LA REPUBBLICA del 11 settembre 2011
Da vita, parole e opere dei coniugi Tarantini trapela un rapporto con i quattrini che non ha molto da spartire con la tradizionale avidità. Semplicemente, parlano della ricchezza come di un diritto naturale, di una condizione dovuta. Non il frutto del lavoro o della fortuna o delle disponibilità familiari. Un diritto, tanto evidente che a chi chiede loro ragione dei ventimila euro al mese spillati al Supercitrullo che ci governa, rispondono di avere «un tenore di vita alto». È l´etica sociale esattamente rovesciata: il tenore di vita alto non è più il punto di approdo di un lavoro proficuo o del talento premiato, come è sempre stato. No: il tenore di vita alto è la condizione pregressa che giustifica qualunque forma di scrocco o di questua o di prelievo con destrezza, perché mica vorrete che i coniugi Tarantini si vestano all´Upim o pernottino in pensioni da poco o si arrabattino come chiunque fatica a campare la vita, no? Loro hanno un tenore di vita alto, sono fatti così. Ha ragione Bauman: siamo, fondamentalmente, una società di drogati. Dipendenza da sostanze, dipendenza da consumi, dipendenza da sesso, dipendenza da denaro sono il motore del mondo che abbiamo costruito. Raramente riusciamo a ragionare sul fatto che dipendenza è il contrario di libertà. Sicuramente non è ai coniugi Tarantini che possiamo chiedere qualche consiglio terapeutico, o anche solo qualche mezza riflessione in proposito.
LA REPUBBLICA del 14 settembre 2011
Giovanardi che polemizza con Madonna è pura surrealtà, anche perché Madonna non lo saprà mai. Equivale a "Fanfani attacca i Beatles", per i meno anziani propongo "Cota maledice Hollywood". Si ride. Ma è una risata breve, perché un secondo dopo ci sovviene che, partita Madonna, Giovanardi rimane qui con noi, è lui il nostro convivente, lui l´espressione corrente del pensiero piccino che ci fa piccini, sempre più piccini di fronte al mondo. Gli italiani che viaggiano tornano con le mani nei capelli per gli sfottò, le allusioni sessuali, gli sguardi di compatimento. Il capo di Giovanardi è una celebrità planetaria nel campo del gallismo da barzelletta, le sue camicie di seta nera e il suo cerone ne fanno una star dell´avanspettacolo, anche se con quarant´anni di ritardo. Giovanardi ha perfettamente ragione, in questo senso, a rimproverare Madonna perché "la sua cultura non è quella della famiglia". Nella "cultura della famiglia" dell´Italietta di Giovanardi, il padre di famiglia e il puttaniere sono figure tranquillamente coesistenti, spesso coincidenti, ma l´omosessuale non può ereditare dal suo compagno di una vita, né assisterlo in ospedale. Finché quella cultura non sarà morta e sepolta l´Italia sarà eternamente bigotta e, quel che è peggio, eternamente volgare e violenta con una moltitudine di esseri umani.
LA REPUBBLICA del 23 agosto 2011
Chissà se qualcuno si è preso la briga, sotto l´ombrellone, di ritagliare e mettere da parte tutti gli articoli, le tabelle, le proiezioni che i giornali hanno dedicato alla sedicente "manovra da 40 miliardi". La somma delle anticipazioni, delle correzioni, degli aggiustamenti, delle rettifiche è un guazzabuglio impressionante, che mette quasi ogni italiano nell´impossibilità di capire quanto dovrà pagare direttamente (tributi straordinari) e quanto indirettamente (tagli ai Comuni, tagli ai servizi). Si è capito soltanto – e non è certo una novità – che la dichiarazione dei redditi sarà il parametro fondamentale per stabilire a quanto ammonta il salasso. La solita tassa sull´onestà che lascia indenni gli evasori (principali colpevoli di questo disastro insieme ai partiti che li coprono e li proteggono, come la Lega) e punisce i cittadini che già si fanno carico, con il loro lavoro e i loro soldi, del welfare. A parte questo nulla è certo, tutto è mutevole, molto è trattabile e dunque ritrattabile, e a due settimane di distanza dal ferale annuncio di un colpo di scure solenne e netto, il filo di quella scure appare gomma, e chi la impugna ha così paura di perdere voti e potere che non è neanche capace di dirci, da adulto che parla con adulti, quanto ci costa essere italiani.
