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LA REPUBBLICA del 18 maggio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
«Guardi che il popolo ce l´abbiamo anche noi», disse tempo fa Bersani in tivù replicando al solito tribuno di destra che parlava «in nome del popolo». Chissà se, dopo queste elezioni benedette, la sinistra si ricorderà di avercela davvero, una gran fetta di popolo, tanto per chiarire come stanno le cose, carte alla mano. 
L´unica zona di Milano nella quale Moratti ha superato Pisapia è quel centro storico che la destra populista dipinge come il covo della "gauche caviar", l´odiata schiera dei ricchi di sinistra. Le cifre dicono che lì, tra i bei palazzi e gli struggenti giardini interni dove abita la Milano abbiente, la destra ha sempre vinto, e ancora vince. Scriveva Fortebraccio, manicheo ma dallo sguardo acuto, che si votava, in quelle case onorate, soprattutto per difendere l´argenteria. Il mito della "borghesia rossa" e delle contesse annoiate che trescavano con i rivoluzionari barbuti è sempre servito alla destra più becera (dai tempi della Notte di Nino Nutrizio) per accreditare il nemico politico di ipocrisia e incoerenza. Ma chi avesse la pazienza di rileggersi gli spogli elettorali degli ultimi cinquemila anni, non trova tracce rilevanti di questo mito. I borghesi di sinistra sono sempre stati una minoranza. Colta e combattiva, ma minoranza. E nelle strette strade dai portoni antichi, e dai negozi civettuoli, i padronal-chic presidiano il quartiere con immutata, eterna diffidenza per i "rossi". 

LA REPUBBLICA del 5 giugno 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il ruolo di Internet, per la formazione e l´orientamento del voto giovanile, è stato determinante. Lo aveva previsto tra i primi, parecchi anni fa, Beppe Grillo, che sul web ha poi organizzato il suo movimento politico, raccolto consensi, diffuso informazioni introvabili sui giornali, applicato una sorta di "democrazia diretta", post-partitica, bollata di "anti-politica" pur essendo attivamente politica, anche se fuori dalle griglie ideologiche note. Poi, però, è accaduto che una parte cospicua del popolo di Internet, applicando alla lettera le promesse-premesse di autonomia anti-gerarchica insite nella rete, non abbia dato retta al suo leader più popolare, che sosteneva non esservi differenze rilevanti tra destra e sinistra, e abbia votato massicciamente a sinistra. Non so che cosa pensino, questi elettori, quando Grillo chiama Pisapia "Pisapippa", dimostrando l´impressionante rifiuto di fare i conti con la realtà delle cose, con i mutamenti sociali e culturali, perfino con i numeri. Ma una cosa è certa: decine di migliaia di "grillini", a Milano e altrove, hanno potuto e voluto contare qualcosa solo come parte di una coalizione. Perché anche attraverso Internet, il contatto con altre realtà, lo scambio di idee, il dibattito, hanno deciso che tra sinistra e destra qualche differenza sostanziale c´è. Aveva ragione Grillo: il web è potentissimo. Tanto potente da dargli torto. 

LA REPUBBLICA del 19 maggio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Uno dei problemi (atavici) della sinistra è l´eccesso di intelligenza, frutto di un sovraffollamento di intelligenti non sempre in buona armonia tra loro. Ne è esempio preclaro Massimo Cacciari, che trenta secondi dopo la vittoria di Pisapia scuoteva il capo dicendo che se il candidato fosse stato Gabriele Albertini, la sinistra avrebbe vinto al primo turno. Il fatto che Gabriele Albertini sia un ex sindaco di centrodestra dev´essere, evidentemente, un trascurabile dettaglio, buono a scoraggiare le anime semplici come me, non un grande intellettuale come Cacciari. Personalmente avrei puntato su Lady Gaga (con Albertini vicesindaco, naturalmente), ma non ho osato dirlo perché, avendo Pisapia appena ottenuto il miglior risultato della sinistra milanese negli ultimi vent´anni, meritava – mi sembra – un ammirato applauso o, perlomeno, un rispettoso silenzio. Del resto, anche i fatti hanno il loro peso. A Milano e a Cagliari (della quale si parla pochissimo, e a torto) il tentativo di restituire alla sinistra i voti di sinistra (gli astenuti e i delusi, negli ultimi anni, sono una marea) e di riconquistare un minimo di appeal tra gli elettori più giovani, ha dato ottimi frutti. Non è colpa di nessuno se questo successo è stato ottenuto candidando (con le primarie) due di sinistra. Con Albertini, anche per fare piacere a Cacciari, ci si metterà d´accordo in un secondo tempo. 

