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LA REPUBBLICA del 12 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Leggendo sui quotidiani che gli investimenti pubblici per la banda larga sono passati in due anni da un miliardo e trecento milioni di euro a 70 milioni di euro, giuro che ho pensato a un refuso. «Saranno 700 milioni», ho pensato, e già sarebbe stato gravemente significativo un dimezzamento dei quattrini destinati a dotare anche l´Italia di una rete Internet adeguata ai tempi. Ma no, non era un refuso. Sono proprio 70 milioni. È il gruzzolo che rimane dopo ripetuti dirottamenti di fondi statali verso il digitale terrestre, cioè verso la televisione. Indipendentemente da ogni sospetto, o illazione, o documentata notizia sui destinatari del lucroso (e obbligatorio) passaggio dall´analogico al digitale terrestre, rimane l´oggettiva volontà politica di favorire la televisione rispetto a Internet. La differenza tra i due media è evidente e risaputa: la televisione è controllabile dall´alto, specie in un Paese nel quale coincidono potere politico e potere televisivo. Internet è incontrollabile, come dimostrano le recenti insurrezioni giovanili e urbane nell´Africa del Nord, in buona parte nate e alimentate in rete. Avvantaggiare la prima e ostacolare il secondo è una scelta politica di enorme impatto sul presente e soprattutto sul futuro, così come decidere di costruire autostrade piuttosto che ferrovie. Rendiamocene conto: il potere berlusconiano sta giocando, quasi tutte assieme, le carte con le quali cerca di chiudere la sua partita. 

LA REPUBBLICA del 19 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Ho letto con disagio l´articolo-denuncia di Agnes Heller (Repubblica di ieri) sull´odiosa campagna di discriminazione e diffamazione che il governo ungherese (destra nazional-populista) ha scatenato contro gli intellettuali. Il disagio deriva dal silenzio quasi assoluto che, almeno qui in Italia, ha circondato gli atti politici e le parole del premier ungherese Viktor Orban contro giornalisti, intellettuali, artisti, filosofi, accusati (incredibile ma vero) di "liberalismo" e dunque di "antipatriottismo", nonché di abusare di fondi pubblici immeritati. In particolare quest´ultima accusa dovrebbe esserci familiare, visto che anche in Italia è in atto uno strisciante Kulturkampf (definizione della Heller) che tende a declassare il ruolo della cultura e a spregiarne la funzione critica, che è la sua funzione sociale per eccellenza. Le campagne contro il "culturame" sono un classico di tutte le destre populiste e para-fasciste. L´Ungheria è vicina, è Europa, ed è all´Europa, cioè a noi tutti, che Heller si rivolge con accorata passione. In quel paese è in atto un maccartismo in piena regola, che tende a classificare gli intellettuali a seconda del loro presunto "patriottismo", punendo e isolando i reprobi. Sarebbe bene scriverne più spesso. 

LA REPUBBLICA del 1°aprile 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca

Il Sole 24 ore dell´altro giorno ha pubblicato un´analisi davvero impressionante del mercato televisivo italiano (dati Nielsen). In estrema sintesi: Mediaset ha perso molto pubblico (6 per cento) ma guadagnato parecchia pubblicità in più. La Rai ha perso poco pubblico (1 per cento) ma sta subendo un forte calo degli introiti pubblicitari. Anche volendo ammettere che Mediaset sia molto più abile nella vendita dei suoi spot, trovate voi se c´è un nesso tra il sedicente libero mercato e questo crudo dato. Tra il merito e i risultati. Chi ottiene meno ascolti, guadagna di più.

Se ne deduce che il potere conta più del merito. Che molti inserzionisti, quando si tratti di restringere il budget pubblicitario, non hanno dubbi: più conveniente, o più prudente, non penalizzare le televisioni del capo del Governo. Meglio mantenere buoni rapporti con chi ha il potere di legiferare, tanto più se costui, a più riprese, ha invitato i suoi colleghi imprenditori a non dare soldi alla Rai, nota azienda comunista, e di conseguenza di darli a lui: che come capo del Governo boicotta un´azienda pubblica, e come padrone di Mediaset intasca i quattrini dirottati dalle casse della Rai. Tutto questo è pazzesco? Sì, lo è. Ma ci viviamo sprofondati da vent’anni: quasi una vita. 

LA REPUBBLICA del 24 febbraio 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Vorrei invitare a cena il 10 marzo, per suo risarcimento e per mia curiosità umana, l’unico spettatore che aveva acquistato l’unico biglietto venduto per il concerto di Mariano Apicella sul prestigioso palco degli Arcimboldi in Milano. Lo show, finanziato da anonimi filantropi che avevano affittato il teatro per 15mila euro, è stato sospeso per una ventilata "minaccia di contestazioni", più probabilmente per il non eclatante risultato della prevendita: un unico spettatore, per quanto entusiasta, non garantisce quel minimo di calore che aiuta l’artista a dare il meglio di sé.

