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LA REPUBBLICA del 5 febbraio 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Dunque. La Camera dei deputati del vostro e mio Paese ha votato, a maggioranza, a favore della seguente tesi: Silvio Berlusconi telefonò alla Questura di Milano perché effettivamente convinto che la minorenne marocchina ivi trattenuta fosse la nipote di Mubarak, e di conseguenza era "preoccupato di tutelare le relazioni internazionali" (sono le parole testuali dell’onorevole Maurizio Paniz, del Pdl). Le ipotesi interpretative, secondo logica, sono due e due soltanto. Prima ipotesi: 315 deputati della Repubblica hanno avallato con il loro voto questa ricostruzione perché convinti che sia vera. Ne consegue che considerano il (loro) presidente del Consiglio uno scemo totale, così sprovvisto di discernimento da poter credere che una delle signorine prezzolate conosciute a Arcore fosse la nipote di un capo di Stato, e avendolo saputo, per giunta, di averla ugualmente scritturata per i suoi festini. Secondo caso: i 315 deputati hanno sottoscritto questa esilarante storiella sapendo perfettamente che è una balla. Ma preferiscono sottoscrivere il falso piuttosto che ammettere che il (loro) presidente del Consiglio possa finire davanti ai giudici per una malinconica faccenda di prostituzione minorile. Dopo il voto vittorioso, parecchi nella maggioranza ridevano. Di che cosa è difficile dire, visto che con il loro voto hanno certificato di essere o dei sostenitori di un cretino, o dei pubblici mentitori.

LA REPUBBLICA del 16 febbraio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Tutti i giornali, i telegiornali, i siti del mondo parlano del nostro Paese. Pochi grammi di sollievo (pensando che forse questa volta Lui non riuscirà a venirne fuori) non compensano la tonnellata di amarezza che ci grava addosso. Primi al mondo a ritrovarci con un capo del governo chiamato a giudizio per un reato che mette disagio, e per una vicenda che mette tristezza. Il sentimento di impotenza (un genere di impotenza nei confronti della quale non vale alcun viagra, alcuna alchimia) è fortissimo, perché se davvero sarà una sentenza – anche la più giusta delle sentenze – a fermare l´avventura di Silvio Berlusconi, la politica ne uscirà comunque sconfitta. E ne usciremo sconfitti noi italiani, quelli che gli hanno creduto per fede o per calcolo, quelli come noi che in vent´anni non sono stati capaci di smontare il potere delirante di un uomo solo. Il breve interludio di Prodi, la cui civile normalità viene ora rimpianta anche alla luce della madornale smodatezza del suo predecessore e successore, non vale a sanare un bilancio disastroso. Non è questione di destra e sinistra. È questione di una misura smarrita, di un´intelligenza collettiva disattivata. Non mi sento, in questo senso, meno sconfitto e meno smarrito dell´ultimo dei suoi adulatori. Guardo lo stesso incidente dalla parte opposta della strada.

 LA REPUBBLICA del 25 gennaio 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca

Pare che alla prossima "Isola dei famosi" parteciperanno la mamma di Valeria Marini, il figlio di Brigitte Nielsen, il fratello di Materazzi, la figlia di Ambrogio Fogar, la sorella di Balotelli e la nipote di Fabrizio De André. Ciascuna di queste persone merita tutto il nostro affetto, e a conoscerle meglio, avendone il tempo e soprattutto la voglia, sono sicuro che meriterebbero anche la nostra stima. Non è questo il punto.

Il punto è che, nel casuale affastellarsi di cognomi così variamente assortiti, si può leggere la definitiva potenza del Modello Televisivo: una specie di soluzione finale che azzera differenze e retaggi come neppure a Stalin, che evidentemente aveva meno mezzi, sarebbe riuscito. Perché laddove la nipote di Einstein e la cugina di Vanna Marchi (mettiamo) si ritrovassero a spartire un capanno, e a contendersi una noce di cocco, allora vuol dire che siamo davvero, e finalmente, tutti uguali e tutti iscritti alla stessa gara. Non era poi questo, esattamente questo il sogno radicale delle grandi rivoluzioni sociali? Poi resta da stabilire, ovviamente, se contendersi tutti insieme una noce di cocco mentre la Marcuzzi o Sgarbi (non so, non me ne intendo) commentano dallo studio, sia la vita ideale che avevamo sognato per la Futura Umanità. Ma questo è un altro discorso. 

