LA REPUBBLICA del 24 giugno 2011
Nella Milano di Pisapia, il nuovo consiglio d´amministrazione della nettezza urbana, appena eletto, non conta la presenza di politici, ma solo di tecnici espressi dall´azienda medesima. Sembra incredibile, ma si tratta di una rivoluzione: la giunta Moratti, prevedendo di rivincere le elezioni, aveva già in animo di destinare quelle poltrone a un paio di assessori, secondo la tradizione (ovviamente non solo milanese, e non solo di destra) che intende le aziende pubbliche come indotto della politica e dei partiti politici. Siamo di fronte, dunque, a una notizia cattiva e a una buona. Quella cattiva è che il nostro Paese è così malridotto, specie sotto il profilo dei rapporti tra eletti ed elettori, e della trasparenza degli scopi e dei mezzi della politica, che la normalissima scelta di affidare un´azienda pubblica ai tecnici (dunque a sé stessa) sottraendola al poltronificio dei partiti, è un fatto di per sé clamoroso. La notizia buona è che in un Paese così incrostato, vecchio, malgovernato e immobile, bastano un gesto pulito, una scelta indipendente, un segno di novità per dare l´impressione che tutto possa cambiare. Anche se è cambiata solo l´azienda di nettezza urbana di Milano. Fino a un paio di mesi fa, eravamo sicuri che non sarebbe mai cambiata nemmeno quella.
LA REPUBBLICA del 15 luglio 2011
Secondo i deputati leghisti Fugatti e Negro è necessario appendere il crocifisso anche all´interno della Camera dei deputati perché "sarebbe imperdonabile ignorare da dove deriva la democrazia, ovvero dalla tradizione cristiana". Di fronte a questo ridicolo tartufismo (condito di ignoranza) devo dire di preferire di gran lunga lo schietto fanatismo dell´ultradestra cattolica, i vari lefevriani e lepantisti che brandiscono la croce come un´arma propria, e della democrazia se ne infischiano. Loro, almeno, si battono apertamente per una società confessionale e papista, non laica e non separata dalla Chiesa, per la quale democrazia e pluralismo sono un insopportabile cedimento alla secolarizzazione e ai suoi vizi. La Lega, dopo avere giocherellato per anni con un paganesimo da cartoni animati, da un po´ di tempo ha scoperto le radici cristiane, che pratica con l´impaccio di un hobby troppo impegnativo. Libera di farlo, e libera, anche, di considerare la laicità dello Stato un insignificante dettaglio. Ma non vengano a raccontarci, i leghisti, queste panzane imparaticce sul nesso (inesistente) tra imposizione del crocifisso e democrazia. Siano coerentemente intolleranti e coerentemente di destra, e diano al loro istinto reazionario una congrua base culturale. Meriterebbero almeno il rispetto che si deve a chi sa quello che è e quello che vuole.
LA REPUBBLICA del 28 giugno 2011
«Siamo come i galli contro i romani», dicono i no-Tav. Duole ricordare loro che i romani stravinsero, e usando una potenza soverchiante al cui confronto le legioni di Maroni sono una delegazione amichevole. Giocava, in favore dei romani, un salto tecnologico (e politico, scientifico, amministrativo, culturale, burocratico) di qualche secolo. Chi vince soggiogando popoli e paesaggi non è mai simpatico, ma spesso incarna un´idea di mondo più funzionale e dinamica, che sta in piedi perché (e fino a che) favorisce molte più persone di quante ne danneggia. La lotta dei no-Tav ha molte buone ragioni, e a parte i fanatici che usano quel luogo e quella situazione come una palestra (una vale l´altra), un sacco di gente brava, ragionevole e informata è contro quel buco nella montagna. Ma a favore di quel buco c´è l´Europa, e per quanto arbitraria e discussa sia, l´istituzione transnazionale che chiamiamo Europa è la sola speranza che abbiamo di un futuro pensato su larga scala, e condiviso con altri popoli. Un futuro che ci salvi dalla dannazione delle Piccole Patrie, che sono la sentina di ogni grettezza reazionaria, di ogni chiusura di orizzonte. Non possiamo invocarla quando ci fa comodo, l´Europa, e maledirla quando mette il naso nel nostro cortile. O la malediciamo sempre, come fa con qualche coerenza Borghezio, o ne accettiamo lo scomodo ma autorevole patrocinio.
LA REPUBBLICA del 16 luglio 2011
Da qualche giorno l´ipotesi più accreditata sul silenzio del premier è che "tace per non turbare i mercati". Non ho mai capito bene come funzionano i mercati, ma che il silenzio di un capo di governo sia giovevole alla salute dell´economia mondiale è una circostanza davvero curiosa, e quanto meno incongrua rispetto alle sue funzioni. È come dire che il successo di un´opera lirica è legato all´afonia del tenore, che un autista d´autobus è meglio che non guidi, che uno slalomista fortunatamente ha dimenticato a casa gli sci, che una pornostar ha tutte le cerniere lampo inceppate. Qualcosa non quadra nel profilo professionale di questi signori.
