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LA REPUBBLICA del 1 maggio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Si sa che la politica, negli ultimi anni, non è molto rigorosa nella selezione del personale. Ma uno scambio di battute in pubblico come quello tra Bossi e Letizia Moratti, riportato ieri dai giornali, merita un richiamo per scarso rendimento perfino nel rudimentale mondo della politica nazionale. "Letizia, con il federalismo adesso hai i soldi per fare le cose, guarda che noi ti controlliamo…". "Guarda che se fai così scappo!" (risate degli astanti). "Pensavi di andare al mare nei posti dei ricchi, ma questa volta ti tocca lavorare!" (risate). "Umberto, dobbiamo portare il centro di produzione Rai a Milano! Con il tuo aiuto ci riusciremo!" (cori di Roma ladrona). "Adesso che hai i soldi se hai le idee puoi realizzarle, così la prossima volta che vengo a Milano non prendo tutte quelle buche, pum pum pum" (risate). "Con il federalismo le asfalteremo tutte!" (applausi scroscianti, tripudio della folla). Per scendere di un ulteriore gradino sotto questo ground zero concettuale e lessicale, potevano usare i verbi all´infinito, come gli indiani nei western degli anni Cinquanta: "Io essere amico! Io volere tu sindaco di Milano!" "E io riempire buche, così tua macchina non fare più pum pum pum!" Gli astanti si sarebbero ugualmente spellati le mani. 

LA REPUBBLICA del 3 maggio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
La vulgata marxista dava troppo poco peso ai "personaggi" e molto alla società e ai conflitti di massa. Il racconto mediatico fa l´esatto contrario, è uno star-system fondato sul racconto di gesta e malefatte di un mutevole cast di "vip", appena mitigato da approfondimenti che al cospetto della chanson de geste dei telegiornali diventano subito pallosi. Tipicamente palloso – dev´essere per colpa della mia formazione – è il primo pensiero che mi è venuto in mente bevendo il caffè del mattino al cospetto del fu Osama. Il tempo di un piccolo, emozionato brindisi in memoria dei tanti ammazzati per colpa sua, e subito dopo l´idea che morto un capo se ne fa un altro. Non è come nei film e nei fumetti, che la morte del Cattivo chiude in bellezza. Il groviglio del mondo è ben più intricato e doloroso. L´umanità che a Times Square festeggiava l´happy end faceva tenerezza per la condivisibile esultanza quanto per l´inconsapevolezza di essere appena una delle parti in causa. Per altre piazze, più povere e turbolente, Osama era un eroe o al massimo un "fratello che sbaglia", e all´Occidente riservano lo stesso ruolo di Carnefice che noi, fin qui, abbiamo destinato a Bin Laden. E le masse dell´una e dell´altra parte, che la televisione usa solo per suggestive scene di contorno, sopravvivono alle star, e sono loro a fabbricare, oggi come ieri e domani, il nostro destino. 

LA REPUBBLICA del 4 maggio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
L´orrido elettorale è una categoria antica, di manifesti e gadgets ridicoli i giornali fanno incetta da molti lustri, e fin dai tempi del "Votantonio" di Totò la vanità (e dunque la fragilità) del candidato è un classico del costume politico nazionale. Ma si trattava, sempre, di incidenti dovuti a goffaggine o ignoranza, del tutto preterintenzionali. Cioè: non lo facevano apposta. Oggi colpisce l´orgogliosa intenzionalità con la quale alcuni candidati (in genere giovani, sia detto fuor di polemica) adoperano l´allusione triviale o la battuta pacchiana, per esempio il tizio che si candida solo perché di cognome fa Pilu e dunque può scippare a Laqualunque lo slogan "Pilu per tutti", o quello che scrive a caratteri cubitali "scopiamo" sul suo manifesto, e di sotto, molto in piccolo, chiarisce che si tratta di scopare via la vecchia politica. Chi pensa che l´Italia è sempre la stessa probabilmente non ha tutti i torti, ma dimentica di dire che prima se ne vergognava, oggi impugna tutte o quasi le sue menomazioni civili e culturali con ridente sollievo. Il successo di Berlusconi non ha niente di arcano o di inspiegabile, molti italiani gli sono grati per avere innescato un irresistibile processo di autoassoluzione nazionale, se è il premier a pronunciare la battuta sconcia, e a fare le corna nelle foto ufficiali come un goliardo, anche il candidato Pilu si sente finalmente libero di scendere in campo. 

