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LA REPUBBLICA del 30 luglio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca

Leggo avidamente le cronache del "Trota-gate", vicenda minore ma gustosissima del sottobosco lumbard. Pare pensata da Piero Chiara e scritta, però, da un suo emulo non di vaglia, di quelli che mandano tutto in vacca fin dalle prime righe. A cominciare dal nome di battaglia della protagonista, "Monica della Valcamonica", assessore regionale lombardo. Per proseguire con la sensitiva-veggente da lei fatta assumere al Pirellone, seguace del culto di Orion (la Giunta Formigoni, si sa, è molto attenta alla religione). E poi gli immancabili dossier (chi non ne ha un paio nel cassetto?) che riguarderebbero quelle che i giornali chiamano "storie di corna", per fare fuori i rivali interni del Trota, affidato dal papà a Monica della Valcamonica e a uno staff, come dire, piuttosto composito, anzi talmente composito che ne faceva parte anche l´indimenticabile Valerio Merola detto Merolone. E finte lauree in psicologia, e un mondo di paesi, di compaesani e di millanterie paesane, di aspirazioni nate al bar e trascinate con febbrile fatica fino a Milano, la grande città che non vota Lega ma alla quale i leghisti arrivano come Renzo Tramaglino, tramortiti dallo stupore. Detestiamo i dossier: puzzano. Ma una sbirciata a un dossier a caso di quelli compilati dalla maga del Pirellone e da Monica della Valcamonica dev´essere un divertimento irresistibile.

 

LA REPUBBLICA del 18 giugno 2011

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
"Il linguaggio è importante", scrive Pierluigi Battista sul Corriere biasimando le sgarberie e la rozzezza verbale di alcuni (molti) dei governanti. Già. Ma il linguaggio era importante anche "prima". Quando la destra vinceva. Quando non al nervosismo o allo choc della sconfitta, ma alla sicumera del potere si potevano attribuire l´aggressività e le insolenze (Bossi che mostra il dito medio, Bossi che fa il gesto dell´ombrello, Calderoli che vuole portare i porci a pascolare davanti alle moschee, Berlusconi che dà del coglione a chi non lo vota: la lista è interminabile). Non è agli sconfitti, è soprattutto ai vincitori che urge rinfacciare la bassa qualità dei comportamenti e delle parole. La vittoria non è un lasciapassare, semmai è un ulteriore carico di responsabilità. A Vendola, giustamente, è stata rimproverata una smagliatura ("abbiamo espugnato Milano") uscitagli di bocca proprio nel momento del trionfo. Ci si chiede – e non è una polemica – se la notte sarebbe stata meno lunga, la caduta di stile meno implacabile, se ciò che appariva protervo e insopportabile, nel potere berlusconiano e bossiano, lo fosse stato per chiunque aveva occhi per vedere e orecchie per sentire. Noi moralisti di Repubblica saremmo stati molto felici di dividere con qualcun altro la fatica e la noia (soprattutto la noia) di ripetere per quasi vent´anni le stesse cose. 

LA REPUBBLICA del 8 luglio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Seguo con parecchia amarezza l´affastellarsi di "rivelazioni" sulla Rai controllata e manipolata dagli uomini di Berlusconi (cioè, in un colpo solo, dal governo e dalla concorrenza). L´amarezza è dovuta alla totale inutilità di quanto, negli anni, è stato detto e scritto in proposito. Valanghe di articoli, documenti sindacali, vertenze interne rendevano esplicito uno scandalo che, prima che nei comportamenti, era nelle cose. Lo scandalo era (è) il conflitto di interessi, la cui conseguenza tecnicamente e politicamente più macroscopica era che la televisione pubblica italiana fosse gestita dai suoi diretti concorrenti: una follia in termini di mercato oltre che in termini di libera informazione. Francamente, non è molto interessante sapere che cosa dicesse nelle sue telefonate la signora Deborah Bergamini, ex segretaria di Berlusconi sistemata sul ponte di comando della Rai non certo per fare il bene di viale Mazzini. Molto più interessante sarebbe capire come questa vera e propria alienazione di un bene pubblico sia stata accettata, sopportata, subita (trovate voi il termine giusto) dal sistema politico italiano, dai cosiddetti organi di controllo, dall´etica pubblica di un Paese che ha considerato normale, per quasi vent´anni, quel gigantesco sgarro alla libertà e al mercato che è stato (che è ancora) il conflitto di interessi. Mediaset comandava in Rai: ce ne accorgiamo adesso? 