LA REPUBBLICA del 6 maggio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
E così i famosi Responsabili hanno riscosso quanto dovuto (anzi, solo la prima tranche. La seconda è in arrivo). Pur sapendo bene che la politica non è un luogo che zampilla etica e sprizza probità, lascia di stucco la soave naturalezza con la quale tutto è accaduto. I nuovi sottosegretari parlano della loro nomina come di un prezzo dovuto, come il professionista che mostra sereno la sua parcella. Chi di loro si lasciò sfuggire, solo pochi mesi fa, frasi sprezzanti contro il premier, e giuramenti solenni sul proprio disinteresse (molti giornali e siti ne fanno un´impressionante florilegio, segnalo tra tutti il blog il Nichilista di Fabio Chiusi), oggi allarga le braccia come per dire "è la politica, ragazzi", e si rimangia ogni promessa e contropromessa: tutto è azzerato dal legittimo contratto di assunzione a sottosegretario, stipendio a cura di noi tutti. Non c´è dietrologia, non trama oscura, non recondite manovre. Tutto è alla luce del sole, tutto affiorato, e galleggia sotto il sole di maggio e sotto i nostri occhi sempre più assuefatti. Cerchiamo di ricordarci quando (mesi fa? anni fa? decenni fa?) un simile mercato avrebbe fatto avvampare il dibattito pubblico, arroventato tutte le prime pagine, e suggerito ai suoi protagonisti di nascondersi, per le trattative, dietro una tenda o una colonna. Ma non ce lo ricordiamo più. Già: che anno era, quando potevamo ancora dire e scrivere "che vergogna" senza essere sicuri di sprecare il fiato? 

LA REPUBBLICA del 20 maggio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Vincano o perdano i ballottaggi, un sospetto di diffusa mediocrità (detto in parole pompose: deficit di classe dirigente) comincia ad aleggiare attorno alla destra di governo. Il capo tace, come l´attore che sa di avere consumato il repertorio e scopre che anche il pubblico se ne è accorto. Il vice-capo, quel Bossi che gode fama di essere un politico sottile, dice una cosa al mattino e l´esatto contrario alla sera, con siparietti anche esilaranti, tipo l´invito a moderare i toni seguito dalla frase «Pisapia è un matto che vuole consegnare Milano agli zingari». (Come fa, del resto, a moderare i toni uno che ha costruito la sua fortuna minacciando il ricorso agli schioppi e mostrando il dito medio?). Il povero Alfano, con lo sguardo stralunato, appare in un tigì e attribuisce i rovesci parlamentari a un «normale rilassamento post-elettorale», come se per premere il pulsante a Montecitorio fossero necessari quindici giorni di rieducazione psico-motoria in clinica. Non ci si sperava più, ma forse il tempo è davvero galantuomo. Una politica fondata sulla paura (dei comunisti, degli zingari, degli arabi, dei gay, delle tasse, del futuro) può fare faville per un po´ di anni, ma ha un limite strutturale. È monocorde, ripetitiva, pesante da reggere perfino per chi se ne giova. Alla scuola della paura non si formano alunni brillanti. 

LA REPUBBLICA del 8 giugno 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La piazzata delle cameriere d´albergo (in alta uniforme) contro Strauss-Kahn non è certo un esempio edificante: non sono le urla di strada, è la legge a dover giudicare. Eppure, l´umiltà sociale delle manifestanti (in larga parte afroamericane), di contro all´altissimo rango di un imputato che attende la sentenza in una dimora stellare, ci dice qualcosa che va ben oltre le intemperanze forcaiole. Ci dice che il nervo della diseguaglianza (qui doppia: il ricco e le povere, il maschio di potere e le femmine senza status) è scoperto, e duole forse più di sempre. La lunga rimozione degli ultimi anni non riesce più a occultare una divaricazione di censo, e di potere, che confligge non solamente con la perduta speranza socialista, ma anche con le promesse abortite del libero mercato. Per giunta, la malevola regia del Caso ha voluto che il ricchissimo accusato sia leader di una delle sinistre più forti e nobili del mondo, quella francese. Quasi a dirci che la confusione, sotto il cielo, dev´essere grandissima se un leader della gauche planetaria, ostentatamente facoltoso, si ritrova a essere detestato come simbolo dell´arroganza del denaro. Forse gli arresti domiciliari in un bilocale con vista sui bidoni della spazzatura non sarebbero bastati a rimettere le cose a posto. Di certo, la magione da 50mila dollari al mese le ha messe ancora più in disordine. 

LA REPUBBLICA del 26 aprile 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
A nome dell´associazione Qualcuno Fermi la Cronaca Nera, della quale sono presidente e unico iscritto, mi dichiaro entusiasta dell´esilarante incidente nel quale è incorso il Tg5, mandando in onda in pompa magna la perizia grafologica di una falsa cartolina scritta dal computer di Chi l´ha visto? e attribuita al celebre "papà delle gemelline" (nome d´arte). Siamo alla messa in scena (intervento della grafologa) su una messa in scena (falsa cartolina) di una messa in scena (la cartolina vera spedita dal probabile assassino a infanticidio avvenuto). Solo quest´ultima, che fortunatamente è nelle mani degli inquirenti e non di una redazione televisiva, appartiene all´inevitabile tragedia della realtà. Le altre due, ma soprattutto la sedicente "perizia" effettuata su una grafia che anche un bambino sa attribuire a prima vista al computer, fanno parte di quel fiorente indotto del dolore che è la "nera" televisiva, dilagante su ogni rete, padrona assoluta di molti tigì (i tre di Mediaset grondano sangue quasi da ogni titolo), presenza costante e ossessiva dei palinsesti pomeridiani. Già detto cento volte che quando "nera" e "rosa" dilagano, lo fanno a scapito di quella ragionevole indagine della realtà (e dunque della normalità) che ci aspettiamo dai media. Al nostro boicottaggio volontario (cambiare subito canale), si aggiunge il boicottaggio involontario del Tg5: è un´ottima notizia, e non di nera. 