Lui, poi, ha sempre "fatto il fenomeno", come si dice a Roma. Loquacissimo, socievolissimo, spiritosissimo, non c´è occasione che non gli abbia dato il destro di una battuta, di un frizzo, di una sortita brillante. Nel caso di un leader pensoso e riflessivo, un eventuale silenzio potrebbe ammantarsi di un qualche significato recondito: chissà cosa starà pensando… Nel suo caso, nessuno può sospettare pause di riflessione. Ci ha talmente abituati all´invasività delle sue parole, sorrisi, discorsi, videoclip, che quando tace fa lo stesso effetto di un orologio a cucù quando il tempo passa, ma il cucù non esce. Vuol dire che è rotto.
LA REPUBBLICA del 25 maggio 2011
Il clamore mediatico attorno a spintoni e urlacci fa torto alla vera novità di rilievo di questa campagna elettorale, che è l´imponente ondata satirica (in specie, parodistica) che si abbatte sui siti e i blog. Un´anti-propaganda di massa, fatta di migliaia di messaggi spesso molto spiritosi che buttano in ridicolo la politica della paura, boicottando quella fabbrica delle fobie che, nella destra di potere, è perfino più attiva e venefica della fabbrica del fango. Una risata non ha mai seppellito nessuno, ma è piacevole scoprire che all´invettiva, che in rete abbonda, molte persone preferiscono la presa per i fondelli, che ha il vantaggio di spiazzare e di far riflettere. Spiace che la destra, con pochissime eccezioni, non disponga di una efficace contraerea, rispondendo battuta su battuta, pur disponendo di un bersaglio (la sinistra) decisamente invitante. Ma è un vecchio problema, questo, che oggi ripropone a livello "di base" analoghe polemiche già udite a livello di "vertice". Solo che qui è un po´ difficile prendersela con varie ed eventuali caste televisive e teatrali di comici "comunisti", perché non risulta che gli internauti siano raccomandati o promossi da alcuno, o tutelati dalla famosa egemonia radical chic. Nessuno impedisce a eventuali incursori leghisti o pidiellini di fare il verso al Pisapia ciclista o alle sciure milanesi tutte Prada e goscismo. Se invece delle battute spiritose esce solo un livore greve, forse vuol dire che la risata, a destra, è un´arma poco conosciuta.
LA REPUBBLICA del 9 giugno 2011
Non si capisce se sia più ingenuo o più sadico chiedere a Berlusconi "di cambiare", come fanno molti degli uomini del centrodestra più preoccupati dal rapido declino del loro leader. Come può credere nelle primarie, cioè nel conflitto democratico aperto, un autocrate che vive di applausi ed ovazioni? Come può imporre sacrifici economici, piegandosi ai conti tremontiani e agli obblighi europei, l´uomo che dipinge il mondo come una cornucopia che erutta quattrini, donnine e sorrisi? La verità è che la destra esce non solo scassata ma profondamente snaturata dal berlusconismo. La destra austera che anteponeva i doveri ai diritti, la destra legalitaria che detestava i furbi, la destra nazionalista che sarebbe inorridita di fronte a Bossi, la destra borghese che amava il basso profilo: che ne resta, dopo vent´anni di populismo, telecrazia, feste di corte, leggi ad personam? Ci vorrebbe un capolavoro politico, per restituire al paese una destra forte e rispettata. Ci ha provato Fini, sbeffeggiato dai cortigiani di Silvio e massacrato dai giornali maneschi e ottusi che vedono il tradimento in ogni manifestazione di autonomia. Perché ci possa provare anche qualcun altro, bisognerebbe che il beneamato Cav si levasse di torno. Chiedergli un altro lifting, alla sua età, non è neanche generoso nei suoi confronti. Ha già dato tanto e tolto tanto. Ancora non basta?
LA REPUBBLICA del 26 maggio 2011
La catastrofica gaffe di Bruno Vespa l´altra sera (una dichiarazione della moglie di Pisapia contro Berlusconi trasformata, assurdamente, in una dichiarazione contro lo stesso Pisapia) è sicuramente senza dolo. Ma è uno dei tanti indizi che, messi in fila, mettono a nudo la debolezza e la stanchezza di un sistema di potere logoro. La pessima campagna elettorale morattiana, il tonfo della presuntuosa trasmissione di Sgarbi, l´inevitabile cartellino rosso dell´Agcom ai telegiornali-megafono, la promessa dello spostamento di ministeri che voleva incantare gli elettori e ha solo spaccato la maggioranza, le voci di palazzo su trame e controtrame per seppellire Berlusconi ancora da vivo, tutto ha un sapore nervoso, maldestro, mediocre. Soprattutto mediocre, come se un´intera classe dirigente si rivelasse infine al di sotto di ciò che si illudeva di essere. Come se il progressivo affievolirsi dell´astro Berlusconi permettesse di mettere finalmente a fuoco ciò che gli stava attorno, il suo personale politico, la sua corte, i suoi luogotenenti. Il problema più rilevante del leaderismo è che l´esistenza di un Capo consente di vivacchiare alla sua ombra, a volte con dubbio merito. I Capi non promuovono il merito, ma la fedeltà. Non creano una classe dirigente, ma una claque.
