LA REPUBBLICA del 4 dicemre 2011
Pare che la circolare anti-profilattico diffusa alla Rai sia nata dall´iniziativa autonoma di una funzionaria, e dunque non sia imputabile al ministero della Sanità. Sospiro di sollievo. Ma l´episodio, benché circoscritto, è il sintomo (ennesimo) non solo di una invincibile ostilità confessionale ai rapporti sessuali protetti; ma anche della pretesa di imporre A TUTTI (maiuscolo e sottolineato) le convinzioni e gli stili di vita che sono solo di alcuni. Di questa pretesa, che è strutturalmente violenta anche quando assume forme suadenti e paternalistiche, non si discuterà mai abbastanza: perché è il punto attorno al quale ruota, in Italia assai più che altrove, l´intera questione etica. In parole semplicissime: chi usa il preservativo non impone di usarlo a chi non vuole; perché, dunque, chi non lo usa cerca di impedirne l´uso a chi vuole? Vietare o anche solo sconsigliare l´uso della parola "profilattico" nella giornata mondiale della lotta all´Aids significa voler espropriare alla comunità nazionale un pezzo rilevante del discorso, se non il discorso stesso. Ovviamente l´idea è stata all´istante denunciata e ridicolizzata da chi avrebbe dovuto subirla. Ma che quell´idea ancora alligni, è per metà incredibile, per l´altra metà insopportabile.
LA REPUBBLICA del 16 novembre 2011
Vuoi mettere il Parlamento Padano? Che è finto come una quinta di cartapesta, ma ti fa provare l´ebbrezza ininterrotta del cento per cento dei voti, perché non c´è opposizione e non c´è politica, c´è solo la parata celebrativa dei capi e dei sottocapi dell´unico partito rappresentato. Le legnate prese a Roma, nel campionato vero, nel Parlamento vero, si dimenticano in fretta nel rassicurante calduccio di una Heimat inventata, circondata dall´indifferenza e dall´ostilità di un territorio che in larghissima maggioranza si sente italiano, e ha già ampiamente dimostrato, nell´anno del centocinquantenario, di averne le tasche piene dell´arrogante pretesa del Carroccio di parlare a nome di un Nord che già cinquanta metri fuori da quel "Parlamento" non lo vota e non lo stima. Per colmo della misura, il frettoloso ricovero dei resti della "Lega di governo" nella sua vecchia tana posticcia ha il sapore, davvero molto sgradevole, di una doppiezza furbastra, che fino a un minuto prima consentiva di parlare a nome di uno Stato di cui si è ministri, e un minuto dopo di colpirlo alle spalle invocando la secessione. In un Paese che dovesse recuperare la propria dignità, una così esplicita e ripetuta fellonia non passerebbe impunita.
LA REPUBBLICA del 6 dicembre 2011
Si deve essere grati al capogruppo del Pdl, il socialista Cicchitto, per averci solennemente ricordato in Parlamento che il governo Berlusconi aveva abolito l´Ici. È anche da misure demagogiche come quella che sono nati lo sfascio dei conti pubblici, la prostrazione economica degli enti locali, il conseguente ritrarsi dei servizi sociali. Niente di quanto ci sta accadendo ora – compresa una manovra economica aspra con tutti ma inclemente soprattutto con chi ha faticato di più e ha evaso di meno – è spiegabile senza la catastrofe politica che lo ha preceduto. Si vorrebbe che gli esponenti di punta del precedente governo, che di questa crisi sono la quintessenza, e ne incarnano il volto, ne parlassero, se non con umiltà, almeno con accenti di incertezza, come accade, in genere, agli sconfitti. Ne parlano, invece, con boria immutata, come se la ricetta dell´abbondanza e del bel vivere fosse una specialità della casa, e l´abolizione dell´Ici, anziché una smargiassata senza copertura economica, fosse stata il do di petto di una maggioranza in stato di grazia, che stava trascinando il Paese a un trionfale benessere. Poi, come accade ai Grandi della Storia, è stato il destino cinico e baro a rispedirli a casa e a reintrodurre l´Ici.
