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LA REPUBBLICA del 10 settembre 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Nel suo nuovo, bellissimo stadio torinese, la Juventus espone con legittimo orgoglio i titoli conquistati. Tra questi anche i due scudetti revocati dalla giustizia sportiva, incastonati nelle nuove mura con identica dignità degli altri ventisette. Il significato del gesto è di lampante chiarezza: quanto ha deciso la giustizia sportiva è ininfluente. Per la Juventus quei due scudetti sono vinti, punto e basta. Non so fino a che punto i giovani eredi Agnelli siano coscienti della devastante forza simbolica di questa ostensione, che ribadisce nel più autorevole e insieme popolare dei modi quanto, del resto, ci è già noto da tempo: niente, in questo paese, è uguale per tutti, tanto meno quanto discende da un´autorità pubblica, da una legge, da una regola (teoricamente) riconosciuta. Sono le passioni private, tanto più se sostenute dal potere maieutico del denaro, a prevalere sempre e comunque: e se gli Agnelli hanno deciso che quei due scudetti sono della Juve, quei due scudetti sono della Juve. Siamo, in questo senso, un paese feudale, e se il nuovo stadio bianconero ha splendida modernità di forme, quei due trofei rapiti alle pubbliche galere ed esposti all´adorazione del popolo ne rivelano il cuore da antico maniero. Il Signore detta le mosse del torneo, la folla plaude. La legge? Si fotta. 

LA REPUBBLICA del 4 agosto 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Le voci sull´"inevitabile passo indietro" di Giulio Tremonti, che solo un paio di giorni fa erano un coro, già cominciano a diradarsi. Il conto alla rovescia che conduce all´eclissi politica di Berlusconi, iniziato dopo il tracollo elettorale di primavera, non sembra avere fretta di arrivare al suo esito. Scandali, processi, richieste di autorizzazione a procedere, dileggio internazionale, cadute parlamentari, figure ridicole come quella degli pseudoministeri a Monza, niente sembra scalfire un potere talmente malconcio e screditato che ogni nuova ferita subito si confonde e scompare nel dedalo delle precedenti. Basti, tra tutte, la parabola esemplare dell´ex ministro Scajola, che non anni addietro, ma nel corso di questa stessa legislatura (maggio 2010), parve politicamente morto e sepolto, dopo il disdoro che gli era caduto addosso a causa del clamoroso scandalo dell´appartamento romano "pagato a sua insaputa" da altri. Beh, poco più di un anno dopo Scajola è riverito e influente capo-corrente del Pdl. La sua carriera politica è in pieno e florido corso, e non a sua insaputa. I giornali lo intervistano come autorevole leader nazionale, certamente in lizza per orientare i destini del centrodestra. Più che dell´immoralità, in questo paese bisognerebbe discutere dell´immortalità. 

LA REPUBBLICA del 31 agosto 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Di tutte le bugie dette da questo nostro tristo premier, "non ho messo le mani nelle tasche degli italiani" è tra le più grossolane e ridicole. Non ha messo le mani nelle tasche dei benestanti, questo sì, né in quelle di chi ha imboscato quattrini frodandoli al fisco e dunque alla comunità: per loro c’è solo lo spettro dei soliti "controlli incrociati", per altro già da tempo memorabile nelle facoltà d´azione dell´erario e della Finanza quando mai avessero uomini e mezzi bastanti. Ma le ha messe, eccome, nelle tasche della gente comune, rosicchiando spiccioli, decurtando servizi, tagliuzzando pensioni, con uno di quei soliti drenaggi mezzo disperati mezzo pitocchi che in Italia chiamiamo pomposamente "manovre" e che non cambiano mai niente di strutturale, non intaccano mai i privilegi, non confortano i tartassati, non ricompensano gli onesti. Un tirare a campare da democristiano (insieme a quegli altri stra-democristiani dei leghisti), che cerca disperatamente di rimandare ogni rendiconto, ogni decisione vera. Quanto a Tremonti (che una super-tassa sui redditi forti almeno l´aveva proposta), della sua manovra non rimangono nemmeno i cocci. Come l´architetto che propone il grattacielo e glielo trasformano in pagoda. Un professionista serio, in quei casi, ringrazia e toglie il disturbo. 

