LA REPUBBLICA del 24 marzo 2011
Al glorioso liceo Parini in Milano un gruppo di insegnanti ha chiesto il trasferimento. Motivo: non sopportano più l´invadenza di alcuni genitori, che secondo i docenti in fuga sarebbero prodighi di consigli quanto di insulti e minacce. Sia o non sia eccessiva la suscettibilità dei prof, la questione sollevata è di assoluto rilievo. Riguarda l´autonomia della scuola pubblica, che non è insidiata solamente dalla grettezza ostile del governo, o dal ventilato ingresso di imprecisati "sponsor privati". Anche la famiglia, che in Italia è un´istituzione meritevole quanto ingombrante, minaccia l´autonomia della scuola nei (tanti) casi in cui genitori-sindacalisti e genitori-avvocati pretendono di ficcare il naso in faccende come la didattica e la disciplina, e sempre per difendere o giustificare i figli non ancora bamboccioni, ma già – con genitori così – sulla buona strada per diventarlo. Non so se, sull´argomento, la mia opinione sia rivoluzionaria o reazionaria, ma la famiglia deve stare il più possibile lontana dalla scuola. La scuola è il primo luogo dove i figli sono (finalmente!) sottratti alla protezione dei genitori. Siano ottimi o mediocri o pessimi i docenti, è affare dei ragazzi imparare a conoscerli e fronteggiarli, cominciando a prendere le misure della vita. Poiché il familismo italiano non conosce argini né pudore, sarebbe bene che qualcuno cercasse di fermarlo almeno sul portone di un liceo.
LA REPUBBLICA del 18 febbraio 2011
Dire "epidemia di pazzia" credo sia anti-scientifico, la pazzia non è un virus e dunque non contagia. Ma molte delle notizie italiane di questo periodo non trovano altra spiegazione plausibile. Per esempio: è nato un nuovo gruppo parlamentare (credo sia il duecentesimo), si chiamerà "Per le autonomie", e chi volesse coglierne la natura e le ragioni politiche deve fare riferimento a questa dichiarazione della senatrice Helga Thaler, promotrice del gruppo: «Non saremo l´equivalente dei Responsabili, vogliamo restare dove siamo e cioè in difesa delle autonomie senza schierarci né con la maggioranza, né con il terzo polo, né con la destra, né con la sinistra». Credo che neppure la senatrice Thaler (alla quale vanno i nostri affettuosi auguri) pretenda di avere detto qualcosa di comprensibile. Forse è un quiz, forse uno scherzo, forse una notizia falsa (non esistono né il gruppo "Per le autonomie" né la senatice Thaler), forse l´imprecisato luogo al quale allude la senatrice (né con la maggioranza, né con il terzo polo, né con la destra, né con la sinistra) esiste davvero nella Quarta Dimensione o nell´Oltretomba, forse il Cappellaio Matto o i sette nani o Caronte conoscono il percorso che porta fino a lì, anche se "lì", spiega Thaler, è "restare dove siamo". Manca una riga alla fine. Scrivo sedia, ornitorinco e Atlantic City, tanto è uguale.
LA REPUBBLICA del 13 marzo 2011
Leggere le cronache su alcune inchieste giudiziarie (vedi le recenti indagini sulla cosiddetta P4 e il faccendiere di Stato Bisignani) e capirci pochissimo è tutt´uno. La colpa non è dei giornalisti, che cercano di raccontare quello che riescono a sapere. Né dei giudici, che cercano di dissotterrare i reati da una spessa coltre di segreti e silenzi. La colpa (dal suo punto di vista un merito) è di un potere politico ed economico che mai come in questi anni è riuscito a rendersi imperscrutabile, opaco, fuori controllo. Riusciamo a capire solo che gli interessi, le alleanze, gli scontri che determinano molte delle scelte nevralgiche per la collettività (gli appalti, il controllo del credito, la spartizione dei profitti) agiscono in una zona d´ombra, al riparo di ogni forma di controllo istituzionale, di visibilità pubblica, insomma di democrazia. Molto potere e molti quattrini in poche mani, zero potere e pochi quattrini nelle mani di tutti gli altri. E´ sempre stato così? Forse sì. Ma in un clima politico meno rassegnato, più integro, la scoperta della P2 destò, nell´Italia di allora, uno scalpore enorme. P3, P4 e domani P5 e P6 possono contare su un vantaggio enorme: la disarticolazione della politica e la nostra rassegnazione. Due facce della stessa medaglia.