LA REPUBBLICA del 15 novembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Dal Canada mio cugino mi manda una mail di mezza riga: "Enfin il est parti, le clown…". Finalmente se n´è andato, il clown. Sintetico. E terribile. Mi sembra che nelle dotte analisi di questi giorni non sia compreso quel sentimento di umiliazione e insieme di incredulità che è stato l´anima del cosiddetto "antiberlusconismo". Era qualcosa che andava molto al di là della passione politica (e proprio per questo suonano incongrue le polemiche sulla faziosità degli italiani). Era qualcosa che riguardava i modi e i toni dello stare al mondo, andando a toccare il nervo profondo, profondissimo della misura umana. Le frasi dei padri: "Non ti vantare, solo gli sciocchi si vantano". Quel disagio per gli eccessi del denaro e del potere, e per gli eccessi in genere, che è, tra le virtù democratiche, la più spontanea, la più popolare e la meno ideologica. Quell´imbarazzo tremendo (quasi vergognandosi in sua vece) per l´egolatria puerile, rumorosa, invadente, insana in un adulto, patologica nel capo di una democrazia. Quel non trovare più traccia, nel suo volto, nelle sue parole, nelle sue cerimonie aliene, di niente che ci ricordasse le nostre origini borghesi, operaie, contadine. Quell´idea delle donne. Quel sentirci, a milioni, stranieri in patria. Quel sentirci, per giunta, incapaci di spiegare a tutti, anche ai suoi elettori, che non era la politica, a farci stare così male. 

LA REPUBBLICA del 6 febbraio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Nella sarabanda di vado, vengo, torno, rimango dei vari deputati nei vari gruppi parlamentari si cerca invano un bandolo politico, qualcosa che rimandi alla famosa "battaglia delle idee". Nel nome della quale ci si è scannati per secoli, allegando però a quelle pratiche cruente il non piccolo codicillo di sapere perché, per cosa ci si scannava. Ora le porte sbattono, e gli insulti volano, all’ insegna di un minuto e misterioso narcisismo, illeggibile se non dai diretti protagonisti. Detto "io" si crede di avere detto tutto, come se quell’ io bastasse, da sé, a motivare lo strappo, il tradimento, il pentimento. Se le ideologie erano sistemi troppo rigidi, che imponevano discipline e gerarchie para-militari (militare e militante sono termini quasi sovrapponibili), ora ciascuno risponde solo a se stesso. Ma il "se stesso" è un attore troppo fragile, perché espone – ben più del discrimine ideologico – alle accuse di avidità, cialtroneria, indegnità morale che infatti si affastellano contro i vari transfughi. Sarebbero derisi e disprezzati con meno foga se potessero dire di avere tradito, o tramato, o ceduto perché sopraffatti da cause più grandi di loro (il socialismo, il libero mercato, la monarchia, Dio, varie ed eventuali). Invece fanno tutto per se stessi, e se uno non è perlomeno Gandhi o Mandela o Bonaparte, agire per se stesso è davvero il più futile dei moventi.

LA REPUBBLICA del 5 maggio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Che Berlusconi (con tutto il rispetto) non sia un padre costituente, è come dire che Califano (con tutto il rispetto) non era De André. Sono ovvietà. Per altro, se uno con il Pdl ci fa addirittura un governo, diventa abbastanza difficile interdire allo stesso Pdl il diritto di indicare il proprio capo per un incarico di grande prestigio, del quale vantarsi, all’occorrenza, con le signore. Pare di capire che molti uomini del Pd pretendano dal Pdl una specie di muta fedeltà, come Mandrake con Lothar. Che serva la causa delle larghe intese e non disturbi troppo. Che sia prestante quando si tratta di sollevare pesi e votare leggi, ma non si monti troppo la testa. Dispiace dover far presente che il Pdl, oltre a non essere Lothar, è quella cosa lì, ben nota da parecchi anni: il partito di Silvio Berlusconi, con la Biancofiore, la Michela Brambilla, il Brunetta, il Sacconi e tutto il resto. Pare invece di cogliere, nell’atteggiamento del Pd rispetto ai suoi partner di governo, una sorta di amareggiata sorpresa: ma come? La Biancofiore alle pari opportunità? Berlusconi alle riforme costituzionali? Come se si aspettassero Bismarck o Churchill. Che poi, per dirla tutta, non è neanche cortese condividere con qualcuno una tranche de vie così impegnativa come un governo, e poi fare gli schifiltosi se quello non è abbastanza di mondo. 

LA REPUBBLICA del 15 maggio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Come si dice al bar, quattro milioni e mezzo di euro un’operaia o un’impiegata non li guadagnano in una vita, anzi in due. Questo mi pare il succo della vicenda Ruby, paradigma di un periodo non memorabile della nostra storia patria. Il processo, poi, per sua natura insegue il brutale discrimine tra colpa e innocenza, e si capisce che mobiliti tifoserie. Ma quella montagna di quattrini rimane, è lì, più eloquente di qualunque requisitoria e di qualunque arringa difensiva. Fosse un “sistema prostitutivo” o una cornucopia per allegre baccanti, descrive comunque la totale perdita di rapporto tra il denaro e il lavoro, tra il denaro e il merito, tra il denaro e il talento: è la cosa più “contro il mercato” che si possa concepire. Un monumentale errore di sistema. Un imprenditore, specie se si vanta di esserlo ogni due secondi, non può (e non deve) ignorare il valore del denaro al punto di alterarlo così orribilmente. Dire che “ognuno in casa propria fa quello che vuole”, come ripetono i tifosi più ostinati di Berlusconi, può valere come attenuante per lui, non per loro. Non per l’esercito di timorati risparmiatori che frigna per riavere duecento euro di Imu ma vota per un signore che si fa sfilare di tasca un patrimonio da un plotone di ragazzine fameliche. 

