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LA REPUBBLICA del 6 aprile 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Il dibattito giornalistico di questi ultimi giorni registra parole giudiziose contro l´animosità piazzaiola e i suoi eccessi retorici. Però bisognerebbe che queste premure arrivassero alle orecchie di una maggioranza parlamentare (non di piazza, dunque: di poltrona e di potere) che per la seconda volta vota in favore di una "verità" sconciamente falsa, controfirmando l´ipotesi che fossero davvero urgenze istituzionali quelle che hanno spinto il premier a telefonare a una Questura per tutelare "la nipote di Mubarak". È una posizione, questa, al tempo stesso tartufa ed estremista, ipocrita e violenta, che non tiene in alcun conto la tutela della verità, la dignità del Parlamento, il rispetto per gli elettori. C´è, evidentemente, un estremismo del potere che non contempla requie e ha, all´interno della maggioranza, nessun censore e zero calmieri. A tutti fa paura una piazza infurentita, e la radicalizzazione dello scontro tra italiani non sembra in grado di migliorare parole e pensieri dell´una come dell´altra parte. Ma, insomma: un voto come quello di ieri (non il primo) pesa o non pesa, nel computo delle parole e degli atti fuori posto, molte tonnellate più del più becero dei cortei? E se "indignazione" è una parola logora, e abusata, c´è qualcuno in grado di suggerirci, in presenza di porcherie come questa, un sinonimo meno retorico, e una postura più moderata? 

LA REPUBBLICA del 11 febbraio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
La confusione è tale che forse vale la pena ripassare i fondamentali. Chi accusa "i moralisti" di "prendersela con le mignotte" non ha capito, evidentemente, di cosa si sta parlando. Non si sta maledicendo il libertinaggio, non i costumi privati, non l’eros nelle sue varie mutazioni, non la prostituzione, men che meno le prostitute. Si sta maledicendo un potere che nomina le sue favorite nel Palazzo, usando le cariche pubbliche come moneta per ripagare prestazioni private. Non si sta biasimando la confusione tra i vizi privati e le pubbliche virtù (che pure qualche domanda dovrebbe sollevare, nel paese del "Family Day") ; si sta biasimando la totale, definitiva confusione tra le pulsioni private e le funzioni pubbliche, la giustapposizione tra stanze del piacere e stanze del potere. Perché se è vero che anche una prostituta può e deve poter diventare ministro, così come un avvocato o un operaio, è anche vero che né una prostituta, né un avvocato, né un operaio deve diventare ministro o deputato o consigliere regionale per concessione privata, come nei regimi. La nostra è una democrazia elettiva (nonostante la turpe legge elettorale in vigore), e come fa a riempirsi la bocca di "volontà popolare" chi sistema pupille e pupilli su poltrone delle quali solo il popolo, con il voto, dovrebbe essere padrone? Quella del "moralismo" è una fragile bugia per non parlare di politica e per non parlare di democrazia.

 Michele Serra da La Repubblica del 7 marzo  2010

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
 Avrei bisogno anche io di un «decreto interpretativo» che mi chiarisse, finalmente, perché ho sempre pagato le tasse. Perché passo con il verde e mi fermo con il rosso. Perché pago di tasca mia viaggi, case, automobili, alberghi. Perché non ho un corista vaticano di fiducia che mi fornisca il listino aggiornato delle mignotte o dei mignotti. Perché se un tribunale mi convoca (ai giornalisti capita) non ho legittimi impedimenti da opporre. Perché pago un garage per metterci la macchina invece di lasciarla sul marciapiede in divieto di sosta come la metà dei miei vicini di casa. Perché considero ovvio rilasciare fattura se nei negozi devo insistere per avere la ricevuta fiscale. Perché devo spiegare a chi mi chiede sbalordito «ma le serve la ricevuta?» che non è che serva a me, serve alla legge. Perché non ho mai dovuto condonare un fico secco. Perché non ho mai avuto capitali all’ estero. Perché non ho un sottobanco, non ho sottofondi, non ho sottintesi, e se mi intercettano il peggio che possono dire è che sparo cazzate al telefono. Io – insieme a qualche altro milione di italiani – sono l’ incarnazione di un’ anomalia. Rappresento l’ inspiegabile. Dunque avrei bisogno di un decreto interpretativo ad personam che chiarisse perché sono così imbecille da credere ancora nelle leggi e nello Stato.

