo è che (ovviamente) non sono epiteti, ma lo diventano nella cultura paranoica di una destra ammalata di ignoranza e di paura. Il secondo è che al classico abbinamento "ebreo e comunista" (due gruppi di esseri umani che hanno potuto frequentarsi soprattutto nei lager nazisti, insieme agli zingari e agli omosessuali), si aggiunge "miliardario" perché l´ingrediente populista, non nuovo ma assai potenziato nel ventennio berlusconiano, si nutre di un odio indeterminato e pregiudiziale per ogni genere di élite. Agli artisti di successo capita di guadagnare bene. Se sono di destra, la circostanza è considerata congrua e perdonabile. Se di sinistra, un turpe scandalo. Un recente paginone del "Giornale" contro Roberto Vecchioni gli rinfacciava fino all´ossessione, fino al tic nervoso, dieci volte, cento volte, di essere "ricco", "lautamente pagato", "attaccato ai soldi". "Ebreo" non gli veniva imputato. Forse una dimenticanza.