LA REPUBBLICA del 23 settembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Ieri ben tre amici (autorevoli) mi hanno detto: sento che siamo sull´orlo della catastrofe. Italiana e mondiale. Non essendo scaramantico, non avevo scongiuri da fare. A meno che sia, a suo modo, uno scongiuro il piccolo gioco mentale che da qualche mese, e forse da qualche anno, si innesca ogni volta che qualcuno mi dice: arriva la catastrofe. Il gioco è questo. La catastrofe è arrivata. Devo decidere a cosa rinunciare, che cosa tenere. Casa, vestiti, mezzi di locomozione, consumi culturali, elettronica, vacanze, viaggi, oggetti, abitudini. Un inventario ingombrante, che già a pensarlo suggerirebbe di alleggerirsi. Ma quando si tratta di scegliere – questo sì, questo no – non ne sono capace, o cambio idea ogni volta. Tra le tante cose che possediamo, non possediamo più una gerarchia dell´avere, e il necessario e il superfluo costituiscono un inestricabile groviglio. Troverei rasserenante – in caso di catastrofe – avere già pronta la mia valigia di sopravvivenza: salvando quella dal crollo, potrei ritentare la sorte. Ma se uno, per la sopravvivenza, ha bisogno di (almeno) un container, vuol dire che è zavorrato. Paralizzato. Ostaggio dei suoi bisogni. Provate anche voi a fare quel gioco. Magari imparate a conoscervi meglio. Magari – quando la catastrofe arriverà davvero – sarete abbastanza leggeri da tentare la fuga. 

LA REPUBBLICA del 29 luglio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
A Bossi fa molto comodo credere di avere un conflitto "solo" con il Quirinale. La realtà è che ha un conflitto con quello che lui chiama "il Nord", cioè con la grande maggioranza degli italiani che vivono e votano sopra il Po, considerano una umiliante buffonata la fantomatica apertura di due stanzette "ministeriali" a Monza, e più in generale ne hanno le tasche piene di secessioni, soli delle Alpi imposti nella scuola pubblica e altre piccole e grandi soperchierie. La Lega è una minoranza che si comporta come la più arrogante delle maggioranze. Parla a nome "del Nord" senza averne il diritto ideologico e soprattutto il diritto formale (che in democrazia è tutto), perché "il Nord" si è espresso con voce ben diversa alle ultime elezioni e nei referendum, e ha tappezzato le strade di tricolori, durante i festeggiamenti del centocinquantenario, anche come chiaro segno di appartenenza nazionale, anche come rivolta identitaria e popolare all´insopportabile, ventennale prepotenza leghista. Non è chiaro se Bossi queste cose non le abbia capite, oppure le sappia benissimo e faccia finta di niente. In entrambi i casi non è un bravo politico, perché illude la sua gente di stare vivendo una epopea vittoriosa mentre è la sconfitta, una sconfitta storica, quella che la Lega si è confezionata (anche con le sue mani) al Nord. 

LA REPUBBLICA del 1 settembre 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Bersani considera «uno stimolo» il referendum contro l´orrida legge Calderoli (chiamarla Porcellum è quasi un vezzeggiativo: legge Calderoli suona ben più grave). Ma non vuole coinvolgere il partito nella campagna: come segretario del Pd si riserva il ruolo specifico di proporre in Parlamento una nuova e migliore legge elettorale. Non si capisce perché la seconda cosa impedisca ai democratici, e al loro segretario in primo luogo, di battersi anche per la prima. Il ricorso al referendum indica in modo forte e diretto il disgusto di buona parte del paese per un sistema elettorale che toglie potere ai cittadini; che quasi tutti i partiti giudicano pessimo; ma che la politica non pare in grado, da sola, di cancellare o di emendare, pur avendo avuto molto tempo a disposizione per farlo. E dunque, che cosa aspetta Bersani? Pochissimi mesi fa, nella travolgente campagna nata attorno al referendum sull´acqua pubblica, si era creata una saldatura vincente tra società civile e politica, tra movimenti e partiti. Tutto già finito e digerito, tutto alle spalle? Al punto che il capo del maggior partito della sinistra italiana esita a sposare una causa sacrosanta sostenendo che non vuole «mettere il cappello» del Pd sopra un´iniziativa della società civile? Ma non sembrerà ben più stonato e fuori posto, il «cappello» del Pd, quando arriverà all´ultimo minuto a sventolare su una piazza che ha già fatto, lei da sola, tutta la fatica? 

LA REPUBBLICA del 30 luglio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca

Leggo avidamente le cronache del "Trota-gate", vicenda minore ma gustosissima del sottobosco lumbard. Pare pensata da Piero Chiara e scritta, però, da un suo emulo non di vaglia, di quelli che mandano tutto in vacca fin dalle prime righe. A cominciare dal nome di battaglia della protagonista, "Monica della Valcamonica", assessore regionale lombardo. Per proseguire con la sensitiva-veggente da lei fatta assumere al Pirellone, seguace del culto di Orion (la Giunta Formigoni, si sa, è molto attenta alla religione). E poi gli immancabili dossier (chi non ne ha un paio nel cassetto?) che riguarderebbero quelle che i giornali chiamano "storie di corna", per fare fuori i rivali interni del Trota, affidato dal papà a Monica della Valcamonica e a uno staff, come dire, piuttosto composito, anzi talmente composito che ne faceva parte anche l´indimenticabile Valerio Merola detto Merolone. E finte lauree in psicologia, e un mondo di paesi, di compaesani e di millanterie paesane, di aspirazioni nate al bar e trascinate con febbrile fatica fino a Milano, la grande città che non vota Lega ma alla quale i leghisti arrivano come Renzo Tramaglino, tramortiti dallo stupore. Detestiamo i dossier: puzzano. Ma una sbirciata a un dossier a caso di quelli compilati dalla maga del Pirellone e da Monica della Valcamonica dev´essere un divertimento irresistibile.