LA REPUBBLICA del 22 marzo 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Ad ogni nuova guerra aumenta il tasso di difficoltà nel giudicarla, e addirittura nel capirla. Leggo le analisi di interventisti e neutralisti e mi sembrano tutte condivisibili. Ancora più condivisibili quelle dei dubbiosi. Ho quasi invidia per gli avi animosi che sbraitavano "dagli al nemico!", come pure per i pacifisti con bongos e spinelli che facevano l´amore e non la guerra anche perché quella guerra – il Vietnam – fu tra le più presuntuose e inutili. E dunque? E dunque siamo qui aspettiamo – credo in parecchi – che qualche Buona Causa, voglio dire abbastanza limpida da non farsi intorbidire dalle solite speculazioni sul mercato degli idrocarburi, ci aiuti a giudicare le guerre e le paci alla luce di convinzioni un po´ meno relative. Le cosiddette potenze occidentali, come somministratrici di Valori, non sono abbastanza convincenti. Pesano sulle loro spalle almeno un paio di avventure maldestre (l´Iraq, l´Afghanistan) che hanno potenziato l´odio islamista piuttosto che disinnescarlo. Quanto a Gheddafi, non è che puoi riceverlo a Roma come se fosse la reincarnazione di Cleopatra e poi, qualche mese dopo, cercare di centrare con un missile il suo abbaino. Mi sento indeciso a tutto, ma con un alibi di ferro: sono in folta e illustre compagnia. 

LA REPUBBLICA del 6 marzo 2011

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca

Non so se addebitare a moralismo o puritanesimo (le due categorie nelle quali è di moda rottamare quasi ogni opinione o giudizio) la morsa allo stomaco che mi prende ogni volta che sento su Sky il "promo" televisivo di un popolare noir a puntate nel quale si promette, testualmente, "sesso e sangue" a caterve. L´archetipo è quello stentoreo delle fiere di una volta (venghino signori a vedere la donna barbuta e l´uomo serpente!), però il pathos televisivo lo potenzia e insieme lo muta, rendendo efferato e seducente ciò che nella grida di piazza era solo goffo e naif. 

Sesso e sangue, naturalmente, non sono ingredienti di poco conto, e da sempre innervano romanzi (come quello, notevole, che ispira la serie televisiva), drammi teatrali, opere liriche e film. Solo che sventolarli sotto il naso del pubblico, come nemmeno il più rozzo dei pescivendoli si permette di fare con il cefalo o la seppia, ha qualcosa di irrimediabilmente volgare e basso. Questa volgarità e questa bassezza degradano il pubblico a una massa trucida, facile da abbindolare con gli effettacci, per la quale crimine, sesso e sangue sono un pacchetto irresistibile (per tutta la famiglia?). Può darsi che parte del pubblico sia abbastanza inebetito da non accorgersene. Ma un´altra parte, della quale faccio parte, cambia canale alla velocità della luce. 

LA REPUBBLICA del 8 marzo 2011

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Non so se addebitare a moralismo o puritanesimo (le due categorie nelle quali è di moda rottamare quasi ogni opinione o giudizio) la morsa allo stomaco che mi prende ogni volta che sento su Sky il "promo" televisivo di un popolare noir a puntate nel quale si promette, testualmente, "sesso e sangue" a caterve. L´archetipo è quello stentoreo delle fiere di una volta (venghino signori a vedere la donna barbuta e l´uomo serpente!), però il pathos televisivo lo potenzia e insieme lo muta, rendendo efferato e seducente ciò che nella grida di piazza era solo goffo e naif. 

Sesso e sangue, naturalmente, non sono ingredienti di poco conto, e da sempre innervano romanzi (come quello, notevole, che ispira la serie televisiva), drammi teatrali, opere liriche e film. Solo che sventolarli sotto il naso del pubblico, come nemmeno il più rozzo dei pescivendoli si permette di fare con il cefalo o la seppia, ha qualcosa di irrimediabilmente volgare e basso. Questa volgarità e questa bassezza degradano il pubblico a una massa trucida, facile da abbindolare con gli effettacci, per la quale crimine, sesso e sangue sono un pacchetto irresistibile (per tutta la famiglia?). Può darsi che parte del pubblico sia abbastanza inebetito da non accorgersene. Ma un´altra parte, della quale faccio parte, cambia canale alla velocità della luce. 

LA REPUBBLICA del 24 marzo 2011 

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Al glorioso liceo Parini in Milano un gruppo di insegnanti ha chiesto il trasferimento. Motivo: non sopportano più l´invadenza di alcuni genitori, che secondo i docenti in fuga sarebbero prodighi di consigli quanto di insulti e minacce. Sia o non sia eccessiva la suscettibilità dei prof, la questione sollevata è di assoluto rilievo. Riguarda l´autonomia della scuola pubblica, che non è insidiata solamente dalla grettezza ostile del governo, o dal ventilato ingresso di imprecisati "sponsor privati". Anche la famiglia, che in Italia è un´istituzione meritevole quanto ingombrante, minaccia l´autonomia della scuola nei (tanti) casi in cui genitori-sindacalisti e genitori-avvocati pretendono di ficcare il naso in faccende come la didattica e la disciplina, e sempre per difendere o giustificare i figli non ancora bamboccioni, ma già – con genitori così – sulla buona strada per diventarlo. Non so se, sull´argomento, la mia opinione sia rivoluzionaria o reazionaria, ma la famiglia deve stare il più possibile lontana dalla scuola. La scuola è il primo luogo dove i figli sono (finalmente!) sottratti alla protezione dei genitori. Siano ottimi o mediocri o pessimi i docenti, è affare dei ragazzi imparare a conoscerli e fronteggiarli, cominciando a prendere le misure della vita. Poiché il familismo italiano non conosce argini né pudore, sarebbe bene che qualcuno cercasse di fermarlo almeno sul portone di un liceo. 

