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LA REPUBBLICA del 10 dicembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Le paurose paginate di giornale sulla congiuntura economica, giungle di cifre e percentuali, labirinti di balzelli presenti e futuri, hanno alla fine
l´effetto di farci sentire del tutto impotenti di fronte a quello che già alla fine del secolo scorso la saggista francese Viviane Forrester battezzò
«L´orrore economico». A meno di soffrire di una sorta di feticismo contabile, l´istinto è alzare le mani, chiedere il conto, pagarlo (se si è in grado) e andarsene in mezzo ai boschi o alla neve o al mare, per capire che cosa ci rimane da pensare, da vedere, da sognare al di fuori dei quattrini. Non è una questione di morale, ma di metabolismo. È il corpo che si rifiuta, alla lunga, di misurare il mondo solo con il metro economico, di parlare solo di soldi, di calcolare la giornata, la settimana, la vita come una variabile dipendente dai bilanci statali, aziendali, familiari. L´economia è un insieme di diagrammi dentro i quali cerchiamo giorno dopo giorno il nostro puntino. Ma non siamo solo quel puntino, per fortuna. Siamo fatti di carne e ossa, e dotati di cinque sensi che non riescono a nutrirsi solo di videate e di scartoffie. L´economia è roba metafisica, riguarderà magari l´anima degli umani: ma la vita fisica esige altre emozioni, e si sente soffocare nella galera dei conti pubblici e privati.

LA REPUBBLICA del 29 novembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Sapere chi abbia ragione e chi torto, tra il sindaco Pisapia e il suo ex assessore Stefano Boeri, è importante ma non decisivo. Decisivo è capire che i soli veri sconfitti sono gli elettori milanesi che pochi mesi fa, per mandare Pisapia a Palazzo Marino con una maggioranza schiacciante, avevano messo da parte differenze e diffidenze ben più cospicue di quelle che oggi lacerano il governo di Milano. A festeggiare in piazza del Duomo c´erano la borghesia che vota al centro e i ragazzi dei centri sociali, i vecchi militanti dei partiti di sinistra e la nuova leva di cani sciolti internettari, i referendari senza tessera che si mobilitano di volta in volta e i funzionari di partito che sono mobilitati per mestiere. Pur di costituirsi in una nuova maggioranza, ognuno di questi elettori aveva rinunciato a qualcosa e aveva accettato di fidarsi degli altri. Ovvio che, dentro il potere, le ragioni di discussione e di lite sono molto solide e molto ingombranti. Ma come è possibile che lo spirito di quei giorni, che concedeva così poco al puntiglio individuale e alla vanità personale, faccia già parte del passato? 

LA REPUBBLICA del 4 novembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
L´incendio "purificatore" del glorioso giornale satirico parigino Charlie Hebdo da parte di fanatici islamisti costringe a rifare i conti (non fatti) con la mano omicida dell´integralismo musulmano. La stessa che ha ucciso il regista Theo Van Gogh, condannato a morte Salman Rushdie, accoltellato il suo traduttore italiano, assassinato il suo traduttore giapponese. Gli italiani a Parigi sono di casa, ma di quelle fiamme, qui da noi, è arrivato appena un remoto riverbero. Mentre Le Monde dedicava al rogo di Charlie un severo editoriale di prima pagina, i commenti italiani sono stati in genere blandi, prudenti e molto confusi. Molti imputano al giornale francese la "colpa" di avere "scherzato con la religione". Altri definiscono assurdamente "una provocazione" la scelta di una tivù tunisina (anche lei assaltata dagli islamisti) di mandare in onda un capolavoro della tolleranza laica come il film d´animazione Persepolis. Se siamo così incerti e così impreparati quando si tratta di difendere la libertà di espressione e la tolleranza, non ci dobbiamo meravigliare, poi, se hanno campo libero, e un successo travolgente, le reazioni intolleranti e razziste, alla Oriana Fallaci. È sempre la viltà dei pacifici che dà spazio (immeritato) ai fanatici.