LA REPUBBLICA del 22 novembre 2011
Detto tutto il bene possibile dello stile, dei toni bassi, del ritrovato aplomb di Stato, perfino del trolley che il professor Monti traina di persona, come se fosse un essere umano par nostro, non ha per niente torto Vendola quando dice di aspettare il nuovo governo al varco dell´equità sociale. Perché se è vero, come si mormora, che esiste un veto della destra sulla patrimoniale (la destra ha pur sempre in viva simpatia i ricchi, specie se il suo dominus è uno straricco) allora non si capisce bene con quali quattrini dev´essere tessuta la toppa che serve a riparare il Grande Sbrego. Viene un momento (per fortuna) che la politica, dopo avere tanto complicato, è la sola che può semplificare, e chiarire da che parte si deve e si può andare. In un paese dove le dichiarazioni dei redditi sono una fotografia pallida e mendace della ricchezza vera, ci sarà pure il modo di spillare qualcosa dai patrimoni (immobili, depositi bancari, portafogli azionari, titoli). Anche perché "chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato" è il detto più italianamente rassegnato, conservatore e vigliacco: chi ha avuto è ora che dia qualcosa, chi ha dato è ora che abbia un poco di tregua. E tutto il resto è solo parlare d´altro.
LA REPUBBLICA del 7 dicembre 2011
In genere ci si indigna quando noti criminali, usciti dal carcere, fanno pubblico mercato della propria fama, comparendo in tivù o rilasciando interviste. Poi capita che la giovane matricida e fratricida Erika, scontata la sua pena, chieda di essere lasciata sola con i suoi terapeuti nella sua comunità; e quasi tutti i telegiornali e molti giornali le dedicano lunghi servizi nei quali, con toni accorati, si dice che la ragazza chiede il silenzio, e nel frattempo la si vede nelle immagini di repertorio o in altre, più fresche, rubate da una telecamera che fruga oltre la siepe che dovrebbe proteggere lei dal nostro sguardo, e il nostro sguardo da lei. Ed ecco che la sua richiesta di silenzio viene ribaltata in nuovo rumore, come se tutti gli attori di questo dramma dell´indiscrezione fossero nell´impossibilità di variare il copione, anche volendolo. E la ragazza che fugge dai riflettori, dai riflettori viene braccata per mostrarla mentre fugge dai riflettori. Forse anche i media – come Erika – vorrebbero ritrarsi, ma non ne sono più capaci. Fanno del proprio potere un uso compulsivo, e dunque più che esercitarlo lo subiscono. Più che del loro potere, dovremmo cominciare a discutere della loro impotenza.
LA REPUBBLICA del 26 ottobre 2011
Nonostante gli sforzi dei media di mantenere sempre alti i toni, spasmodiche le attese, storici gli eventi, ieri l´interminabile agonia del governo risultava più mesta che drammatica. Una giornata piovosa quasi in tutta Italia, lo sgocciolio soporifero sui vetri delle case che si confondeva con il borbottio delle dichiarazioni video, tutto o quasi a bassa voce e a capo chino, compresi i soliti vaffanculo di Bossi che risuonavano familiari, quasi affettuosi. Macchine scure che entrano e escono dai palazzi e intorno la normalità tetragona di Roma che tutto assorbe e tutto dimentica, e a volte appare odiosamente cinica e a volte saggia, quasi salubre nella sua bimillenaria pratica di sopravvivenza. La verità è che non è umano restare quasi vent´anni appesi alle parole, alle mosse, alle gesta di un signore che ha cercato – con un certo successo, va detto – di giustapporre le proprie sorti a quelle di un intero popolo. Alla lunga all´ira e ai sentimenti forti subentra una stremata sazietà, e infine la tanto attesa e agognata e temuta caduta di Berlusconi finirà per assomigliare, più che al crepuscolo degli dei, al fine-corsa di un qualunque governo democristiano di qualunque precedente epoca. Da parecchio tempo, del resto, di lui si parla non più come di un uomo pericoloso, ma come di un uomo noioso.
LA REPUBBLICA del 7 ottobre 2011
Non riesco a credere che sia vera, ma non posso escludere che sia falsa, la notizia secondo la quale Silvio Berlusconi vorrebbe cambiare nome al Pdl «perché si è reso conto che la sigla Pdl perde consensi nei sondaggi» (la frase, testuale, è tratta da un giornale radio Rai di ieri, in genere piuttosto zelante con il premier). Credo che neanche nei test sugli scimpanzé sia mai stata adottata una logica così offensiva per la cavia. Il test si svolgerebbe più o meno così. L´istruttore porge allo scimpanzé depresso la solita mela, ma gli dice con trascinante giovialità: da oggi, amico mio, cambia tutto, da oggi abbiamo la pera! Lui la guarda, gli sembra pur sempre una mela, l´annusa e l´odore è di mela, la assaggia e il sapore è di mela, ma il sorriso e l´entusiasmo dell´istruttore sono così travolgenti che il buon quadrumane si convince e manda giù la mela pensando, da brava bestia suggestionabile, "buona pera! viva la pera!". Ora, è pur vero che Berlusconi ebbe a dire, nei suoi lontani anni ruggenti, che «il pubblico è un bambino di otto anni». Ma non solo nessun bambino di otto anni, anche nessuno scimpanzé potrebbe partecipare a un esperimento del genere senza fare il gesto dell´ombrello all´istruttore. Forse passando dagli scimpanzé ai protozoi,
l´esperimento potrebbe avere successo. Ma per quanti protozoi vadano alle urne, basterebbero a vincere?