LA REPUBBLICA del 15 marzo 2011
In fondo alla scala sociale, sotto al girone dei disoccupati, a quello dei cassintegrati, a quello dei senza tetto, a quello degli emarginati, che cosa c´è? Ci sono la povera Ruby Rubacuori e i suoi tristi impresari, che la esibiscono nei localini di provincia e neanche le pagano il salario (vedi le cronache, di strabiliante squallore, della sua mancata esibizione pugliese). C´è il tira-tira e il piglia-piglia di un sottobosco di aspiranti famosi, di mancati attori, di mezzi ospiti di trasmissioni minori, alla ricerca di una paparazzata che li renda visibili almeno alla mamma e alle zie. Un mondo di finta ricchezza e di penuria sostanziale, che noleggia la limousine ma non ha i soldi per pagare la bolletta della luce, che ha la borsa di Vuitton ma si deve fare imprestare un letto per dormire, o pagare l´affitto da qualche riccone attizzato. Parcheggiati nell´anticamera dei Grandi Fratelli, stakanovisti del provino, proletari dello show-business, portoghesi del jet-set. Un´umanità che si crede eccessiva perché tira mattino, ma è solo eccedente, fuori dai cancelli della Grande Fabbrica televisiva, vivacchiante ai margini dei riflettori. Mette angoscia pensare a una ragazza di diciotto anni che rimbalza come una pallina da flipper tra una discoteca di paese e una promessa truffaldina, destinata a misurare, presto o tardi, l´imbroglio terribile di un successo vuoto, senza talento, senza merito, senza approdo.
LA REPUBBLICA del 16 marzo 2011
Mentre i sondaggi, e più in generale l’umore del Paese, lasciano intendere la possibilità di un’alternativa politica, lo scambio di insolenze tra Grillo e De Magistris ci riporta alla realtà. L’opposizione è un campo di battaglia tra leader e leaderini occupatissimi a vantare una caratura di "purezza" superiore a quella del vicino di pianerottolo. Queste persone sono terminali di speranze, di umori di cambiamento, di voti (specie giovanili). Ma evidentemente non se ne sentono responsabili. Da solo, ognuno di loro conta come il due di picche (anche se presume di essere almeno il tre), eppure maneggia la sua scheggia di consenso come un’arma contro la concorrenza. Primo tra gli ultimi: questo è evidentemente l’obiettivo che si danno questi concessionari della pubblica indignazione.
A sinistra del Pd, e comunque fuori da esso, c’è una marea di voti dispersa in cento rivoli. Tra i voti in sonno degli astensionisti (milioni) e il voto irrequieto che si riversa su Idv, Sel, Cinque Stelle, Verdi e altre particole, stiamo parlando di un quinto e forse un quarto dell’elettorato italiano: il doppio della Lega. Non solo l’umiltà, anche l’intelligenza vorrebbe che i gestori di questo patrimonio non lo dilapidassero. Dei loro sbocchi di narcisismo noi non sappiamo che farcene. Berlusconi sì.
LA REPUBBLICA del 29 gennaio 2011
Pure se agghiacciante nelle intenzioni e disgustoso nei toni, l’ attacco del Giornale di Berlusconi a Ilda Boccassini è puramente, classicamente comico. Il principale capo d’ accusa è che Boccassini sarebbe stata vista nel 1982 (trent’ anni fa) mentre baciava «un giornalista di sinistra», per giunta in un’ area non lontana da Palazzo di Giustizia: almeno si fossero baciati mentre erano in gita sui laghi, gli svergognati. Tecnicamente parlando, si tratta della perfetta parodia di una campagna di stampa. Se questo è il massimo sforzo che la famosa macchina del fango è in grado di produrre, Berlusconi farebbe bene a richiamare immediatamente Feltri, che se c’ era da infamare qualcuno almeno lo infamava ben bene, come ha fatto col povero Boffo. Vero è che il clima è talmente infuocato e le urla così alte che tutto pare indistinto, arruffato, uguale: come dice Saviano proprio questo è l’ obbiettivo, far credere che tutti si sia ugualmente sozzi, loschi e compromessi. Ma perfino in questo saloon, e nel pieno della sparatoria, dovrebbe valere un minimo sindacale anche per i colpi bassi. Se anche l’ odio politico, la calunnia, la bava alla bocca sono di serie b, che cosa ci resta, di serie a, in questo povero paese?
LA REPUBBLICA del 13 febbraio 2011
La notizia, messa in circolo da alcuni blog, secondo la quale tra i pochi manifestanti del Pdl davanti a Palazzo di Giustizia ci fossero anche parecchi figuranti dei programmi Mediaset, è così verosimile che potrebbe addirittura essere vera. La sostituzione della realtà con il suo surrogato mediatico, roseo e sognante, è il vero capolavoro di Berlusconi, nonché l’essenza del suo progetto politico. E poiché un ritorno in auge della realtà (prima o poi può accadere, prima o poi accadrà) leverebbe visibilità e potere all’esercito di comparse che partecipano al kolossal "Silvio", è non solo logico, ma addirittura lecito che quell’esercito si organizzi per resistere. Non solo veline e soubrette hanno molto da perdere. Non solo la schiera di avvocati tradotti in Parlamento. Anche l’umilee vigorosa massaia che nei programmi del pomeriggio è diventata opinionista, anche le festanti tricoteuses che eleggono tronisti e se vogliono li detronizzano (ah, il potere!), e un sacco di brava gente che, grazie alla tivù commerciale e dunque grazie a Silvio, è riuscita a trasformare il classico "quarto d’ora di celebrità" di una volta in un ventennio di celebrità: perché mai dovrebbe cedere all’odioso arbitrio della realtà, e di giudici che neanche hanno partecipato a "Forum"?