LA REPUBBLICA del 19 giugno 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Con tutto il rispetto per la Lega, che è un influente partito locale e una componente importante del governo nazionale, questa attesa spasmodica di Pontida, e di quello che dirà il Bossi sul fatidico pratone, è abbastanza buffa. Nessuna agenda politica seria può essere dettata da un comizio, per quanto solenne, e che un governo cada o non cada per qualche frase benevola o malevola, per qualche tono ringhioso o conciliante, è piuttosto surreale. Se i partiti ricominciassero a funzionare da ricettori sociali, e non da consorterie che confabulano tra loro, i destini di questo governo (e di qualunque altro governo) sarebbero segnati da tempo: dalla doppia catastrofe elettorale, dal dramma del lavoro salariato che annaspa, dai pessimi conti pubblici, da una riforma fiscale promessa dal premier cento anni fa, mai fatta e adesso abborracciata in tre minuti (a parole) per fare finta che tutto sia arrangiabile. Rispetto a tutto questo – cioè rispetto alla realtà sociale – francamente quello che dirà Bossi può essere al massimo un regolamento di conti tra colleghi, o un chiassoso titolone di giornale, poco di più. Se poi dovesse dire niente di sostanzioso, il lungo computo del tempo perso sarà aumentato di un paio di settimane, trascorse ad aspettare Pontida. Che tra l´altro non è neanche Parigi. Per dire. 

LA REPUBBLICA del 12 luglio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
In margine alla vicenda del Lodo Mondadori, ci sarebbe da ragionare su un´enormità. Talmente enorme che se ne parla poco e si fa finta di dimenticarsene, anche perché non si può vivere sempre nell´angoscia più nera (un quid di rimozione, in Italia, è indispensabile per la sopravvivenza). L´enormità è questa: che secondo le carte giudiziarie il capo del governo di questo Paese si sarebbe giovato, per costruire le sue fortune, della corruzione di un giudice. Reato più devastante, per un uomo che rappresenta le istituzioni, quasi non è concepibile. Sono le classiche e ricorrenti situazioni nelle quali ci si chiede "in quale altro Paese mai potrebbe accadere", eccetera eccetera. Pure, nella puntuta difesa che il suo esercito di avvocati e i suoi familiari, e co-intestatari dei beni, fanno di Berlusconi, lo scrupolo di negare un´accusa così infamante non appare certo al primo posto. Si fa cenno alla salute dell´azienda, alla tutela dei posti di lavoro, si mette in discussione la cifra in ballo. Quasi si sorvola su ciò che ha originato tutto, e ha portato al colossale risarcimento di un altrettanto colossale danno: la corruzione, comprovata e già giudicata, del giudice Metta da parte di Cesare Previti per favorire la Fininvest. L´idea che chi ci governa e ci rappresenta nel mondo sia un corruttore di giudici è effettivamente troppo deprimente, e vergognosa, perché se ne possa prendere atto fino in fondo. Meglio dormire. Andare al mare. Dimenticare. 

LA REPUBBLICA del 21 giugno 2011 

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Luigi de Magistris, eletto sindaco di Napoli a furor di popolo, e con grave smacco dei vecchi potentati di destra e di sinistra, si è tolto subito il peso del primo errore e ha imparato, di conseguenza, la prima lezione: mai promettere soluzioni rapide e miracolose, perché le piaghe vecchie di molti anni non si rimarginano per acclamazione. La realtà è un osso duro, e si incarognisce soprattutto con chi si illude di ignorarla. Le cordigliere di monnezza che ancora circondano Napoli sono il portato di un tenace, stratificato mix di errori politici, truffe e speculazioni, deficit di cultura civica. Meglio sarebbe stato (anche per distinguersi dal vecchio andazzo) dire «ce la metteremo tutta, ma non sono in grado di promettervi un D-day miracoloso, siamo nella merda fino al collo e per liberarcene davvero ci vorrà il lavoro di anni, forse di generazioni». Perché de Magistris non lo ha fatto? Forse per il comprensibile entusiasmo del neofita, forse perché il meccanismo pavloviano frase virtuosa-ovazione della folla, che in campagna elettorale ha il suo peso, è un meccanismo difficile da disinnescare. Il giovane sindaco ha più di mezza Napoli (e di mezza Italia) dalla sua parte. Lavori molto, non prometta nulla e forse riuscirà a farcela. 

LA REPUBBLICA del 13 luglio 2011 

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La gretta, striminzita legge sul fine-vita voluta dalla maggioranza non è solo illiberale, perché costringe gli individui, proprio nel loro momento di estrema debolezza, a una morale imposta. È anche profondamente classista, perché da quel vincolo possono agevolmente liberarsi soprattutto i più facoltosi, i più colti e i più cosmopoliti, ai quali l´Italia appare ogni giorno di più una piccola provincia arretrata e (in questo caso) violenta, dalla quale uscire ogni volta che si desideri vivere più liberamente e liberamente morire. Mentre chi ha meno soldi e meno esperienza del mondo rimane inchiodato a questa croce, e sarà costretto a morire come vogliono i cardinali e non come vogliono loro o come detta la natura o come suggerisce il loro personale, inviolabile rapporto con la morte e con l´eterno. C´è una oramai millenaria retorica sugli umili come favoriti dal Padre, e di più facile accesso nel regno dei cieli. Ma si rinnova il sospetto, in occasioni come queste, che la predilezione per gli umili non sgorghi tanto dal cuore di Dio quanto dall´arbitrio delle gerarchie: che senza gli umili da dirigere e da controllare, non dirigerebbero né controllerebbero più niente e nessuno. 

