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LA REPUBBLICA del 4 novembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
L´incendio "purificatore" del glorioso giornale satirico parigino Charlie Hebdo da parte di fanatici islamisti costringe a rifare i conti (non fatti) con la mano omicida dell´integralismo musulmano. La stessa che ha ucciso il regista Theo Van Gogh, condannato a morte Salman Rushdie, accoltellato il suo traduttore italiano, assassinato il suo traduttore giapponese. Gli italiani a Parigi sono di casa, ma di quelle fiamme, qui da noi, è arrivato appena un remoto riverbero. Mentre Le Monde dedicava al rogo di Charlie un severo editoriale di prima pagina, i commenti italiani sono stati in genere blandi, prudenti e molto confusi. Molti imputano al giornale francese la "colpa" di avere "scherzato con la religione". Altri definiscono assurdamente "una provocazione" la scelta di una tivù tunisina (anche lei assaltata dagli islamisti) di mandare in onda un capolavoro della tolleranza laica come il film d´animazione Persepolis. Se siamo così incerti e così impreparati quando si tratta di difendere la libertà di espressione e la tolleranza, non ci dobbiamo meravigliare, poi, se hanno campo libero, e un successo travolgente, le reazioni intolleranti e razziste, alla Oriana Fallaci. È sempre la viltà dei pacifici che dà spazio (immeritato) ai fanatici.

LA REPUBBLICA del 30 novembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Una comunità civile – strenuamente civile – come quella norvegese maneggia con comprensibile fatica lo stragista Breivik, le sue idee primitive, il suo crimine bestiale. Le leggi impediscono la vendetta, che è barbarica (e dunque familiare a Breivik, non ai suoi giudici) e addirittura costringono quel tribunale a porsi, su un uomo che ha macellato decine di ragazzi come agnelli, la fatidica domanda se sia solo un criminale o soprattutto un pazzo, dunque da curare (la diagnosi dei periti è "schizofrenia paranoica") più che da punire. La domanda, in realtà, andrebbe estesa a molti criminali di guerra, nonché a tutti o quasi i crimini innescati dall´odio razziale o religioso, tanto "folle" appare, alla nostra ragione nonché alla nostra pietà, la decisione di sopprimere qualcuno perché considerato inferiore, infetto, alieno e pericoloso. Molte idee sono malate, schizofreniche e paranoiche fino dalla loro formulazione. Il razzismo lo è certamente, benché abbia disperatamente tentato, per secoli, di darsi una struttura culturale e "scientifica". Far capire ai razzisti che sono malati non risolve certo il nostro problema (che è metterli nelle condizioni di non nuocere). Ma forse, può aiutarli a risolvere il loro. 

LA REPUBBLICA del 5 novembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
«Dicono tutti che c´è la crisi ma i ristoranti sono pieni» è un classico dell´uomo della strada. Lo dice il tassista, lo dice l´avventore del bar, probabile che lo abbia detto ciascuno di noi in uno di quei momenti di spensierata dabbenaggine che costellano la vita di ogni persona qualunque. Sentire per la prima volta pronunciare quella frase al G20, da un capo di governo, è una svolta storica: vuol dire che l´uomo della strada, con tutta la sua spensierata dabbenaggine, è arrivato al vertice. Ci ritroviamo dunque a essere governati da uno qualunque, che quando pensa una fesseria qualunque la dice a tutti. Probabile che alcuni italiani ne siano soddisfatti: "che bello, finalmente un pirla come me è al potere, questa sì che è democrazia". Ma è probabile, anche, che altri italiani, tra i quali mi annovero, ne siano invece desolati. Forse suggestionati da vecchie letture scolastiche (Pericle, per esempio) pensavano che la democrazia fosse una selezione dei migliori. Aperta a tutti, ma destinata a individuare i migliori. Il vecchio concetto di classe dirigente, insomma. Ritrovarsi rappresentati nel mondo da uno che pensa e parla come l´ultimo di noi è un bruciante fallimento. Votare per uno "come noi" significa sprecare il voto e sprecare la democrazia. Vogliamo votare per uno che sia migliore di noi. Per questo – soprattutto – non abbiamo mai votato Berlusconi. 