LA REPUBBLICA del 17 febbraio 2011
La (tostissima) avvocatessa della signorina Minetti, l’ altra sera da Lerner, ha suggerito al premier di accettare il processo e sottoporsi al giudizio. Ma è come chiedere a Berlusconi di non essere Berlusconi. Lui il giudizio, prima ancora di non sopportarlo, non lo concepisce. Il suo segreto e la sua forza, nonché ciò che lo rende insopportabile a noi e nocivo alla serenità nazionale, sta proprio in questa incapacità congenita di misurarsi con il giudizio degli altri. Che questo riveli una patologica insicurezza di fondo, è argomento che lasciamo agli psicologi. A loro le cause, a noi l’ onere di sopportarne (da vent’ anni) i sintomi: rifiuto di ogni confronto televisivo, fastidio per ogni domanda diretta, lodi sperticate a se stesso ("sono il più grande presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni": non basterebbe questa frase per capire che non sta bene?), reazioni scomposte alle critiche e soprattutto attribuzione di ogni critica all’ "invidia", di ogni inciampo a "congiure", di ogni errore agli errori altrui. Essendo il processo un contraddittorio per eccellenza, come volete che possa affrontarlo? Gli parrà persecuzione ciò che è accertamento, odio ciò che è prassi di legge, arbitrio ogni accusa. Lo vedo piuttosto in fuga ad Antigua, dove rimuginare su quanto è bravo lui, e quanto cattivi gli altri.
LA REPUBBLICA del 19 aprile 2011
Se fossi stato a San Vittore 42 giorni per poi essere riconosciuto innocente, avrei anche io le mie ragioni di rancore nei confronti della magistratura, come questo signor Lassini che ha tappezzato Milano con quegli osceni manifesti che apparentano giudici e brigatisti. La vera sfortuna di Lassini è non avere trovato sulla sua strada una comunità politica che lo aiuti a tenere a freno i suoi impulsi. Al contrario, nel Pdl (e nelle parole del suo leader) ha trovato terreno fertile per la sua deriva. I partiti di massa, una volta, servivano a stemperare e governare le pulsioni di pancia, a moderare i termini, a suggerire (e a volte costringere) di anteporre l´interesse collettivo al proprio ombelico. Una delle più incresciose e gravi circostanze che ci fanno vivere (tutti) così male è che il partito di maggioranza relativa, che sulla carta rappresenta i moderati di centrodestra, è un partito estremista, vociante, radicalmente conflittuale, specchio del suo leader che incarna ogni lacerazione ideologica, ogni conflitto istituzionale. Gli appelli alla temperanza, all´abbandono dello spirito di fazione, suonano del tutto irrealistici in un Paese dove l´intemperanza e la faziosità sono, purtroppo, al governo. E dove il sindaco di Milano, a quanto pare, non è in grado di ricondurre alla ragione un suo candidato fuori di testa. L´estremismo, qui e ora, non è più un problema periferico. È una malattia che riguarda il centro della politica, e il cuore del potere.
LA REPUBBLICA del 3 febbraio 2011
A Casoria (Italia) c’ è un piccolo museo di arte contemporanea. Il suo direttore, Antonio Manfredi, esasperato dalle intimidazioni di camorra e dai continui vandalismi, ha chiesto per iscritto "asilo politico-culturale" alla Germania, nella persona del cancelliere Merkel, specificando che il "gesto estremo, che può sembrare provocatorio, è per noi l’ ultima possibilità". A parte l’ ovvia ma fraterna solidarietà a Manfredi e al museo assediato dall’ ignoranzae dalla violenza, c’ è da chiedersi se una così inaudita notizia (un museo italiano che chiede asilo e salvezza all’ estero) avrà adeguato riscontro politico. E cioè se il ministro della Cultura Bondi e il presidente del Consiglio Berlusconi vorranno – anche per formale cortesia – dire qualcosa o addirittura fare qualcosa. Non bastasse la nuova emigrazione qualificata, diplomati, laureati e ricercatori che cercano di organizzare la fuga, sono i quadri di un museo a temere che nella cintura napoletana, per loro, non ci sia futuro. Sempre che non vogliano, quei quadrie quel museo, chiedere la benevola protezione di una delle simpatiche "famiglie" locali, magari in cambio di un paio di tele da appendere sopra la Jacuzzi. E sempre che un direttore così irriducibile non venga insignito anche lui, come Saviano, del titolo di rompicoglioni, o di "professionista dell’ antimafia".