LA REPUBBLICA del 27 aprile 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il pazzesco pestaggio dei due carabinieri in Toscana innesca l´inevitabile, angoscioso dibattito sulle "responsabilità degli adulti". Genitori sconvolti, autorità sbigottite, e chiunque abbia un figlio di quell´età che si chiede quanto lo conosce, e se davvero lo conosce. Tutto dolorosamente giusto, ma forse manca, e manca da troppo tempo, anche un bel dibattito sulle responsabilità dei ragazzi. La responsabilità è un peso dell´individuo: di ogni singolo individuo. Ambiente, società, educazione, modelli di comportamento hanno il loro peso, ma a guidare i pensieri, la testa, le mani è ciascun essere umano. Né la migliore società né il miglior genitore né la migliore scuola possono governare fino in fondo le azioni di un ragazzo e determinarne il destino. Forse gli adulti dovrebbero parlare meno delle loro responsabilità, e di più delle responsabilità dei loro figli. Riusciamo a essere invadenti perfino rispetto alla colpa e al dolore, parliamo dei figli come fossero sacchi vuoti che solo le nostre virtù e i nostri vizi possono riempire. Ci rimproveriamo di "parlare poco ai figli", ma i nostri genitori con noi parlavano anche meno. Era scontato che toccasse a noi (a scuola, con gli amici, poi nel lavoro) essere ciò che eravamo, diventare ciò che eravamo capaci (o no) di diventare. Anche per questo, forse, siamo diventati adulti più in fretta. In grado di affrontare una ramanzina dei carabinieri senza uscire di senno. 

LA REPUBBLICA del 4 maggio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Per un miscredente come me, desta una certa impressione accorgersi che nei commenti a caldo sull´esecuzione del genocida Bin Laden la sola voce che senza esitazione ha ammonito a "non esultare" di fronte alla morte di un uomo è stata quella della Chiesa romana. Non sono tra quelli che hanno esultato. Per non farlo, non avevo necessità di altra autorità se non quella del mio giudizio e – non so dirlo altrimenti – del mio imbarazzo. Eppure nei commenti ufficiali, anche quelli dei politici per i quali voto, non ho trovato uguale immediatezza, e forza, nel ricordare che ogni morte, anche quella di Caino, suggerisce di chinare il capo e fare silenzio. Non credo affatto che per vivere umanamente e per provare compassione sia indispensabile essere credenti. Proprio per questo, mi fa specie constatare che la Chiesa abbia così facilmente (e meritatamente) esercitato una sorta di monopolio della pietà e della compostezza. Voci laiche di uguale autorevolezza si sono udite, ma erano sperse e individuali. Né l´umanitarismo socialista né la compostezza borghese possiedono più un pulpito e un´organizzazione culturale e politica tali da essere in grado, in circostanze così decisive, di orientare gli animi, e dare sostanza collettiva ai sentimenti individuali. La voce della Chiesa non è la mia, ma l´ho udita, nelle ore della fine di Osama, con rispetto e gratitudine. 

LA REPUBBLICA del 28 aprile 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
«Credo che 31 anni di carcere siano sufficienti anche per chi è condannato all´ergastolo», dice Sabina Rossa in merito alla libertà condizionata dell´assassino di suo padre Guido, sindacalista comunista ucciso dalle Brigate Rosse perché "spia berlingueriana", uno dei tanti italiani di sinistra caduti negli anni di piombo. Sabina si è adoperata con discrezione, con altri quattro parenti di altre vittime del terrorismo, perché l´uomo che ha ucciso suo padre non trovasse ostacoli alla fine della sua lunga detenzione. Alle tante facili ciance sul "perdono", categoria emotiva che calza alla perfezione alla banalità mediatica, ecco sostituirsi, finalmente, un giudizio civile, razionale e umano, sulle leggi della Repubblica, la giustezza del castigo, la sua durata legittima, l´inutilità dell´accanimento che la vox populi così spesso invoca quando urla sguaiatamente che "bisogna buttare via le chiavi". Di Sabina Rossa, come cittadino italiano, io sono orgoglioso. Lo sarebbe anche suo padre Guido. Spero lo sia, o lo diventi, anche l´uomo che, con altri, tanti anni fa, uccise Guido, e nella misura umana di quella figlia, se ha voglia di farlo, può trovare le tracce della misura umana di quel padre, che credeva nella Repubblica e nelle sue leggi. Tra le quali la pena di morte non c´è. 
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