 LA REPUBBLICA del 13 novembre 2010

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca

Contestare Amos Oz per contestare la politica di Israele è come avere contestato,a suo tempo, Hemingway per la guerra di Corea, o Italo Calvino per la politica dei governi democristiani. Un assurdo in termini politici e logici: eppure è accaduto a Torino, ai danni di uno scrittore luminoso e di un uomo pacifico e sensibile al quale può essere imputato solo di essere israeliano (così come a Hemingway di essere americano e a Calvino di essere italiano). Con l’ aggravante che l’ imputazione, nel caso di un cittadino di Israele, finisce per essere sgradevolmente sospettabile di pregiudizio razziale. Poiché la questione mediorientale è gravida di morte e di dolore, gli schiamazzi incongrui sono particolarmente inopportuni. Più grave è più umanamente aspra è una contesa, più i toni dovrebbero farsi ugualmente gravi (la "gravitas" è una virtù, nonché un tono retorico, che non si concilia con le urla e la superficialità). In giro ci sono troppe Vestali dell’ Indignazione che confondono il volume della voce, e i toni rissosi, con la forza della parola e la giustezza delle cause. Ma la parola, dai loro rumorosi attacchi, esce indebolita, e la causa disonorata.

LA REPUBBLICA del 20 aprile 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
´Europa che cincischia sull´onda migratoria ha certamente le sue colpe, ma anche le sue attenuanti, vista l´estrema complessità (anche giuridica) del problema. Ma che attenuanti ha l´Europa che vede uno dei suoi membri, l´Ungheria, adottare una nuova Costituzione clerico-fascista, con pesantissime limitazioni dei diritti e della libertà d´espressione, e non muove neanche mezzo passo ufficiale almeno per dire "non sono d´accordo"? Ne aveva già parlato diffusamente e inutilmente (anche su questo giornale) la filosofa Agnes Heller, denunciando la sconcia campagna sciovinista del governo del signor Orban, l´odio contro gli intellettuali e i giornali "nemici della patria", il clima di fanatico richiamo alle "radici etniche", la provocatoria estensione del diritto di voto alle minoranze ungheresi che risiedono nelle nazioni limitrofe, una specie di strisciante annessione in vista di una "Grande Ungheria" (come se non ci fossero bastate la Grande Serbia, la Grande Albania e tutte le truci conseguenze delle piccole patrie che si gonfiano per sfregio del vicino di casa). Possibile che l´Europa, già secolare sentina di ogni faida religiosa, di ogni guerra mondiale e di ogni follia razzista, non abbia ancora gli anticorpi in grado di individuare e neutralizzare un virus micidiale come questo? 

LA REPUBBLICA del 21 aprile 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Merita molta simpatia un ragazzo di vent´anni (Mattia Calise, grillino) che vuole fare il sindaco di Milano, disinteressatamente, spendendo per la sua campagna elettorale quello che Letizia Moratti spende per una messa in piega, e dichiara ai giornali, insieme a qualche comprensibile fesseria, anche molte cose giuste. Ma la simpatia non basta quando il ragazzo Mattia ripete la solfa (vecchia come il cucco) «destra e sinistra sono la stessa cosa», e mette sullo stesso piano Moratti e Pisapia, che sono due persone profondamente diverse in rappresentanza di culture diverse, interessi diversi, mondi diversi. Per i grillini tutto – tranne loro stessi – è "vecchia politica", ma in questa macina indistinta e rozza tritano persone, esperienze, ideali, comunità che hanno qualche merito da spendere, e qualche esperienza da raccontare. Non voterei mai per un candidato minore (è il caso di Mattia) che rifiuta di dirmi con chi intende allearsi in un eventuale secondo turno di ballottaggio. Il voto non è solo una nobile testimonianza, è una monetina che serve, insieme a milioni di altre monetine, a formare un patrimonio. Si va in politica, si fa politica, per battersi e spesso anche per allearsi e compromettersi. «Destra e sinistra sono uguali» non è politica né antipolitica: è un lusso per presuntuosi. La politica è umile. E fa i conti con l´imperfezione. 

LA REPUBBLICA del 8 febbraio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
"Moralismo straccione di una plebaglia assetata di sangue", che si è radunata "per espettorare l’odio che schiuma dai loro animi". È un sunto del commento che un deputato del Pdl, il signor Osvaldo Napoli, ha voluto dedicare alla manifestazione milanese di Libertà e Giustizia, con Saviano, Eco e Zagrebelsky a capo della "plebaglia assetata di sangue", composta in buona misura dalla borghesia democratica milanese, quella che una volta votava La Malfa e leggeva Montanelli sul Corriere, e oggi, benché laica, va in Sant’Ambrogio ad accendere un cero purché Berlusconi levi il disturbo. La prosa del signor Napoli fa ridere, così come fanno ridere, classicamente, la scompostezza e la perdita di senno (la crisi nevrastenica è un classico del teatro comico). Ma fa anche riflettere. Perché esprime (anzi espettora, come direbbe Napoli) una totale, inattaccabile ignoranza delle cose, delle persone, della situazione del Paese, insomma di tutto ciò che Napoli, in quanto deputato, avrebbe necessità di conoscere. Non di condividere, naturalmente. Ma almeno di conoscere, sì. Si osserva spesso, e non è sbagliato, che la sinistra non ha più il polso del Paese. Per rintracciarlo, l’importante è che non lo chieda a Napoli. 