Considerando che questi sono tempi grami per la cultura, e che la premiere di Apicella era pur sempre una premiere, credo che questo solitario e misterioso spettatore non vada abbandonato alla sua delusione. Dunque lo invito volentieri a cena, per conversare con lui di arte e di canzone, pur sapendo di espormi a un rischio non trascurabile. Il rischio è che quell’unico biglietto venduto sia stato acquistato dalla stessa persona che ha organizzato l’esordio milanese di Apicella, ha affittato il teatro, ha apprezzato e apprezza l’opera del Maestro ed era disposto ad applaudirlo, solo nel buio, fino al bis. Il rischio, insomma, è ritrovarmi a cena con Silvio Berlusconi.

LA REPUBBLICA del 23 giugno 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Giornali, radio e tivù pullulano di analisi e riflessioni sulla Lega e della Lega, quasi tutte tendenti a individuare nel "tradimento" della spinta originaria, e nella contaminazione con il berlusconismo, il potere e altre mollezze romane la causa della crisi. Sarà pure. Ma basta sentir parlare Borghezio o Boso (l´altra sera a Radio 24), e udire alcune delle loro ripugnanti digressioni razziste, per capire che forse "tornare alle origini" non basterebbe, ove quelle origini fossero incarnate da quella bruta espressione di grettezza umana e aggressività politica che hanno contribuito in buona parte a disgustare elettori potenziali e moderati. Allo stesso modo rifletterei sulla scuola (pubblica) di Adro usata come zerbino di partito, e su quanto la parola "secessione", rispolverata a Pontida come una panacea, abbia contribuito a costruire, negli anni, la reazione di massa dell´opinione pubblica del Nord, e lo straordinario successo delle celebrazioni del centocinquantenario, che si sono trasformate in una vera festa di popolo. La Lega è minoranza anche "a casa sua", e lo è diventata perché il suo obiettivo fondante (la secessione) è animosamente osteggiato dalla grande maggioranza dei settentrionali. Questa è la durissima realtà sulla quale ugualmente dura è la riflessione. Molti auguri. 

LA REPUBBLICA del 23 marzo 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
È una vera fortuna che la carta di giornale serva per pulire i vetri. Se rimanesse memoria di quanto andiamo scrivendo lungo gli anni, non basterebbe una seconda vita per ridare ordine e coerenza a quello che abbiamo messo nero su bianco nella prima. Prendete l´animosa Maria Giovanna Maglie, che ai tempi della guerra in Iraq fu accesa interventista, e praticamente invase di persona quel paese alla testa dell´esercito americano. Scrisse pochi anni fa (e un perfido giornalista del Corriere ha riesumato quell´articolo) che l´Iraq era «un paese infelice, piagato dalla tortura, dallo spionaggio, dalla negazione di qualunque libertà personale, e il denaro del petrolio serviva ad arricchire Saddam e la sua famiglia». Dunque era giusto schiacciare il dittatore come uno scarafaggio. Oggi, a proposito di Gheddafi, Maglie scrive su Libero: «Garantiva pace, sicurezza, buoni contratti, sicurezza negli sbarchi, era un interlocutore privilegiato e un avversario dei fondamentalisti». Dunque attaccarlo è un grave errore. Meno ferrato della Maglie, la sola differenza sostanziale che riesco a cogliere, tra Saddam e Gheddafi, è che il primo è stato attaccato da Bush, il secondo da Obama. Tanto deve bastare, allo sguardo acuto di Maglie, per stabilire quando una guerra è santa, quando una porcheria. 

 LA REPUBBLICA del 18 marzo 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La festa tricolore è stata istituzionale ma anche popolare. Nessuno, qualche mese fa, poteva prevedere che il Centocinquantenario sarebbe diventato un´occasione così profonda e sentita di riflessione sull´identità e la storia del nostro paese. Gran parte del merito va alla Lega. È soprattutto come reazione a vent´anni di attacco frontale contro l´identità italiana che milioni di cittadini, soprattutto al Nord, hanno sentito l´urgenza di far sentire la propria voce, di esporre il tricolore, di manifestare anche visivamente la propria presenza di italiani in Italia. Sentire continuamente parlare "a nome del Nord" una minoranza aggressiva, un partito-nazione tendenzialmentre totalitario (vedi Adro, vedi la continua confusione tra identità di partito e identità "etnica") è stata un´offesa prolungata e, alla lunga, insopportabile. È anche per il bisogno di rimediare a questa offesa che il 17 marzo ha potuto avere un impatto popolare così forte. Di qui in poi, Bossi e i suoi sanno che "parlare a nome del Nord" non è più consentito. Parleranno, come fa ogni partito, a nome dei propri elettori. Solo Napolitano, che è capo dello Stato, ha il diritto di parlare a nome di tutti. Il Nord (scuole, municipi, piazze, case, balconi, gente) ha detto, in larga maggioranza, di sentirsi italiano, tricolore, risorgimentale e repubblicano. 