LA REPUBBLICA del 18 febbraio 2011 

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Dire "epidemia di pazzia" credo sia anti-scientifico, la pazzia non è un virus e dunque non contagia. Ma molte delle notizie italiane di questo periodo non trovano altra spiegazione plausibile. Per esempio: è nato un nuovo gruppo parlamentare (credo sia il duecentesimo), si chiamerà "Per le autonomie", e chi volesse coglierne la natura e le ragioni politiche deve fare riferimento a questa dichiarazione della senatrice Helga Thaler, promotrice del gruppo: «Non saremo l´equivalente dei Responsabili, vogliamo restare dove siamo e cioè in difesa delle autonomie senza schierarci né con la maggioranza, né con il terzo polo, né con la destra, né con la sinistra». Credo che neppure la senatrice Thaler (alla quale vanno i nostri affettuosi auguri) pretenda di avere detto qualcosa di comprensibile. Forse è un quiz, forse uno scherzo, forse una notizia falsa (non esistono né il gruppo "Per le autonomie" né la senatice Thaler), forse l´imprecisato luogo al quale allude la senatrice (né con la maggioranza, né con il terzo polo, né con la destra, né con la sinistra) esiste davvero nella Quarta Dimensione o nell´Oltretomba, forse il Cappellaio Matto o i sette nani o Caronte conoscono il percorso che porta fino a lì, anche se "lì", spiega Thaler, è "restare dove siamo". Manca una riga alla fine. Scrivo sedia, ornitorinco e Atlantic City, tanto è uguale. 

LA REPUBBLICA del 25 marzo 2011

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Con una scelta furbissima (la furbizia è la virtù di chi non ne possiede altre), il governo ha restituito qualche milione di euro a cultura e spettacoli caricandoli sul prezzo della benzina. Dando così modo al Giornale di sparare in prima pagina il ridicolo titolo "Benzina più cara? Colpa di Nanni Moretti", che aggiunge alla montagna d´odio accumulata negli anni contro la "cultura radical chic" una ulteriore cucchiaiata di cacca. Se a questo piccolo sfregio si aggiunge la nomina ai Beni Culturali di Giancarlo Galan, che può anche essere un genio della politica ma con i problemi della cultura ha la stessa dimestichezza che io ho con la cibernetica, si completa un quadro agghiacciante. La nomina non è stata fatta perché serviva un ministro dei Beni Culturali, è stata fatta perché serviva dare un ministero qualsivoglia a Galan (così come serviva dare un ministero, quello dell´Agricoltura, alla famelica pattuglia dei Responsabili: la cosa pubblica usata come moneta politica). Siamo di fronte alla somma aritmetica del peggio della Prima Repubblica (strapotere dei partiti) e del peggio della Seconda (strapotere dei mediocri). È una somma il cui risultato è zero per il Paese, molto per i suoi padroni politici. 

LA REPUBBLICA del 19 febbraio 2011 

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Ieri le telefonate a Radio Padania schiumavano rabbia e indignazione per lo show tricolore di Benigni a Sanremo. Era prevedibile, ed è comprensibile. In vent’ anni di irresistibile ascesa, la Lega non ha incontrato sul suo cammino anti-nazionale che sparute, timide resistenze. I suoi capi e i suoi militanti si erano trovati nella fortunata (ma ingannevole) condizione di chi guida contromano senza incontrare nessuno nella corsia opposta, fino a convincersi che non esista flusso contrario. Grazie alla quasi fortuita circostanza del centocinquantenario (anche il Caso è motore della Storia), la Lega si trova di fronte, senza aspettarselo, un muro. E per giunta un muro di popolo (65 per cento l’ audience di Benigni!) che non è liquidabile con il tradizionale spregio per i «salotti», i «comunisti», gli intellettuali. Esiste l’ Italia e soprattutto esistono gli italiani, questo il sorprendente contrattempo che, a caldo, fa imbufalire la gente del Carroccio. A freddo, se è vero come dicono che Bossi è un capo saggio e navigato, sarà interessante capire se e quanto la Lega sarà capace di prendere atto di una realtà nuova, che la ricolloca (anche al Nord) nel suo naturale e legittimo ruolo di minoranza politica e soprattutto di minoranza identitaria: la stragrande maggioranza degli italiani si sente italiana. Prima ne prenderanno atto, meglio sarà per tutti.
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