LA REPUBBLICA del 30 giugno 2011
Di molti intrecci opachi e scandali italiani (P4 e dintorni) si dice, in genere giustamente, che è materia politicamente e moralmente infetta, ma non facile da affrontare e risolvere per via giudiziaria. Di quanto è accaduto alla Rai in questi ultimi anni penso esattamente il contrario: è un tale coacervo di irregolarità, forzature e interventi illeciti, che solo un processo bene istruito e ben condotto potrebbe e dovrebbe, prima o poi, rimettere ordine e rifare giustizia. Dalle carte, dalle intercettazioni, dalle evidenze della vita aziendale, il fondato sospetto è che dentro l´azienda pubblica abbiano agito uomini fedeli alla concorrenza, discutendo e forse concordando con Mediaset i palinsesti. Per capirci: è come se la Coca-Cola avesse imposto alla Pepsi un management di suo gradimento. Che questo corrisponda (come scriveva ieri Massimo Giannini su questo giornale) a un disegno di controllo totale dell´informazione, è certamente un problema politico di prima grandezza. Ma la concorrenza sleale, i danni finanziari, le violazioni di enne regole del libero mercato e di enne norme di diritto amministrativo non sono un problema politico, sono materia tipica per gli avvocati (d´accusa e di difesa, ovviamente) e per la magistratura inquirente e giudicante.
LA REPUBBLICA del 27 luglio 2011
Maiali in piazza Affari, ieri mattina a Milano, davanti alla Borsa che mai aveva udito grugnire sotto la sua bella facciata bianca. Colpo d´occhio notevole, una manifestazione di contadini (uomini e bestie) nel luogo dove l´economia si fa meno concreta, più immateriale, e niente valgono le mani, il sudore, il lavoro fisico. Il primario (che vuol dire: il cibo, il nutrimento della vita) spunta guadagni da fame perché dentro quel grande palazzo bianco, e nei suoi omologhi sparsi per il mondo, pochi speculatori giocano sui prezzi dei cereali, dei mangimi, di tutto quanto viene prodotto al mondo dal lavoro umano, e decidono il destino del pane, della carne, del latte e delle persone che quei fondamenti producono, che su quei fondamenti campano. Mai la parola "valore" fu più storpiata, se il risultato è che il valore del cibo, della terra, della natura è niente rispetto all´azzardo e allo strapotere del capitale finanziario. Più o meno nello stesso momento i pastori sardi protestavano a Cagliari, perché il prezzo del latte è così basso da non coprire neanche le spese. Chi conosce appena un poco l´agricoltura e i suoi problemi ha una richiesta da fare: non chiamatelo più "primario", perché suona come una beffa per un settore che viene ultimo, ignorato e umiliato.
LA REPUBBLICA del 1 luglio 2011
Ma quanto può durare ancora, l´agonia politica di Silvio Berlusconi? E con quali conseguenze ulteriori, in un paese che avrebbe fretta di voltare pagina e non può, non ci riesce, ne è impedito da un ex leader che non ha più una vera maggioranza, non più una credibilità, non più una prospettiva? Tra i vari scenari ipotizzati (la furia sovversiva del Caimano, il collasso del rapporto tra politica e giustizia, l´accelerazione autoritaria) si fa strada la meno berlusconiana e dunque la meno prevedibile: la mesta ostinazione del pugile suonato che non trova la forza di scendere dal ring, e ripete in modo sempre più flebile e patetico le vecchie mosse un tempo di successo, oggi mal sopportate perfino dal suo entourage. Una decadenza logora e opaca imposta ancora per mesi, magari per un paio d´anni: potrebbe essere questa la vendetta davvero atroce che l´ex dinamico imprenditore, e scoppiettante demagogo, e smodato viveur perpetra ai nostri danni, per punirci di avergli voltato le spalle. Costringerci ad annoiarci e languire al suo capezzale, e dopo averci imposto il vitalismo volgare, e le luci pacchiane del suo potente varietà, renderci spettatori obbligati del suo finale triste, e crocerossini sfiniti della sua ostinazione senile. Tutto, pur di continuare a decidere anche per nostro conto.