LA REPUBBLICA del 27 ottobre 2011
Davvero illuminante lo studio di due ricercatori di Cambridge sulla miopia, in aumento soprattutto nel mondo ricco. Dipenderebbe dal minor numero di ore trascorse all´aria aperta, con conseguente restrizione del campo visivo e peggiore qualità della luce artificiale rispetto a quella naturale. Così, quando diciamo che una catastrofe come quella occorsa a mezza Liguria è causata dalla miopia dell´uomo, diciamo una verità assai meno metaforica di quanto pensiamo. Siamo sempre più miopi anche perché non sappiamo più guardare il mondo e misurarlo davvero. Dice Marco Paolini che l´Italia, per una vera e propria turba della personalità, è un Paese di montagna convinto di essere un Paese di pianura, e anche questa non è una metafora: oltre il settanta per cento del nostro territorio è scosceso, ondulato o ripido, ma facciamo finta che non sia così. Ripulire un fosso e impedire che si otturi, mantenere pervie e sorvegliate le vie d´acqua, far respirare i boschi perché siano sani e permeabili, non cementificare da ingordi e da pazzi quali siamo, tutto questo equivarrebbe alla cura del nostro paese e di noi stessi. Ma non abbiamo più cura perché non abbiamo più sguardo, se non per le videate e i tabulati che ci scorrono a un palmo dal naso, mentre fuori vita e morte giocano la loro partita considerandoci, giustamente, appena un dettaglio.
LA REPUBBLICA del 12 ottobre 2011
Credo sia da escludere che Silvio Berlusconi rimanga avvinghiato al suo traballante potere per pura tigna, come un politicante qualunque. Una persona che concepisce se stesso come il migliore, l’indispensabile, l’invidiabile, non accetterebbe mai di sentirsi appena appena sopportato, come una vecchia star sul viale del tramonto. Lo pensasse anche solo per un secondo, se ne andrebbe in una delle sue magioni tropicali a fare il brillante con le ragazzine. No, se resta ostinatamente in sella è perché, evidentemente, vede se stesso ancora e sempre come il migliore, l’indispensabile, l’invidiabile. Per lui nulla è cambiato. Non sente i fischi, e se li sente li attribuisce alle manovre organizzate di consorterie nemiche. Non coglie l’imbarazzo e lo spregio della comunità politica mondiale, ché sono tutte voci montate ad arte dalla stampa comunista. Non vede la crescente insoddisfazione dei suoi, le infedeltà patenti o latenti, perché gli pare inverosimile che qualcuno non lo ami. Per non imputargliele tutte, va detto che è difficile per chiunque cogliere il proprio declino, e accettarlo: un classico (triste) dello sport è il campione che si ostina a salire sul ring anche quando non ce la fa più. Nel suo caso, c’è una difficoltà in più: avendo comperato il ring, gli riesce ancora più difficile capire perché mai dovrebbe scenderne.
LA REPUBBLICA del 28 ottobre 2011
È difficile immaginare qualcosa di più rattristante di una folla di quasi diecimila persone che fa a botte per entrare in un megastore e accaparrarsi televisori, ferri da stiro, frullatori in offerta speciale. È accaduto ieri a Roma vicino a Ponte Milvio, la città è rimasta ingorgata per ore. C´era gente in coda dall´alba, c´era gente accampata, e non era una coda per il pane, era una coda per sentirsi in regola con l´identità del consumatore medio, degno di vivere in questo mondo senza sentirsi di troppo. Mi basterebbe che qualcuno (anche solo uno su diecimila) all´improvviso si fosse sentito umiliato, in quella ressa di schiavi, per avere qualche speranza in più sul nostro futuro. Mi basterebbe che qualcuno, anche uno solo su diecimila, avesse improvvisamente scartato di lato, respirato forte, e fosse fuggito ovunque pur di non rimanere lì a fare la comparsa a pagamento (pagare per apparire, pagare per esistere). Non riesco a credere che un tostapane con lo sconto, pure se in tempi di crisi nera, sia in grado di trasformare le persone in uno sciame di mosche disposte a schiacciarsi l´una con l´altra pur di posare le zampe sulla propria briciola.