LA REPUBBLICA del 11 dicembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
La notizia della probabile sostituzione di Augusto Minzolini alla direzione del Tg1 è accompagnata da decine, centinaia, migliaia, forse milioni di dichiarazioni di esponenti politici. In questa grandinata di parole, vi sfido a trovarne una, dico una, che si astenga dal giudizio e attribuisca alla Rai, e solo alla Rai, la facoltà di decidere che cosa fare del suo telegiornale più importante. Di viale Mazzini i politici parlano stabilmente come di una loro succursale, quasi un terzo ramo del Parlamento. Lo fanno con naturalezza assoluta, come se neanche li sfiorasse il sospetto che la Rai, pure se gravata di una speciale responsabilità pubblica, è un´azienda editoriale, e da molti anni, nelle sue persone migliori, chiede disperatamente ai partiti di fare il famoso passo indietro, mollare la morsa metà clientelare metà censoria che ammorba quelle stanze e rende faticoso ogni passo, ogni gesto di chi là dentro lavora, o almeno prova a farlo. Nella rimozione di un direttore di telegiornale non c´è niente di rivoluzionario: è facoltà di ogni azienda rimuovere i dirigenti incapaci. Rivoluzionario sarebbe che i politici che bivaccano dentro e attorno alla Rai non avessero niente da dichiarare, perché non è affar loro. 

LA REPUBBLICA del 1° dicembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Le polemiche sui "tempi lenti" del governo Monti fanno abbastanza ridere se rapportate alla sensazione di consolidata immobilità che, per anni, lo ha preceduto. Non è che veniamo da un fox trot. Veniamo da un fermo immagine durato quasi vent´anni, quello che va dal Berlusconi del ´94 che scende in campo contro i comunisti al Berlusconi di tre giorni fa che scende in campo contro i comunisti. Veniamo da una palude fatta di irresolutezza, molte decisioni evitate, pochissime decisioni prese ma clamorosamente sbagliate (l´abolizione dell´Ici), e una nebbia luminescente che avvolgeva tutto e tutti e occultava la realtà della vita, del lavoro, del concreto farsi e disfarsi della nostra società. A pensarci meglio, le critiche sulla lentezza del nuovo governo, a dispetto delle intenzioni di chi le muove, sono la prova provata che abbiamo davvero e finalmente voltato pagina. Si è rimesso in moto l´orologio della realtà, e nella realtà una settimana è lunga, un mese è lunghissimo, un anno è l´eternità. Chiedere a Monti di fare in fretta equivale a dire che ci siamo svegliati da un lungo coma, e il tempo vale, il tempo pesa, il tempo è di nuovo il nostro. 

LA REPUBBLICA del 5 ottobre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Se fossi il ministro degli Interni ad interim di tutte le Galassie, io l´altro giorno, sul pianeta Terra, avrei ordinato due retate: una a Perugia e una a Seattle. Una contro quelli che strillavano "vergogna" fuori dal Tribunale, levando istericamente il braccio nel gesto para-fascista delle curve ultras, l´altra contro la ridicola claque yankee che plaudiva in lacrime all´assoluzione in mondovisione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Due popolini di opposto sentire ma di idem scemenza, al tempo stesso vittime e artefici della credulità di massa e dell´orrore mediatico. È anche grazie a loro e per loro che i giornali peggiorano, la televisione peggiora, l´informazione peggiora, sono loro le foche ammaestrate di quel circo emotivo, fracassone, superficiale che osiamo chiamare "informazione". Non è vero che per fare silenzio (per capire, cioè, che il silenzio è il solo atteggiamento all´altezza della Morte e del Giudizio) ci vogliono la laurea in filosofia e un master di criminologia. Per fare silenzio basta considerarsi al di sotto della verità, come ogni essere umano sa di essere nel novantanove per cento delle circostanze della vita. Il mostruoso equivoco generato dalla civiltà mediatica è che a ogni pirla in circolazione bastano i titoli di un telegiornale per sentirsi Testimone della Verità. La verità su quel delitto la sanno gli imputati e (forse) i giudici e gli avvocati che per anni ci hanno lavorato sopra. Per gli altri vale più che mai l´ordine di sgomberare l´aula. 

LA REPUBBLICA del 29 settembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Preferisco Grilli perché è di Milano": questa sarebbe, secondo le cronache, l´opinione di Umberto Bossi sulla successione alla Banca d´Italia. Ora: stiamo parlando di un ministro della Repubblica. Del fondatore e leader di un partito che governa l´Italia, con brevi pause, da quasi vent´anni. Di un uomo di settant´anni che ha avuto il privilegio di vivere una vita da protagonista, da capo, da prima pagina, osservando il mondo da una posizione di assoluto rilievo.
Eppure, vedete a quanto poco servono il potere e il successo, quanto poco migliorano gli esseri umani. Di fronte a un atto politico di primo livello (di fronte, dunque, al suo mestiere e alle responsabilità del suo mestiere), il famoso politico Bossi se ne esce con un concetto così implacabilmente cretino da lasciare senza fiato: "preferisco Grilli perché è di Milano", parole che ai fini della scelta in questione – la nomina del governatore di Bankitalia – valgono zero, non hanno senso né decenza logica, e nemmeno un bambino di otto anni oserebbe pronunciarle se non per gioco, ai giardinetti, come quando si dice "io tifo per la Lazio" o "io preferisco tua sorella". Tra i tanti demeriti di Berlusconi non va trascurato quello di avere messo in ombra, con le sue colpe ipertrofiche, il livello zero che Bossi e la Lega hanno introdotto nella scena pubblica italiana. 