LA REPUBBLICA del 28 luglio 2011
Se io ti picchio o ti uccido perché tu sei omosessuale, la legge italiana mi condannerà per averti picchiato o ucciso. Ma il movente del reato, ovvero ciò che ha fatto di me un carnefice e di te una vittima, non potrà avere alcun rilievo processuale: il Parlamento italiano ha deciso che accettare l´omofobia tra le aggravanti penali sarebbe "anticostituzionale", perché introdurrebbe un discrimine in favore dei cittadini omosessuali… A ciascuno stabilire se questo voto sia più ridicolo o più osceno. Fingendo di combattere un discrimine giuridico ritenuto omofilo, nega l´esistenza del solo pesante discrimine in opera, che è quello omofobo. Di aggressioni contro eterosessuali al grido di "sporco etero" non si ha infatti notizia, non essendo la cosiddetta "normalità" oggetto di odio o di intolleranza. Mentre di violenze omofobe, al grido di "lurido frocio", che è al tempo stesso un´offesa e una rivendicazione, sono piene le cronache italiane (specialmente romane), ed è in virtù di questa dolorosa e inaccettabile realtà, non certo di astrazioni da leguleio, che si discuteva in Parlamento una legge contro l´omofobia. Questa legge non è passata, e il governo più eterogeneo e diviso del secolo ha ritrovato tutta la sua sicumera per negare compattamente agli omosessuali il diritto di avere un´identità perfino quando per quella identità vengono uccisi.
LA REPUBBLICA del 27 maggio 2011
Non vorrei che, dopo avere monopolizzato per vent´anni i nostri sentimenti pubblici (ira, vergogna, e quella forma definitiva di avvilimento che è la noia), il nostro premier riuscisse a strapparci anche qualche stilla di commiserazione. Quello che è andato a disturbare Obama per metterlo a parte di certe sue manie (i giudici cattivi, eccetera) non è il Caimano, è un signore anziano, stanco, preoccupato, che riceve in cambio solo lo sguardo assente di chi ha ben altro per la testa. Il Berlusconi di Deuville, per la prima volta, fa più pena che rabbia, ed è anche questo un segno dei tempi che cambiano. D´improvviso ci sembra un caratterista, una figuretta marginale che si intrufola in un vertice mondiale per rubare all´ordine del giorno uno spicchio di attenzione, e per chiedere udienza (non concessa) al più potente tra i potenti. Non avendo altra misura delle cose che se medesimo, è un uomo in balia del proprio umore e dei propri casi privati. Quando era allegro il suo contributo alla politica mondiale erano le barzellette e le pose spiritose per i fotografi. Oggi che è triste lo si vede vagare attorno al tavolo del mondo, indifferente all´ordine del giorno, al protocollo, al suo ruolo pubblico, e attaccare la solita pippa della persecuzione giudiziaria al povero Obama. In parole semplici: è uno che non sa fare il proprio lavoro. Quando perderà, è solo per questo che avrà perso.
LA REPUBBLICA del 1 giugno 2011
Il centrosinistra non è la somma (variabile) dei partiti che lo compongono. È molto di più, qualitativamente e (soprattutto) quantitativamente. È la somma dei cittadini italiani disposti a votarlo, ai quali importa nulla se il candidato è del Pd, di Sel, dell´Idv o altro: basta che sia un candidato credibile, e che sia scelto con le primarie, e sarà il candidato di tutti. Questa, in sintesi, è la lezione di questo fantastico voto. Ora si tratta di capire se i leader hanno fatto lo stesso salto di qualità dei loro elettori. O se qualcuno ha ancora intenzione di mestare nel fondo disseccato della vecchia politica, pasticciando con accordi di vertice, patti opachi, spartizioni di potere, furbate tattiche, sgambetti reciproci tra i dinosauri della nomenklatura. Costoro, se come Berlusconi non hanno avuto il tempo per stabilire la data del loro funerale, facciano almeno lo sforzo di stabilire la data della loro resa incondizionata alla volontà del loro stesso popolo. Mettano i loro incarichi, le loro fondazioni, le loro logore reputazioni di ex-strateghi a disposizione del movimento, evitando di disturbare chi ha vinto e scoprendo – meglio tardi che mai – il piacere dell´umiltà. Lavorino per gli altri e non per se stessi. La smettano di spiegarci che cosa dobbiamo fare. E ci chiedano: "Che cosa vi serve?"
LA REPUBBLICA del 12 maggio 2011
Che squallore il colpo basso della signora Moratti ai danni di Giuliano Pisapia, sferrato quasi fuori tempo massimo così che l´avversario non potesse nemmeno replicare. E che autogol: un´assoluzione piena (caparbiamente voluta anche se il reato era già amnistiato) spacciata per grave colpa, e proprio da parte di chi ha fatto campagna elettorale sotto l´ala protettrice del re delle prescrizioni, delle amnistie, del non-giudizio come regola difensiva. Ci si domanda, ogni volta, perché la destra più potente e votata dell´intera storia italiana non abbia trovato, nell´esercizio del suo potere e dei suoi affari, pacatezza, equilibrio, fiducia in se stessa, giustificando in qualche maniera quell´attributo di "moderata" della quale Moratti si è auto-insignita pochi secondi prima di aggredire il suo avversario come una Santanchè appena più compunta. Una stampa sbraitante, calunniosa, sovreccitata, un leader ormai quasi folle nelle sue quotidiane urla di impunità e di astio contro "i signori della sinistra", un alleato di governo che colleziona ogni giorno volgarità razziste, un candidato che chiama "brigatisti" i giudici, ora anche un sindaco in carica che balbetta accuse mal documentate infiammando una campagna elettorale fin qui quasi civile: sarebbero questi i "moderati"? Il post-comunista Pisapia, al confronto, è un´icona della pacatezza. Se davvero i milanesi volessero un sindaco moderato, vincerebbe a mani basse Pisapia.