LA REPUBBLICA del 16 settembre 2011
Il domestico peruviano di Lavitola, Rafael Chavez detto "Giuanin", passava personalmente da Palazzo Grazioli, dimora privata del nostro capo del governo, a ritirare buste piene di contanti. Il nostro capo del governo è fidanzato con una ventenne montenegrina che quando ha gli attacchi di gelosia si lancia per le scale ruzzolando. La modella colombiana Debbie Castaneda, dell´entourage del nostro capo del governo, è stata nominata consulente di Finmeccanica. Valter Lavitola è socialista e dirige l´Avanti! La contorsionista egiziana Yamila è stata inviata in dono dal nostro capo del governo al sultano dell´Oman dentro un baule damascato. Il Senato della Repubblica, confermando un precedente pronunciamento della Camera, ha votato a maggioranza un documento nel quale si sostiene che il nostro capo del governo, quando ha telefonato alla Questura di Milano, era preoccupato per le sorti della nipote di Mubarak. Il nostro capo del governo per fare alcune telefonate ha utilizzato una scheda telefonica intestata al cittadino peruviano Ceron Caceres. Il nostro capo del governo, in una conversazione privata, ha definito il cancelliere Merkel "una culona intrombabile". Il premier turco Erdogan rifiuta di incontrare il nostro capo del governo perché è turbato dal suo comportamento privato.
Una sola di queste notizie è sicuramente falsa. Sapreste dire quale?
LA REPUBBLICA del 24 agosto 2011
I famosi "miliardari russi", alcuni dei quali protagonisti, dopo la caduta dell´Urss, di una delle più colossali spoliazioni di beni collettivi mai viste nella storia dell´umanità, hanno ormai rimpiazzato nel nostro immaginario gli sceicchi arabi. Panfili di speciale cafonaggine e spese sfrontate ne segnano il passaggio nelle località turistiche più celebri e anche più trite, dove nemmeno Christian Vieri si fa più vedere, e dove loro arrivano con qualche decennio di ritardo sulle mode, per l´incredula gioia di albergatori e ristoratori che non speravano più di poter vuotare i freezer e le cantine. Alcuni di costoro acquistano e gestiscono squadre di calcio (russe e non) triplicando o quadruplicando investimenti e stipendi, e rovesciando sul tavolo da gioco tanti quattrini quanti ne dovrebbero bastare, in teoria, a sbaragliare ogni avversario. Ma fin qui hanno vinto poco o nulla, e i titoli di giornale che li riguardano non misurano le vittorie, ma lo sfondamento sistematico di ogni criterio economico e di ogni fair-play. Chi crede che il denaro non sia tutto segua le imprese dei nuovi ricchi dell´Est: sono una preziosa testimonianza che effettivamente no, il denaro non è tutto.
LA REPUBBLICA del 20 settembre 2011
Diceva il vero (purtroppo) il terribile editoriale di Concita De Gregorio pubblicato ieri su questo giornale: la prostituzione eretta non solo a sistema di potere, ma anche a modello di vita, sarà il lascito "morale" dell´uomo di Arcore. Compiacente, anzi entusiasta, una porzione non piccola di italiani e di italiane, come dimostra la disarmante intervista di una ragazzina pugliese che è riuscita a entrare nel giro delle escort a Sua disposizione. Almeno due, però, le ragioni di speranza. La prima, ovvia, è il numero consistente di italiani e italiane differenti e liberi di spirito. La seconda, meno ovvia, è che dietro la bigiotteria e le mance, le comparsate televisive e le gite a Palazzo, traspare un mondo di sfigati e di sfigate. Vice-concubine, vice-attrici, vice-vamp acquistate all´ingrosso e impilate come copertoni di ricambio nell´anticamera del Capo. Un piccolo mondo senza speranza di una fama individuale (non dico alla Pompadour, ma almeno alla Petacci, o alla Ferida) e condannato a una fama di branco, "le escort di Berlusconi". Imperdonabile promettere fama, felicità e ricchezza e fornirne appena un patetico surrogato. Nessun sistema può reggersi troppo a lungo sulla mortificazione delle speranze. Il vero capitalismo produce veri vincitori, al limite veri farabutti e farabutte. Questa roba qui è solo una parodia: e gli attori, per quanto grulli, prima o poi se ne accorgeranno.
LA REPUBBLICA del 28 agosto 2011
"Prassi diffusa nel territorio, cui il gruppo è stato costretto ad adeguarsi". Così si difende la conceria vicentina accusata dalla Finanza di un´evasione colossale: oltre cento milioni di euro. Non so se gli autori di quel comunicato ne hanno contezza, ma essere "costretti ad adeguarsi a una prassi diffusa nel territorio" è giustificazione tipica dei luoghi di mafia. È a Corleone, è in Aspromonte che ogni reato, ogni comportamento illecito viene fatto risalire, allargando le braccia, a un invincibile condizionamento ambientale. La differenza è che in terre di mafia chi si ribella rischia la vita. Laggiù nel Vicentino (profondo Meridione d´Europa) ribellarsi significa rischiare di guadagnare meno schei.