LA REPUBBLICA del 19 ottobre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Con l´arresto di "er Pelliccia" anche i Moti Romani di sabato scorso perdono quel poco o quel tanto di demoniaco (fuoco e fiamme) che si erano guadagnati sul campo. Già i calzoni a fior di mutanda, molto di moda tra i teenagers, conferivano alle immagini del giovane rivoltoso qualcosa di mestamente conformista, più da Upim che da Bastiglia. Si è poi saputo che il teenager è piuttosto maturo (24 anni), e maturissimo come matricola (primo anno di università), per dire che anche i movimenti più duri e più sinistri hanno i loro Trota. Quanto alle indagini, si dice che il povero Pelliccia, vistosi incastrato, abbia giustificato il lancio dell´estintore con la volontà di "spegnere un incendio", comicissima scusa, e qui si arriva, anzi si ritorna, a quell´eterno Alberto Sordi che siamo, alla piagnoneria ipocrita di "Un giorno in Pretura" e "a me m´ha rovinato la guera", e di nuovo si capisce perché il narratore dei nostri mali non è Dostoevskij, sono Age e Scarpelli. E viene una pena tremenda per quei genitori e anche per quel figlio, sbatacchiato tra le spire della storia senza nemmeno sospettarne la durezza e la cattiveria, rivoluzionario del sabato pomeriggio, già al lunedì ridotto al suo soprannome da macchietta di quartiere. 

LA REPUBBLICA del 30 settembre 2011

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Centinaia, migliaia di militanti leghisti si sentono traditi dai loro capi. Molto spesso si tratta (vedi la lettera al Corriere del sindaco di Macherio) di persone per bene, che si sono buttate in politica per servire la loro comunità. È un sollievo vederli reagire alla squallida agonia del governo di cui fanno parte. Non è un sollievo, però, sapere che a metterli in allarme, prima di adesso, non sono bastati quel linguaggio da trivio, quegli slogan razzisti, quella violenza verbale, quel dito medio divenuto il misero scettro del capo. Non è una questione di forma. Nessuna cosa davvero buona, davvero utile può nascondersi dentro un involucro così torbido e così sciatto. Il più onesto dei politici, il più virtuoso dei programmi non può usare a lungo parole volgari, battute infami, senza esserne intaccato, sporcato. Senza distruggere, per prima, la sua politica. Il linguaggio ben temperato e la cultura non sono vezzi da fichetti, come credono le camicie verdi (e come credevano gli squadristi). La cultura è ciò che dà dignità al popolo, lo libera dalla sottomissione, lo trasforma in classe dirigente. È facile, adesso che il vassallaggio di Bossi verso Berlusconi è così palese, sentirsi traditi. Peccato non essersi sentiti traditi prima, quando la rivoluzione leghista si annunciava, ancora in culla, con parole rasoterra, meschine, prive di nobiltà. Senza nobiltà (di intenzioni e di parole) la politica non può che tradire. 

LA REPUBBLICA del 15 ottobre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
In una trasmissione radio che va per la maggiore, e ama esibire i casi umani della politica italiana (il deputato razzista, quello analfabeta, quello nazista, quello mafioso) come "numeri" divertenti, l´altra sera ho sentito una lunga, incredibile intervista all´onorevole Razzi, ex dipietrista oggi reclutato da Berlusconi. Per quanto avvezzi al progressivo sfacelo del Paese, non si poteva fare a meno di rimanere sgomenti di fronte alle sgrammaticature, gli errori di sintassi, l´italiano disperato di questo signore. Non indovina un ausiliare, ha detto «non avrei andato» e il concetto più articolato espresso è stato questo: «devolgo i soldi a costruire una chiesa distrutta». Si possono immaginare gli sghignazzi di chi l´ha nominato (per puro, incontrovertibile dolo) membro della commissione Cultura della Camera: uno sfregio che deve piacere molto anche a Vittorio Sgarbi, presente in trasmissione, che ha molto lodato il Razzi ricorrendo a quel gongolante cinismo che la destra italiana confonde con l´aplomb degli uomini di mondo. Parevano molto divertiti anche i due conduttori della trasmissione. A me è venuto un buco nello stomaco per la tristezza. Dato l´ottimo umore di tutti (di Sgarbi, di Razzi, dei conduttori) ho capito che quello fuori posto ero io.
 
 
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