LA REPUBBLICA del 9 aprile 2011
Con un paio di amici, ho visto Stracquadanio ad "Anno zero". Voi penserete: chissà come vi siete arrabbiati. Sbagliato. Non ne abbiamo avuto il tempo. Lo sbalordimento era soverchiante, e non lasciava spazio ad altri sentimenti. A bocca aperta, l´abbiamo visto (in pochissimi minuti) interrompere, sghignazzare, consultare l´iPad, correggere gli astanti, litigare con i distanti, borbottare, emettere sibili, roteare gli occhi, ammonire Santoro, sgridare Gian Antonio Stella, prendere la parola, ridare la parola, contestare la scaletta, agitare le mani, condurre lui la trasmissione, ricostruire un cinquantennio di storia italiana, leggere, scrivere, gesticolare verso una quinta invisibile, ammutolire di colpo fissando il vuoto. Un mio amico ha detto: «adesso fa le bolle di sapone». Un altro: «no, secondo me estrae un tronchesino e si taglie le unghie». Io: «Non lo sottovalutate, vedrete che fa tutte e due le cose: si taglia le unghie facendo le bolle di sapone». Siamo rimasti incollati al televisore coscienti di essere spettatori di una performance storica, senza eguali, tipo Italia-Germania 4-3 o le nozze di Carlo e Diana. Non chiamatelo "provocatore". È una funzione banale, eseguibile da qualunque scagnozzo o figurante. Stracquadanio, da ieri sera e per sempre, per me è un artista.
LA REPUBBLICA del 13 aprile 2011
Un paio di giorni fa il Giornale ha pubblicato l´ennesima inchiesta sulle trasmissioni "comuniste" della Rai, per la serie "ma quanto ci costano". Solo che, dando un´interpretazione molto disinvolta della famosa economia di mercato che (secondo loro) tutti ci rende liberi e felici, ha omesso di aggiungere ai costi anche i ricavi pubblicitari: che, per la cronaca, sono largamente superiori ai costi. La Rai, con quelle trasmissioni, guadagna fior di quattrini, ma i lettori del Giornale non lo sapranno mai. Fin qui, niente di nuovo sotto il sole. Normale disinformazione di lettori, per loro sventura, felici di essere disinformati, purché ciò che leggono coincida con le loro passioni politiche. Quello che fa un po´ specie, piuttosto, è che la Rai, pur disponendo di un sontuoso ufficio stampa, non abbia immediatamente provveduto a un´immediata nota di replica. Non esiste azienda al mondo (tanto più un´azienda pubblica) che, accusata di scialo, non si senta in obbligo di difendersi, specie se lo scialo in questione non solo non è tale, ma è una voce attiva del bilancio. Ma la Rai, o ciò che ne rimane, è ancora un´azienda? Chi lavora per lei ne è convinto, ed è felice che il suo successo sia anche un successo della Rai. Evidentemente non c´è reciprocità: e ogni attacco politico a Fazio, Santoro, Gabanelli, Floris (dunque alla Rai), trova alla Rai complici entusiasti.
LA REPUBBLICA del 10 aprile 2011
Se qualcuno mi dicesse «devi tagliarti la barba, induce diffidenza, dà l´impressione che chi la porta voglia nascondere qualche malformazione», io gli risponderei: «vada subito da uno psichiatra, ma ne trovi uno bravo perché ne ha molto bisogno». Invece il giovanotto con il pizzo che si è sentito apostrofare da Berlusconi con quella frase metà cafona, metà demente, pareva deliziato, come chi si sente immeritatamente irradiato da una luce salvifica. Lo so, ci si ripete: ma ciò che più sbalordisce, in questa parodia di regime che chiamiamo berlusconismo, è la totale mancanza di autonomia e dignità dei sottoposti. È una specie di sottomissione estatica che rimanda allo stato di soggezione degli affiliati a una setta religiosa, non certo ai rapporti politici così come si dipanano, di norma, in democrazia. Quando si assiste a liturgie e cerimonie di questo culto mortificante, il sentimento che prevale è l´imbarazzo per conto terzi. Viene voglia di prestare assistenza alle vittime, sia pure consenzienti. Da barbuto a barbuto, vorrei dire al "malformato" che esistono risposte – anche cortesi – che aiutano a rispedire ogni offesa al mittente. Ma prima bisognerebbe che lui capisse di essere stato offeso. E qui sta il vero problema. Forse insolubile.