Una comunità di ex contadini poveri e ex migranti è diventata ricca lavorando duro e tagliando i ponti con le regole dello Stato e quelle del sindacato. Come i cinesi di Prato, ma molto prima di loro. Con una coesione interna ferrea e omertosa (non si possono evadere cifre del genere senza il consenso di tutti, operai per primi). Per evitare il solito commento "moralista": se tutto questo fosse servito a erigere una società migliore, pazienza. Ma quante librerie, quanti cinema, quanti teatri, quanta socialità, quanta buona architettura, quanta ecologia, quanta bellezza è stata realizzata, grazie alla cospicua refurtiva? Da Arzignano, in questo senso, non arrivano buone notizie.
LA REPUBBLICA del 21 settembre 2011
A Guido Ceronetti, che lamenta la scomparsa di molte parole della nostra tradizione linguistica, vorrei dare una buona anzi ottima notizia, che è la ricomparsa in grande stile, e ai massimi livelli, del verbo "bastonare", che odora di teatro dei burattini e di commedia dell´arte, quando ancora l´inglese onomatopeico dei fumetti non aveva fatto trionfare il "bonk". Il ritorno della bastonatura è dovuto a due grandi caratteristi della scena odierna: è l´avvocato Ghedini a raccontare che Valter Lavitola minacciò «di bastonarlo», in margine a una discussione sulle candidature. Si avverte, nella disputa tra il Lavitola e il Ghedini, il profondo radicamento di due italiani moderni alle loro tradizioni culturali. È Brighella, è Arlecchino che bastona o viene bastonato (e i bimbi ridono, gridano e battono le mani), in genere poco prima che cali il sipario. Il bastone non è arma di cavalieri o paladini, che usano il ferro. Non esiste, tra i bastoni, un Excalibur. Il bastone è l´arma ignobile che punisce il servo (gli cala, secondo il canone, "sul groppone"), o regola le contese tra i poveracci. È bello, e a suo modo emozionante, che ancora ci si bastoni, a destra, come pretende la natura popolare che i berlusconiani hanno inteso darsi. Anche quando ben pagati, direttori di giornale e deputati, l´antico Dna della maschera manesca a crapulona si fa valere.
LA REPUBBLICA del 30 agosto 2011
Ha ragione Matteo Renzi, quando dice di non credere alla "diversità etica" tra destra e sinistra. Ma dovrebbe spiegarlo alla destra italiana, ai suoi giornali, alla sua classe dirigente, che di quella diversità etica sembrano invece essere i più convinti sostenitori, perché sbarrano gli occhi e si indignano per il caso Penati, ma non battono ciglio di fronte al viluppo di scandali nel quale sprofonda il sistema berlusconiano: il solo giro di assegni del Sire ai suoi beneficiati (difficile distinguere tra amici, mantenuti, spacciatori di sesso e ricattatori) vale almeno quanto il "sistema Sesto" in termini di valuta, ed è ben più disgustoso quanto a etica del potere, stili di vita, vulnerabilità delle istituzioni. E dunque, si incoraggi infine la destra italiana a smetterla di considerare "diversa" la sinistra, e dunque più scandalosi gli scandali della sinistra. E a smetterla di avere di se stessa, del proprio leader, della propria classe dirigente, un´opinione così infima, e così rassegnata, da considerare ordinaria amministrazione quel troiaio (toscanismo) nel quale ministri, viceministri e lo stesso leader sono invischiati fino al collo. Basta con questa pregiudiziale denigrazione della destra italiana. Basta con i complessi di inferiorità della destra italiana.
LA REPUBBLICA del 22 settembre 2011
Umberto Bossi sa benissimo che non è possibile indire un referendum sulla secessione. Sa altrettanto bene che, casomai fosse possibile, la sedicente Padania sarebbe definitivamente sepolta da una valanga di "no", anche al Nord. Neppure l´elettorato leghista voterebbe al completo per uno Stato inesistente e per giunta retto, già al suo nascere, da un clan di tipo gheddafiano come quello messo in piedi da Bossi, con tanto di figli nominati ministri e cittì della Nazionale. E allora, perché lo dice? Lo dice – come nella tradizione della peggiore politica – solo per conservare il suo potere, rianimare il suo carisma sgonfiato da anni di fedele servizio alla corte di Arcore, illudere fino allo stremo il suo popolo. Lo dice sapendo che il sogno della Padania (oltre a essere un incubo per la grande maggioranza degli italiani) è, appunto, solo un sogno. Ogni parola spesa da Bossi in questi anni era fondata su un´invenzione retorica, finalizzata alla sua carriera politica. Giurare (spergiurando) sulla Costituzione italiana per diventare ministro di una Nazione che vuole distruggere è già una colpa grave: ma ai danni del "nemico". Il cinismo politico può giustificarla. Ma imbrogliare migliaia di militanti e un paio di milioni di elettori facendo loro credere che un giorno saranno "padani" vuol dire approfittare anche di chi ti è amico.