LA REPUBBLICA del 14 maggio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Si sente in giro, tra le persone in genere munite di passione civica, uno strano umore, chissà se di sfinimento, o di smarrimento, o di resa, che riassumerei così: qualunque cosa accada, io non posso farci più niente. È come se il gioco della politica fosse stato posto sotto sequestro dalle pubbliche autorità. È in mano loro, in qualche stanza chiusa, e lo si gioca a un tavolo ancora più esclusivo – se possibile – di quello al quale ci eravamo abituati: attorno al quale, perlomeno, ci si assiepava per fare il tifo, credendo o illudendoci di spalleggiare questo o quel giocatore con il calore della nostra presenza. C’è da chiedersi se chi ha architettato questa stretta politica (“larghe intese” è quasi un ossimoro: sono state decise in molto ristretta schiera) avesse messo nel conto questo effetto di ulteriore straniamento. E, nel caso lo avesse messo nel conto, se ne è contento, perché proprio questa era la mira, levare la politica di mano a chi non è abbastanza cauto, abbastanza professionista; oppure se questa lontananza lo spaventa, ne avverte il peso, la patologica cappa di silenzio. Chi fa politica, da sempre, non può odiarla al punto di non capire che questa situazione è anormale, penosa come una partita giocata a porte chiuse, in uno stadio vuoto. 

LA REPUBBLICA del 17 luglio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
L’intervista di Repubblica tivù a Giulia Kyenge, figlia diciassettenne del ministro Cécile, è la risposta più festosa e più vitale che il razzismo possa ricevere. (L’unico rischio è che l’intelligenza e la fresca bellezza di Giulia possano aumentare quel complesso di inferiorità, esplicito o inconscio, che è la vera molla del razzismo). Giulia è sicura che ai razzisti basterebbe conoscere il mondo e viaggiare per cambiare opinione. Ha quasi ragione. Solo quasi, perché all’uomo bianco viaggiare non è sempre bastato per capire gli altri popoli e le altre culture; e anzi, uno degli ingredienti del razzismo “moderno” fu la scoperta del “selvaggio”, ovvero dell’uomo integrato nella natura fino a farne parte, considerato “meno umano” proprio perché più saldamente legato al proprio ambiente naturale. Una eco di questo equivoco era presente anche nella spiritosaggine razzista di Calderoli. Ma nel momento in cui l’uomo bianco è costretto a fare i conti con la devastazione ambientale, il vecchio pregiudizio sul “selvaggio” appeso ai rami, magari da esporre in gabbia come avvenne fino ai primi del Novecento in Europa, suona, se possibile, ulteriormente stupido e ulteriormente dannoso. 

LA REPUBBLICA del 9 maggio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
A i fautori delle larghe intese sfugge la folle anomalia italiana. Qui non si tratta di superare o smussare le differenze ideologiche tra destra e sinistra, compito improbo ma concepibile in tempi di emergenza sociale. Si tratta di fare finta che non gravino, sul leader di uno dei due schieramenti, processi e sentenze; di disinnescare uno scontro ventennale non sull’Imu o altre somme e sommette, ma sull’indipendenza della magistratura e sulla giudicabilità del potere politico. Così che ad ogni stormire di scartoffia, ad ogni refolo di tribunale, tutti tremano e sono costretti a sperare che una tregua o una distrazione o un caritatevole trucco possano rimandare a chissà quando il Giorno del Giudizio, che non varrà – capite la pazzia – solo per Lui, varrà per tutti, per il governo, per la legislatura, per la destra idolatra che se lo è scelto senza fiatare, per la sinistra imbelle che se lo è sciroppato fino a questa disperata partnership, per tutto lo sciagurato Paese che vive, da vent’anni, in ostaggio di un uomo che altrove (vedi Bernard Tapie in Francia) sarebbe stato rimesso al suo posto in un paio d’anni al massimo. Ieri era Nitto Palma, oggi una sentenza, domani un nuovo scontro al penultimo sangue tra avvocati, magistrati e parlamentari sempre inchiodati alla stessa croce. È politica, questa? O è la sua sospensione fino a nuovo ordine? 
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