LA REPUBBLICA del 30 novembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Una comunità civile – strenuamente civile – come quella norvegese maneggia con comprensibile fatica lo stragista Breivik, le sue idee primitive, il suo crimine bestiale. Le leggi impediscono la vendetta, che è barbarica (e dunque familiare a Breivik, non ai suoi giudici) e addirittura costringono quel tribunale a porsi, su un uomo che ha macellato decine di ragazzi come agnelli, la fatidica domanda se sia solo un criminale o soprattutto un pazzo, dunque da curare (la diagnosi dei periti è "schizofrenia paranoica") più che da punire. La domanda, in realtà, andrebbe estesa a molti criminali di guerra, nonché a tutti o quasi i crimini innescati dall´odio razziale o religioso, tanto "folle" appare, alla nostra ragione nonché alla nostra pietà, la decisione di sopprimere qualcuno perché considerato inferiore, infetto, alieno e pericoloso. Molte idee sono malate, schizofreniche e paranoiche fino dalla loro formulazione. Il razzismo lo è certamente, benché abbia disperatamente tentato, per secoli, di darsi una struttura culturale e "scientifica". Far capire ai razzisti che sono malati non risolve certo il nostro problema (che è metterli nelle condizioni di non nuocere). Ma forse, può aiutarli a risolvere il loro. 

LA REPUBBLICA del 5 novembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
«Dicono tutti che c´è la crisi ma i ristoranti sono pieni» è un classico dell´uomo della strada. Lo dice il tassista, lo dice l´avventore del bar, probabile che lo abbia detto ciascuno di noi in uno di quei momenti di spensierata dabbenaggine che costellano la vita di ogni persona qualunque. Sentire per la prima volta pronunciare quella frase al G20, da un capo di governo, è una svolta storica: vuol dire che l´uomo della strada, con tutta la sua spensierata dabbenaggine, è arrivato al vertice. Ci ritroviamo dunque a essere governati da uno qualunque, che quando pensa una fesseria qualunque la dice a tutti. Probabile che alcuni italiani ne siano soddisfatti: "che bello, finalmente un pirla come me è al potere, questa sì che è democrazia". Ma è probabile, anche, che altri italiani, tra i quali mi annovero, ne siano invece desolati. Forse suggestionati da vecchie letture scolastiche (Pericle, per esempio) pensavano che la democrazia fosse una selezione dei migliori. Aperta a tutti, ma destinata a individuare i migliori. Il vecchio concetto di classe dirigente, insomma. Ritrovarsi rappresentati nel mondo da uno che pensa e parla come l´ultimo di noi è un bruciante fallimento. Votare per uno "come noi" significa sprecare il voto e sprecare la democrazia. Vogliamo votare per uno che sia migliore di noi. Per questo – soprattutto – non abbiamo mai votato Berlusconi. 

LA REPUBBLICA del 28 settembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Pure se da un pulpito molto precario (sono il classico relativista etico), faccio parte del folto gruppo di italiani che avevano facilmente colto già sul nascere, nel potere berlusconiano, quei tratti smodati e quella mancanza di misura che il cardinale Bagnasco ha infine denunciato, suscitando grande fragore mediatico. È strano: almeno in teoria, il vaglio morale della Chiesa dovrebbe essere ben più ristretto e severo di quello della gente come me, che non promulga codici di comportamento sessuale né saprebbe indicare Modelli di Famiglia maiuscoli come quello vidimato dal cattolicesimo romano. Evidentemente, non essendo sospettabile che cotanta autorità morale colga lo scandalo con clamoroso ritardo rispetto a noi dilettanti dell´etica, dobbiamo dedurne che altri impedimenti hanno suggerito a Roma di tacere per tanti anni quanti ne sono bastati, a Berlusconi, per dare a bere a un sacco di italiani che lui governava nel nome dei valori della Famiglia. Sono, questi impedimenti, affare interno della Chiesa. Ma rendono difficile da capire, per quelli come me, l´entusiasmo che ha accolto le parole di Bagnasco, essendo quelle stesse parole, o parole molto simili, già state dette e scritte infinite volte da infiniti altri. Ben prima di lui.

LA REPUBBLICA del del 18 ottobre 2011  

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Torna alla grande zio Michele, nello splendore del 40 pollici, e non c´è difesa. O uno diserta le edicole e spegne la televisione per giorni interi, oppure deve soccombere di fronte al presepe scellerato di Avetrana che ci viene ammannito in tutti i formati e in tutte le salse. La momentanea pausa nelle procedure di indagine è stata riempita, nel frattempo, da altri provvidi orrori di stampa (per esempio Erika e Omar, costui ospite di uno studio televisivo Mediaset al quale auguro di essere centrato da un meteorite), come quando riposa il campionato e gioca la Nazionale. Esiste una continuità, e una contiguità, tra delitto e delitto, confondo Erba con Cogne, l´Olgiata con via Poma, le povere vittime con i sadici assassini. Ma zio Michele (non la persona, ovviamente, ma il pupazzo telegiornalistico) è inconfondibile, unico, una specie di mascotte vivente della degenerazione mediatica italiana. Dev´essere per via di quello "zio" che manda in vacca già sul nascere la trama finto-diabolica di un racconto che invece, specie grazie alla programmazione meridiana delle peggio trasmissioni Rai e Mediaset, odora di pasta e ceci sul fuoco, di pantofole, di banalità biascicate nei dialetti immutabili dell´Italia ieri contadina e oggi televisiva.