LA REPUBBLICA del 21 maggio 2011
Le "sorprese" si fanno ai bambini: vieni Carluccio, che papà ti ha portato una sorpresa. È dunque una inconsueta proprietà di linguaggio quella sfoderata dal ministro Calderoli annunciando "una sorpresa per gli elettori milanesi". Sorpresa è la parola perfetta per chi vede negli elettori dei bambini da incantare, non dei cittadini da servire. E lo sconticino fiscale escogitato in fretta e furia alla vigilia del ballottaggio rimanda diritti ad altre dazioni, alcune pittoresche altre solo squallide, tipiche del peggior paternalismo politico nazionale, dai pacchi di pasta alle scarpe (la destra adesso, la sinistra solo se mi eleggono). Un laurismo a scoppio ritardato che, applicato alla Milano del 2010, non può che irritare ulteriormente un elettorato che non sa che farsene delle "sorprese", e cerca faticosamente di trovare il bandolo di una città in crisi in un Paese in crisi. Conosco un gruppo di ragazzi milanesi (uno tra tanti) che in perfetta solitudine, senza mezzo soldo pubblico, sta per aprire un ostello in pieno centro, e cerca dunque di "fare impresa" così come predicano i miliardari al governo dell´Italia e di Milano. Dall´amministrazione milanese, dal governo, dalla politica hanno avuto zero agevolazioni e zero quattrini. Come volete che accolgano, a un passo dal ballottaggio, una "sorpresa" che puzza lontano un miglio di elemosina offensiva, di buffetto ruffiano?
LA REPUBBLICA del 2 giugno 2011
Tra le varie stravaganze post-elettorali, fa spicco quella uscita di bocca a Formigoni che, papale papale, propone Berlusconi al Quirinale così da liberare il posto di leader del centrodestra a un altro, magari lui stesso. Che un cattolico candidi al Colle l´uomo del Bunga Bunga è già una stupefacente assurdità sul piano etico: ma questi sono conti che Formigoni farà con se stesso, ammesso che conservi l´abitudine di farli. Perfino peggiore è il giudizio politico che il governatore di Lombardia si attira, alla luce del fatto che per quella carica sono richiesti alto profilo istituzionale (quanto ne basta per presiedere anche il Consiglio superiore della magistratura), moderazione nei comportamenti e nelle esternazioni verbali, e una statura politica tale da potersi sollevare al di sopra delle fazioni. Nessuna di queste virtù è in dotazione all´uomo di Arcore, che per giunta è appena sortito da una rovinosa sconfitta politica imputabile proprio a quei difetti di faziosità, insofferenza alle regole, smodatezza di toni e di pensiero che lo rendono palesemente inabile al Colle. Come diavolo si fa, dunque, e proprio in questi giorni, a disegnare un percorso politico che vede Berlusconi al Quirinale? Per formulare un´assurdità del genere, si deve essere più ciechi o più arroganti? Sarà stato informato, il governatore Formigoni, dell´esito delle elezioni?
LA REPUBBLICA del 7 giugno 2011
È difficile, ma non impossibile, che si arrivi al quorum per i quattro referendum del 12 giugno. Dei referendum, in passato, si è abusato fino a svilirne il valore: non per caso è dal ´95 che il fatidico quorum non viene raggiunto. Ma i meno giovani ricordano perfettamente la portata storica di almeno tre referendum (legalizzazione di divorzio e aborto, referendum elettorale di Mario Segni) che sconquassarono il quadro politico e soprattutto diedero il segno di una maturazione profonda, e inattesa, dell´opinione pubblica. Nel clima di riscossa civile aperto dalle amministrative, i quattro quesiti di domenica prossima potrebbero sortire un effetto analogo: ridare alla politica quel significato di cambiamento, di salto di qualità, che la politica riveste nonostante (e contro) il deperimento degli ultimi anni. Chiedete a tutti di andare a votare, discutere con gli incerti e con gli indifferenti, non vergognatevi di sentirvi propagandisti importuni, così come non mi vergogno di scrivere queste righe di smaccata propaganda politica. La posta è alta, il contenuto dei quesiti molto rilevante. Specie i due referendum sull´acqua chiedono di rimettere l´accento sulla dimensione pubblica della nostra convivenza. La politica è tornata. Dite a tutti di tornare alla politica.