LA REPUBBLICA del 20 febbraio 2011
Non credo che i tre anziani borghesoni milanesi che al Dal Verme inveivano contro l’inviato di "Anno zero" fossero di sinistra. Non lo sono neanche le duchessee contesse romane che hanno organizzato una cena pro-Silvio. Non lo sono la maggior parte dei confindustriali e degli italiani ricchi. E l’analisi del voto, città per città, conferma che nei quartieri del centro, tradizionale habitat degli italiani di censo alto, prevale il voto a destra: come da sempre. Come è nata, allora, la vulgata politica di questi anni secondo la quale il popolo tende a destra, la borghesia a sinistra? È nata per solide ragioni di propaganda: quando la destra non è più liberale (e dunque borghese) ma è populista, diventa fondamentale ingigantire la sua composizione popolare. La seconda ragione è culturale. Prevalentemente di sinistra sono, loro sì, i ceti intellettuali (professori, insegnanti, mondo della culturae dello spettacolo), edè in odio a loro che la destra alimenta l’onda di spregio contro i "radical chic". I tre abbienti milanesi che circondavano minacciosi il santoriano Formigli erano certamente più ricchi di lui (anche se più volgari), ma dandogli del "radical chic" potevano travestirsi da animosi protestatari che insorgono contro un privilegiato. Il geniale trucco della destra berlusconiana è esattamente questo: essere al potere, e con il culo al caldo, ma dare a bere ai suoi elettori che stanno facendo la rivoluzione.
LA REPUBBLICA del 10 marzo 2011
Potessi avere la soluzione di uno dei tanti misteri italiani, ne sceglierei uno apparentemente molto minore, ma carico di significati reconditi: l´autosospensione del ministro della Cultura Sandro Bondi. Da circa tre mesi è chiuso in casa, esacerbato e offeso dall´ostilità dell´opposizione ma anche – si dice – da gravi incomprensioni con la sua parte politica. Non va a lavorare, vuole dimettersi ma non si dimette (né viene dismesso), e questo è già sbalorditivo perché scardina ogni regola e ogni convenzione tra un salariato (Bondi) e i suoi datori di lavoro (noi cittadini contribuenti). Ma ben al di là di questo scandalo "tecnico", si intuisce nel caso Bondi un travaglio umano che, se spiegato, potrebbe darci qualche prezioso elemento in più per capire quella sorta di incantesimo collettivo che chiamiamo berlusconismo. Devoto tra i devoti, innamorato del suo Capo con un trasporto tanto assoluto e indifeso da disarmare molti dei potenziali detrattori, quest´uomo passionale e vulnerabile si è dato improvvisamente alla fuga, disertando un impegno politico (Bondi è anche uno dei tre coordinatori nazionali del Pdl) che pareva ferreo. Che gli è accaduto? Da chi e da che cosa fugge? Sapesse mai spiegarcelo, un giorno anche lontano, sono sicuro che capiremmo molte cose di questi anni, così spiacevoli, così illeggibili.
LA REPUBBLICA del 30 marzo 2011
Già è stato sottolineato che alla prèmiere di Berlusconi a Palazzo di Giustizia c´erano più giornalisti, fotografi e cameraman che pubblico. Pochi figuranti (un´ottantina pro-Silvio, venti contro) per una troupe così cospicua, che magari sperava di potere immortalare "dal vero" la scena finale del Caimano, con la città in fiamme mentre Lui scende ghignando i gradini del tribunale; e invece si è trovata davanti a una sparuta filodrammatica di massaie osannanti. Dev´essere per rimediare a questo fiasco mediatico che l´avvocato Ghedini ha preparato un cast di testimoni quasi strepitoso, Clooney e la Canalis, Belen senza Corona, la povera Carfagna che cerca invano di essere nominata in quanto ministro e non in quanto Carfagna. Udienze noiosissime potranno così diventare appetibili anche per il popolino televisivo, promosse a spettacolo e dunque sottratte al solito tran-tran della realtà e impacchettate per il Silvio-show. Il copione della giustizia non ha abbastanza appeal per lui, che come la Wandissima si aspetta di scendere tra due ali di boys (i suoi avvocati) e guadagnare il proscenio in un tripudio di fiori, baci, gratitudine. Peccato, solo, per quelle grigie stanze che odorano di vuote attese, di faldoni pieni di acari, di burocrazia. Ci vorrebbero uno scenografo, qualche luce burina ma allegra (basta chiedere a Mediaset), uno stacchetto musicale quando entra il testimone illustre. La Corte sarà disponibile?
LA REPUBBLICA del 5 marzo 2011
Se vi è sfuggita (su Repubblica di ieri) la foto di Ruby Rubacuori con Gei Ar e il vecchio miliardario austriaco che li ospitava entrambi, cercatela in rete, stampatelae conservatela trai documenti storici. Si vedono due vecchi danarosi (uno americano, uno europeo) che mostrano la dentiera all’ obiettivo. Uno sventola il cappello da cow-boy come Buffalo Bill poco prima del decesso. L’ altro, essendo Gei Ar, è vestito da Gei Are ostenta il sorriso inespressivo dell’ ospite a noleggio. In mezzo ai due trionfa una giovanissima ragazza araba che per il solo talento di avere diciotto anni – talento puramente ormonale – è riuscita in pochi mesi a penetrare in quella decrepita ridotta di miliardi: e sta per espugnarla. È il nostro (meritato) destino. Una civiltà vecchia e di vecchi, seduta su una catasta di privilegi, sarà presto surclassata dalla brulicante marea dei popoli ragazzini (età media degli iraniani: vent’ anni. Età media degli italiani: 45 anni), affamati di pane e di potere, di vita e di agio. È una brutta notizia solo se la vediamo dal punto di vista, molto angusto, dei vecchi che si giocano il patrimonio per un paio di tette, e dei loro eredi che immaginiamo angustiati. Ma dal punto di vista dell’ umanità tutta intera, è una bella notizia: certifica che la vita continua, e che la Storia passa di mano.