LA REPUBBLICA del 22 giugno 2011 

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Al netto della sua complicatissima lettura giudiziaria (è duro, in quel pappa e ciccia, distinguere tra i reati e le "normali" scorrettezze), il caso Bisignani conferma, purtroppo, la grave incompiutezza della nostra democrazia. L´idea che si faccia carriera e si concludano affari non per merito, ma perché si conosce qualcuno, si è amici di qualcun altro, si è bene introdotti nelle stanze che contano, è semplicemente anti-democratica. È un insopportabile affronto al talento dei solitari, al sudore e al lavoro dei non affiliati e dei non arruolati, alla speranza di farcela con le proprie forze e il proprio valore. È il contrario esatto dell´American Dream, è una cappa illiberale, mafioseggiante, è il potere dei soliti che se lo amministrano al riparo da ogni trasparenza. Sono nato a Roma e ne sono orgoglioso, ma quella Roma lì è terribile. Ingoia e digerisce qualunque cambio di regime, amministra poltrone e somministra veleni, gestisce perfino il lavoro parlamentare con intenzioni e metodi extraparlamentari. Danneggia ed esclude chi non ne fa parte, ma invischia e compromette chi ne fa parte fino a fargli perdere autonomia politica e indipendenza personale. Blandisce e ricatta. Quella Roma lì è la vera antipolitica, il vero anti-Stato, la vera falla nello scafo del Paese. Ce ne libereremo mai? Generazioni e governi sono trascorsi a frotte senza che accadesse. Sperare è obbligatorio. Illudersi, pericoloso. 

LA REPUBBLICA del 14 luglio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
«Tra le ragazze c´è chi ha avuto una Land Rover, chi è stata eletta in Consiglio regionale. Non è certo un reato». Uno degli avvocati di Nicole Minetti ha così riassunto (molto efficacemente) l´andazzo del regimetto berlusconiano: le cariche pubbliche usate come una gratifica, un regalo a disposizione delle dame di corte. All´avvocato (e non solo a lui) sfugge la differenza tra una Land Rover e un mandato politico: la prima si paga con i propri quattrini, il secondo è a carico dei cittadini, che a Minetti pagano il notevole stipendio (sui diecimila al mese) di tasca propria, attraverso il prelievo fiscale. Tecnicamente, dunque, le mantenute del Capo diventano le mantenute di noi tutti, ovviamente senza chiederci se siamo d´accordo. Sono convinto che Minetti non abbia rimesso il suo mandato non per protervia, ma perché soffre dello stesso analfabetismo civico di chi l´ha messa su quella sedia. Non hanno la più pallida idea dell´esistenza di una sfera pubblica che risponde a regole e princìpi che non sono gli stessi in voga nei concessionari d´auto, e dunque credono davvero che regalare un´automobile o un filo di perle o una carica pubblica sia la stessa cosa. In conclusione, e seguendo il filo logico dell´avvocato: forse non è un reato, però – mi scuso per la sintesi – fa veramente schifo. 

LA REPUBBLICA del 24 giugno 2011 

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Nella Milano di Pisapia, il nuovo consiglio d´amministrazione della nettezza urbana, appena eletto, non conta la presenza di politici, ma solo di tecnici espressi dall´azienda medesima. Sembra incredibile, ma si tratta di una rivoluzione: la giunta Moratti, prevedendo di rivincere le elezioni, aveva già in animo di destinare quelle poltrone a un paio di assessori, secondo la tradizione (ovviamente non solo milanese, e non solo di destra) che intende le aziende pubbliche come indotto della politica e dei partiti politici. Siamo di fronte, dunque, a una notizia cattiva e a una buona. Quella cattiva è che il nostro Paese è così malridotto, specie sotto il profilo dei rapporti tra eletti ed elettori, e della trasparenza degli scopi e dei mezzi della politica, che la normalissima scelta di affidare un´azienda pubblica ai tecnici (dunque a sé stessa) sottraendola al poltronificio dei partiti, è un fatto di per sé clamoroso. La notizia buona è che in un Paese così incrostato, vecchio, malgovernato e immobile, bastano un gesto pulito, una scelta indipendente, un segno di novità per dare l´impressione che tutto possa cambiare. Anche se è cambiata solo l´azienda di nettezza urbana di Milano. Fino a un paio di mesi fa, eravamo sicuri che non sarebbe mai cambiata nemmeno quella. 
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