LA REPUBBLICA del 29 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Va bene tutto. E nella vita, si sa, tocca arrangiarsi. Ma come deve sentirsi la figurante della trasmissione "Forum" (Canale 5) che per trecento euro ha accettato di fingersi una terremotata abruzzese, leggendo un copione nel quale "ringraziava il presidente Berlusconi e il governo perché non ci hanno fatto mancare niente, tutti hanno le case con i giardini e i garage"? E come si sentono la conduttrice, signora Rita Dalla Chiesa, gli autori del programma, i dirigenti che mandano in onda una roba del genere? Può anche darsi che tra finzione e realtà si siano rotti per sempre gli argini. Ma l´argine, anche piccolo, anche fragile che ognuno di noi cerca di conservare per addormentarsi la sera senza soverchi dubbi sulla propria coscienza, sotto quale oceano di indifferenza o di demenza collettiva è sprofondato? Ma si può inscenare una truce pagliacciata di quel livello, specie sapendo che è un pubblico popolare quello che stai turlupinando, quelli che ancora credono che siccome "lo hanno detto la televisione" allora è vero, e quella signora è dunque una vera terremotata, poverella, veri il suo giubilo per la splendida ricostruzione, la sua gratitudine a gettone, il suo biasimo volgare per "quelli che stanno ancora in hotel a mangiare e bere a spese dello Stato"? No, non esiste nessun giorno del Giudizio, ma un banale "giorno per giorno", che rimetta in funzione almeno un´ombra di decenza, quello sarebbe a disposizione di tutti. 

LA REPUBBLICA del 2 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Se un giornale di sinistra proponesse ai suoi lettori un "Diario di Stalin" a puntate, i suoi lettori telefonerebbero al direttore per chiedergli se è uscito di senno, e se non si vergogna. Feltri e Belpietro, mettendoci la faccia, possono invece lietamente pubblicizzare i loro "Diari di Mussolini" (by Dell’ Utri) senza ombra di imbarazzo, e forse guadagnando qualche copia. Tanti passi indietro ha compiuto, negli anni di Berlusconi, la destra italiana, che un gadget per nostalgici può essere tranquillamente spacciato per divulgazione storica, e le minute retroguardie fasciste che si accontentavano, fino a pochi anni fa, di vivacchiare negli interstizi della pubblicistica nazionale (là dove la ficcava Montanelli), oggi vedono la loro bandiera sventolare sul pennone più alto del secondo quotidiano della destra di governo. Che sia una cattiva notizia per la povera democrazia italiana, è un’ ovvietà. Meno ovvio, ma altrettanto rilevante, è che questo ducismo a fascicoli è una pessima notizia per la destra, così affannosamente in cerca di una sua rivincita culturale da incartare le sue peggiori memorie dentro i suoi migliori anni di potere politico. Vincere non ha ingentilito la destra nostrana, l’ ha ingaglioffita e fascistizzata. 

LA REPUBBLICA del 3 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Un manipolo di italiani residenti in Finlandia sta organizzando un sit-in di protesta in occasione dell´arrivo di Berlusconi a Helsinki. Più che a una qualche forma di agitazione politica, la micro-mobilitazione fa pensare a un´impellente quanto basica necessità di autodifesa. Non c´è italiano in trasferta che non patisca l´asfissiante compatimento e la sistematica derisione degli altri europei. La domanda fissa che ci rivolgono è: «Come avete potuto ridurvi così? Come è stato possibile? ». Giornali e siti stranieri grondano ilarità e disprezzo per una leadership che, ai loro occhi, non è più neanche improponibile: è inverosimile. Non riescono a farsene una ragione, se non alludendo a una sorta di minorità civile e culturale del nostro povero Paese. Un amico appena rientrato dalla Germania mi ha detto, affranto, che la raffica di domande irridenti su Berlusconi era tale da averlo quasi indotto a dare risposte irritate, ai limiti della maleducazione. Il sit-in finlandese, in questo quadro, serve a evitare la penosa incombenza di dover rispondere a quello stillicidio insopportabile di domande beffarde. I partecipanti non manifesteranno contro Berlusconi, ma per se stessi: sperano che i finlandesi, vedendoli, capiscano che non è a loro che devono chiedere conto della nostra ridicola tragedia. 
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