LA REPUBBLICA del 22 febbraio 2011
Questo giornale ha pubblicato ieri un´intervista seria e incalzante al candidato sindaco di Milano Giuliano Pisapia a proposito del suo coinvolgimento indiretto nella vicenda degli affitti di case di proprietà di enti pubblici. Pisapia, che è un galantuomo, ha spiegato (con rammarico perfino eccessivo) che l´affitto della sua attuale compagna (stipulato vent´anni fa e scaduto nel 2008!) è un problema del quale avrebbe dovuto preoccuparsi più tempestivamente. Due considerazioni. La prima: quando leggeremo su un giornale di destra un´intervista altrettanto rigorosa (nelle domande e nelle risposte) a una personalità pubblica di destra coinvolta in scandali veri o gonfiati, sarà un bel giorno per questo Paese. La seconda: nel clima truce e urlante di questi anni, è un palese obiettivo politico intorbidare le acque e confondere dimensioni e gravità delle colpe, da quelle evidenti a quelle presunte. Partecipare alle varie cosche del malaffare e degli appalti deviati, e fidanzarsi con una persona che fu intestataria di un affitto inferiore ai prezzi di mercato non è, ovviamente, la stessa cosa. Interesse del lupo è sostenere che l´agnello è il carnefice, lui la vittima. La diceria dell´untore è che tutti abbiamo la peste, e di conseguenza nessuno è integro, nessuno salvo, nessuno in diritto di giudicare. Vale ripeterlo ogni volta che il lupo ripete il suo verso.
LA REPUBBLICA del 11 marzo 2011
Il reclutamento di Ferrara e (forse) Sgarbi nei palinsesti Rai è una buona notizia, perché aggiunge due voci non banali all´offerta televisiva. Chi non li sopporta (e sono in tanti) potrà rimediare con l´arma finale di ogni teleutente: cambiando canale.
Ma la buona notizia è fortemente condizionata dalle altre scelte della televisione pubblica. Se ai due nuovi ingressi dovessero corrispondere, come è nell´aria, epurazioni e soppressioni di programmi considerati «di sinistra», Ferrara e Sgarbi si troverebbero in una detestabile condizione: quella di rimpiazzi filogovernativi che vanno a maramaldeggiare su un campo di battaglia coperto dai cadaveri dei vinti. In una Rai già pesantemente berlusconizzata (i dati dell´Osservatorio di Pavia sui tigì di gennaio sono raccapriccianti) la puzza di regime sarebbe asfissiante, e definitiva. È quanto chiedono di fatto, con ottusa ferocia, giornali e giornalini di destra, catalizzatori, da anni, di un odio ideologico e perfino fisico per i cosiddetti "conduttori comunisti", in pratica tutti coloro che hanno il torto di non controfirmare le veline di governo. In un paese di sana costituzione democratica (e di davvero libero mercato) la sfida sarebbe solo sul terreno degli ascolti e dei risultati professionali. Poiché quel terreno, per i "conduttori comunisti", è stato fin qui vincente, restano, per combatterli, la delegittimazione giornalistica e il bavaglio politico.
LA REPUBBLICA del 31 marzo 2011
Ieri, per il berlusconismo, è stato il Giorno Perfetto. Mentre a Roma, nella sala macchine, la sua ciurma manometteva il diritto, inceppandone gli ingranaggi, lui sulla tolda mediatica, a Lampedusa, raccoglieva l´applauso del popolo, recitando un discorso memorabile, capolavoro dell´irrealtà, nuvola di cipria, polvere d´oro negli occhi del suo pubblico. Così come John Kennedy disse "io sono berlinese", rendendo universale una condizione specifica, lui dice "io sono lampedusano", rendendo personale una questione collettiva. Promette un campo da golf, case colorate, rimboschimenti, il premio Nobel "della pace", una scuola, una flotta di "navi passeggere" che portino in crociera i clandestini, e su tutto leva, scintillante come Excalibur, il suo rogito salvifico, l´acquisto di una villa (e dagli) a Lampedusa. La redenzione passa da lui, dall´annessione dell´isola a Berlusconia, dalla sua fulminea promozione da asilo di disperati a residenza di miliardari. Dicendo "io sono lampedusano", ha detto molto di più. Ha detto ai lampedusani "voi siete Berlusconi", e in quanto tali salvi, sollevati da ogni pena. La gente, attorno a lui, era entusiasta. E pochi minuti dopo, già i nuovi vicini di casa vedevano rivalutati i loro quattro sassi. Come gli aquilani, tra qualche anno anche i lampedusani avranno diritto a un apposito figurante che, per 300 euro, esprimerà gratitudine per ciò che non è stato fatto.