 

LA REPUBBLICA del 2 settembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
L´aumento dell´Iva non è previsto, però «è attivabile in qualsiasi momento». In queste parole (ennesime) del capo del governo è riassunta l´assurdità congenita della sedicente "manovra", che oggi c´è domani no, taglia le pensioni però non le taglia, risparmia i Comuni ma forse non li risparmia, abolisce le Province però solo tra un paio di legislature… Incredibile ripensare come quest´uomo, quando è disceso in campo per salvarci tutti quanti (anche noi che non volevamo…), ha speso soprattutto la sua fama di imprenditore e di "uomo del fare", reso efficiente e pragmatico dal suo lavoro, e portato a Roma in trionfo da una folla plaudente che vedeva in lui il giustiziere di una classe politica pasticciona, lenta, compromissoria, indecisa a tutto. Oggi eccolo qui, il milanese che lavora e non ha tempo per le chiacchiere, il capitano d´azienda dinamico e provvido, che pasticcia con le cifre, tentenna, ribalta decisioni, ostaggio permanente (in politica come altrove) da compagni di viaggio che lo tengono per la collottola e gli fanno dire il giorno dopo il contrario di quello che ha detto il giorno prima. Così che gli unici effettivi risanatori dei quali si potrà avere memoria sono Ciampi e Amato, alti funzionari pubblici, tipico prodotto (di alta gamma) dell´amministrazione di Stato. Furono ben più duri e ben più rapidi del presuntuoso "cumenda" sceso dal Nord per combinare un tubo. 

LA REPUBBLICA del 31 luglio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Non sapevo proprio che Amaca scrivere, oggi su questo giornale che è in lutto, e si sente più solo e più debole perché ha perduto uno dei suoi uomini più bravi e più forti. Poi ho pensato che la cosa più giusta da dire, su Peppe e di riflesso su noi tutti, era anche la più semplice: il giornalismo, che è uno dei mestieri più ignobili del mondo (rifugio di vice-scrittori, palestra di improvvisatori, bolgia di pettegoli), può anche diventare uno dei mestieri più coraggiosi e necessari. A un patto: che il giornalista ci creda e che lo voglia. D´Avanzo ci ha creduto e lo ha voluto. Il giornalismo non esiste, esistono i giornalisti. Quelli bravi e anche quelli bravissimi non li riconosci perché sono infallibili (ogni grande firma ha in archivio i suoi errori). Li riconosci perché non sprecano mai il mestiere, non lo lasciano scolorire nella routine, non permettono alle parole di perdere significato e potere. Le parole senza significato sono quelle che occultano, coprono tutto sotto una coltre inespressiva, sono il bla-bla che ammazza la pubblica opinione e la confonde. Le parole bene assestate, scelte con fatica e a volte dissotterrate dal silenzio e dal conformismo, sono un´arma fantastica e un dono alla comunità nella quale si vive. Un dono di libertà. Il giornalismo non è all´altezza di quel dono, ma alcuni giornalisti sì. 

LA REPUBBLICA del 8 settembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
L´ipotesi dell´apocalisse finanziaria, del default italiano poi europeo poi mondiale volteggia sulle nostre teste. Ma provate a materializzarla, a capire come cambierebbe concretamente il mondo, che cosa perderemmo, a quali rinunce saremmo costretti, e non ci riuscirete. La povertà classica aveva il volto antico della fame, del freddo, della penuria. E la povertà futura? Il rapporto tra prodotto interno lordo mondiale ed economia finanziaria è uno a otto: i beni concretamente prodotti dagli esseri umani con il loro lavoro sono appena un ottavo del folle vortice virtuale che si chiama economia finanziaria. Quando i giornali gridano "bruciati in un solo giorno cento miliardi di euro", non riusciamo a vedere né il fuoco né il fumo, a calcolare il danno: come se si aprisse una falla in una diga che non sappiamo, e dunque non possiamo riparare. L´istinto sarebbe contare quanto frumento rimane in granaio, quante patate e quanto vino in cantina, quanti soldi nel portafogli, quanto gasolio in caldaia. Non riuscire a farlo, e non poterlo fare, genera un´angoscia inedita, un disorientamento assoluto, come quando si ignora il volto del nemico. La sola cosa che abbiamo capito con certezza e che la totale perdita di nesso tra la vita materiale (il lavoro, il cibo, i manufatti, persino il denaro che pure è già un´astrazione) e l´economia mondiale è un segno di malattia. E la malattia fa sentire insicuri perfino più della povertà.
 

 

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