LA REPUBBLICA del 9 febbraio 2011 

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Ben più delle bottiglie vuote lanciate contro la polizia "per difendersi dalle cariche", pesa sugli incidenti di Arcore la bottiglia (piena di spumante) inalberata in segno di giubilo da un ragazzo dopo la scarcerazione dei suoi due compagni (la foto è apparsa su quasi tutti i quotidiani italiani). Un festeggiamento privato, stentoreo e fuori luogo, che cozza contro la pubblica malinconia per una manifestazione, l’ ennesima, salita alla ribalta non per le sue intenzioni, ma per il suo esito brutale, con pochi che si menano, molti che assistono e maledicono, espropriati delle loro ragioni da piccoli manipoli bellicosi. (L’ estremismo è prima di tutto una forma di privatizzazione della politica). Bene che i due ragazzi siano fuori, le galere sono già sovraffollate. Male la gongolante sottolineatura di un incidente civile (tale è sempre un processo per "violenza e resistenza a un pubblico ufficiale") che non costituisce titolo di merito per alcuno, né per i manifestanti né per i poliziotti. Anche nel cosiddetto "antagonismo" (molto spesso uno status del tutto auto-proclamato) dovrebbe esserci uno stile. Per le sbracature, gli sbocchi d’ ira e di autocommiserazione e di autocompiacimento, ci sono già le curve degli stadi. Niente brindisi, per cortesia, quando si parla di botte in testae pugni in faccia, non importa se inferti o subiti.

LA REPUBBLICA del 5 aprile 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Dice il luogo comune che solo nei momenti di crisi gli italiani sanno dare il meglio. Se ne deduce che no, non siamo in crisi, visto che è il peggio quello che ciascuno continua a esibire. Berlusconi, da quando è sotto processo per storie di prostituzione, sciorina compulsivamente una serie di barzellette sconce, retrocedendo dal suo trend abituale (l´avanspettacolo) a un gradino sotto (coscritti in visita di leva). La Lega, alla quale il 17 marzo non ha insegnato nulla, presenta un progetto di legge sugli "eserciti regionali" che è la malacopia arrogante di precedenti sortite su ronde, "battaglioni padani" e affini. E un suo senatore, tale Stiffoni, recita a Radio 24 un rosario di banalità razziste che sta facendo il giro del web. L´opposizione, dalla quale si attende disperatamente un segno solenne e innovativo di unità, è una galassia destrutturata di alleanze impossibili e di progettini fantasiosi, con quattro "nuovi centri" (Fini, Rutelli, Casini, forse Montezemolo e avanti il prossimo) e una sinistra spaccata al suo interno come e più di prima, con leader nuovi e vecchi che antepongono la disistima reciproca e la lotta intestina a qualunque possibile bene comune. E dunque, non c´è niente da preoccuparsi. Fossimo davvero in crisi, l´ignobile e il rissoso muterebbero in nobile e pensoso. Quando il premier riuscirà a partecipare a una riunione senza sghignazzare su culi e tette, vorrà dire che siamo entrati ufficialmente in crisi. 

LA REPUBBLICA del 10 febbraio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Mi chiedo se esiste un pezzettino di Italia indisponibile a darla vinta ai puritani del Palasharp". Questa frase di Giuliano Ferrara contiene un errore. È interessante rilevarlo non per il piacere (indubbio) di dare torto a Ferrara. Ma perché questo errore è paradigmatico dello spirito profondo della destra di questo paese. L’ erroreè questo: i "puritani del Palasharp" rappresentano- culturalmente e ancora di più politicamente – un’ Italia minoritaria e sconfitta. Quella della borghesia repubblicana, dell’ odiatissimo "azionismo torinese", delle assortite e impotenti consorterie intellettuali che inutilmente, da vent’ anni, si oppongono a Berlusconi. Perché mai, dunque, Ferrara non vuole "darla vinta" a chi ha perduto? Perché, pur essendo da anni parte influente del pezzettone vincente del Paese (da Craxi a Berlusconi), si accanisce contro il pezzettino nemico, e con il nemico a pezzettini? Risposta: perché a vellicare il suo amor proprio è immaginarsi "frondista" e "provocatore", così come – parecchi gradini più in basso nella scala gerarchica della destra scrivente – i Belpietro e i Feltri amano definirsi "fuori dal coro". Si rassegni Ferrara. L’ uomo che sussurrava ai premier, meritatamente ascoltatissimo a Palazzo, non può essere frondista neppure in sogno. E’ uno che vince le elezioni e ha vinto perfino un Conclave. Se vincere lo annoia, non è mica colpa nostra. 
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