LA REPUBBLICA del 15 giugno 2011
Tra le dichiarazioni sull´esito dei referendum, suona strepitosa (e vince il Nobel del 2011 per il dadaismo) quella del ministro per lo Sviluppo Paolo Romani: «Sul nucleare i cittadini ci hanno dato ragione, confermando la moratoria varata dal governo dopo Fukushima». Il fatto che quella moratoria sia stata abborracciata in fretta e furia per cercare di affondare il referendum (e di posticipare il nucleare) deve parere al ministro Romani un trascurabile dettaglio. Poiché Romani non è, tra i governanti, uno dei più sconnessi o caciaroni o improvvidi, ci si domanda come abbia potuto elaborare, e per giunta diffondere in pubblico, un concetto così deragliante. La sola spiegazione possibile è che perdere la testa, in aggiunta alla faccia, è tipico delle compagini in preda al panico. A un elettorato (sto parlando del loro) che mostra segni evidenti di disaffezione, specie perché è stanco di mezzucci e di frottole, rispondere con una frase che contiene una frottola (gli italiani ci hanno dato ragione) a proposito di un mezzuccio (la moratoria) è di un masochismo impressionante. Si capisce che sentirsi in bilico non è piacevole, e non favorisce la saldezza di nervi. Ma quel poco di compartecipazione, perfino di solidarietà che viene istintivo destinare ai soccombenti, francamente svanisce di fronte a un soccombente che, invece di darsi un contegno, fa il gesto dell´ombrello.
LA REPUBBLICA del 31 maggio 2011
Ieri, lunedì 30 maggio 2011, verso le quattro del pomeriggio, sono finiti per sempre gli anni Ottanta italiani, il decennio più lungo della storia del mondo. È finita la politica del cerone e delle facce rifatte, delle convention, delle escort, delle olgettine, degli spot, della tivù dei telegatti e delle cerimonie di corte, dell´edonismo finto-allegro, dell´ignoranza caciarona spacciata per genuinità popolare (ingannando atrocemente il popolo). È finita la fiction. Quello che verrà dopo, non lo sappiamo. Ma sappiamo, finalmente, che un dopo esiste, e questo bastava, a Milano e altrove, per abbracciarsi con gli occhi pieni di benedette lacrime. Voglio dedicare questo giorno di felicità e di liberazione ai due o trecento ragazzini salariati che ho incontrato in piazza del Duomo al comizio di chiusura della Moratti: facevano pensare a una vecchia canzone di Gaber: "Non sanno se ridere o piangere, batton le mani". Il set che, di qui in poi, verrà inesorabilmente smontato era anche il loro set. Vorrei tanto che anche per loro cambiasse qualcosa. Io vengo da una famiglia di destra, e non era una destra così triste. Era una destra onesta, silenziosa, sobria, borghese. È stato un bel luogo dove crescere, e un bel luogo dal quale fuggire verso la mia vita. Quello che Berlusconi ha fatto alla destra italiana è spaventoso. Non gli potrà mai essere perdonato.
LA REPUBBLICA del 27 maggio 2011
Non vorrei che, dopo avere monopolizzato per vent´anni i nostri sentimenti pubblici (ira, vergogna, e quella forma definitiva di avvilimento che è la noia), il nostro premier riuscisse a strapparci anche qualche stilla di commiserazione. Quello che è andato a disturbare Obama per metterlo a parte di certe sue manie (i giudici cattivi, eccetera) non è il Caimano, è un signore anziano, stanco, preoccupato, che riceve in cambio solo lo sguardo assente di chi ha ben altro per la testa. Il Berlusconi di Deuville, per la prima volta, fa più pena che rabbia, ed è anche questo un segno dei tempi che cambiano. D´improvviso ci sembra un caratterista, una figuretta marginale che si intrufola in un vertice mondiale per rubare all´ordine del giorno uno spicchio di attenzione, e per chiedere udienza (non concessa) al più potente tra i potenti. Non avendo altra misura delle cose che se medesimo, è un uomo in balia del proprio umore e dei propri casi privati. Quando era allegro il suo contributo alla politica mondiale erano le barzellette e le pose spiritose per i fotografi. Oggi che è triste lo si vede vagare attorno al tavolo del mondo, indifferente all´ordine del giorno, al protocollo, al suo ruolo pubblico, e attaccare la solita pippa della persecuzione giudiziaria al povero Obama. In parole semplici: è uno che non sa fare il proprio lavoro. Quando perderà, è solo per questo che avrà perso.