LA REPUBBLICA del 5 ottobre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Se fossi il ministro degli Interni ad interim di tutte le Galassie, io l´altro giorno, sul pianeta Terra, avrei ordinato due retate: una a Perugia e una a Seattle. Una contro quelli che strillavano "vergogna" fuori dal Tribunale, levando istericamente il braccio nel gesto para-fascista delle curve ultras, l´altra contro la ridicola claque yankee che plaudiva in lacrime all´assoluzione in mondovisione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Due popolini di opposto sentire ma di idem scemenza, al tempo stesso vittime e artefici della credulità di massa e dell´orrore mediatico. È anche grazie a loro e per loro che i giornali peggiorano, la televisione peggiora, l´informazione peggiora, sono loro le foche ammaestrate di quel circo emotivo, fracassone, superficiale che osiamo chiamare "informazione". Non è vero che per fare silenzio (per capire, cioè, che il silenzio è il solo atteggiamento all´altezza della Morte e del Giudizio) ci vogliono la laurea in filosofia e un master di criminologia. Per fare silenzio basta considerarsi al di sotto della verità, come ogni essere umano sa di essere nel novantanove per cento delle circostanze della vita. Il mostruoso equivoco generato dalla civiltà mediatica è che a ogni pirla in circolazione bastano i titoli di un telegiornale per sentirsi Testimone della Verità. La verità su quel delitto la sanno gli imputati e (forse) i giudici e gli avvocati che per anni ci hanno lavorato sopra. Per gli altri vale più che mai l´ordine di sgomberare l´aula. 

LA REPUBBLICA del 29 settembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Preferisco Grilli perché è di Milano": questa sarebbe, secondo le cronache, l´opinione di Umberto Bossi sulla successione alla Banca d´Italia. Ora: stiamo parlando di un ministro della Repubblica. Del fondatore e leader di un partito che governa l´Italia, con brevi pause, da quasi vent´anni. Di un uomo di settant´anni che ha avuto il privilegio di vivere una vita da protagonista, da capo, da prima pagina, osservando il mondo da una posizione di assoluto rilievo.
Eppure, vedete a quanto poco servono il potere e il successo, quanto poco migliorano gli esseri umani. Di fronte a un atto politico di primo livello (di fronte, dunque, al suo mestiere e alle responsabilità del suo mestiere), il famoso politico Bossi se ne esce con un concetto così implacabilmente cretino da lasciare senza fiato: "preferisco Grilli perché è di Milano", parole che ai fini della scelta in questione – la nomina del governatore di Bankitalia – valgono zero, non hanno senso né decenza logica, e nemmeno un bambino di otto anni oserebbe pronunciarle se non per gioco, ai giardinetti, come quando si dice "io tifo per la Lazio" o "io preferisco tua sorella". Tra i tanti demeriti di Berlusconi non va trascurato quello di avere messo in ombra, con le sue colpe ipertrofiche, il livello zero che Bossi e la Lega hanno introdotto nella scena pubblica italiana. 

LA REPUBBLICA del 19 ottobre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Con l´arresto di "er Pelliccia" anche i Moti Romani di sabato scorso perdono quel poco o quel tanto di demoniaco (fuoco e fiamme) che si erano guadagnati sul campo. Già i calzoni a fior di mutanda, molto di moda tra i teenagers, conferivano alle immagini del giovane rivoltoso qualcosa di mestamente conformista, più da Upim che da Bastiglia. Si è poi saputo che il teenager è piuttosto maturo (24 anni), e maturissimo come matricola (primo anno di università), per dire che anche i movimenti più duri e più sinistri hanno i loro Trota. Quanto alle indagini, si dice che il povero Pelliccia, vistosi incastrato, abbia giustificato il lancio dell´estintore con la volontà di "spegnere un incendio", comicissima scusa, e qui si arriva, anzi si ritorna, a quell´eterno Alberto Sordi che siamo, alla piagnoneria ipocrita di "Un giorno in Pretura" e "a me m´ha rovinato la guera", e di nuovo si capisce perché il narratore dei nostri mali non è Dostoevskij, sono Age e Scarpelli. E viene una pena tremenda per quei genitori e anche per quel figlio, sbatacchiato tra le spire della storia senza nemmeno sospettarne la durezza e la cattiveria, rivoluzionario del sabato pomeriggio, già al lunedì ridotto al suo soprannome da macchietta di quartiere. 
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