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LA REPUBBLICA del 6 febbraio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Nella sarabanda di vado, vengo, torno, rimango dei vari deputati nei vari gruppi parlamentari si cerca invano un bandolo politico, qualcosa che rimandi alla famosa "battaglia delle idee". Nel nome della quale ci si è scannati per secoli, allegando però a quelle pratiche cruente il non piccolo codicillo di sapere perché, per cosa ci si scannava. Ora le porte sbattono, e gli insulti volano, all’ insegna di un minuto e misterioso narcisismo, illeggibile se non dai diretti protagonisti. Detto "io" si crede di avere detto tutto, come se quell’ io bastasse, da sé, a motivare lo strappo, il tradimento, il pentimento. Se le ideologie erano sistemi troppo rigidi, che imponevano discipline e gerarchie para-militari (militare e militante sono termini quasi sovrapponibili), ora ciascuno risponde solo a se stesso. Ma il "se stesso" è un attore troppo fragile, perché espone – ben più del discrimine ideologico – alle accuse di avidità, cialtroneria, indegnità morale che infatti si affastellano contro i vari transfughi. Sarebbero derisi e disprezzati con meno foga se potessero dire di avere tradito, o tramato, o ceduto perché sopraffatti da cause più grandi di loro (il socialismo, il libero mercato, la monarchia, Dio, varie ed eventuali). Invece fanno tutto per se stessi, e se uno non è perlomeno Gandhi o Mandela o Bonaparte, agire per se stesso è davvero il più futile dei moventi.

LA REPUBBLICA del 13 marzo 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Leggere le cronache su alcune inchieste giudiziarie (vedi le recenti indagini sulla cosiddetta P4 e il faccendiere di Stato Bisignani) e capirci pochissimo è tutt´uno. La colpa non è dei giornalisti, che cercano di raccontare quello che riescono a sapere. Né dei giudici, che cercano di dissotterrare i reati da una spessa coltre di segreti e silenzi. La colpa (dal suo punto di vista un merito) è di un potere politico ed economico che mai come in questi anni è riuscito a rendersi imperscrutabile, opaco, fuori controllo. Riusciamo a capire solo che gli interessi, le alleanze, gli scontri che determinano molte delle scelte nevralgiche per la collettività (gli appalti, il controllo del credito, la spartizione dei profitti) agiscono in una zona d´ombra, al riparo di ogni forma di controllo istituzionale, di visibilità pubblica, insomma di democrazia. Molto potere e molti quattrini in poche mani, zero potere e pochi quattrini nelle mani di tutti gli altri. E´ sempre stato così? Forse sì. Ma in un clima politico meno rassegnato, più integro, la scoperta della P2 destò, nell´Italia di allora, uno scalpore enorme. P3, P4 e domani P5 e P6 possono contare su un vantaggio enorme: la disarticolazione della politica e la nostra rassegnazione. Due facce della stessa medaglia. 

LA REPUBBLICA del 15 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
In fondo alla scala sociale, sotto al girone dei disoccupati, a quello dei cassintegrati, a quello dei senza tetto, a quello degli emarginati, che cosa c´è? Ci sono la povera Ruby Rubacuori e i suoi tristi impresari, che la esibiscono nei localini di provincia e neanche le pagano il salario (vedi le cronache, di strabiliante squallore, della sua mancata esibizione pugliese). C´è il tira-tira e il piglia-piglia di un sottobosco di aspiranti famosi, di mancati attori, di mezzi ospiti di trasmissioni minori, alla ricerca di una paparazzata che li renda visibili almeno alla mamma e alle zie. Un mondo di finta ricchezza e di penuria sostanziale, che noleggia la limousine ma non ha i soldi per pagare la bolletta della luce, che ha la borsa di Vuitton ma si deve fare imprestare un letto per dormire, o pagare l´affitto da qualche riccone attizzato. Parcheggiati nell´anticamera dei Grandi Fratelli, stakanovisti del provino, proletari dello show-business, portoghesi del jet-set. Un´umanità che si crede eccessiva perché tira mattino, ma è solo eccedente, fuori dai cancelli della Grande Fabbrica televisiva, vivacchiante ai margini dei riflettori. Mette angoscia pensare a una ragazza di diciotto anni che rimbalza come una pallina da flipper tra una discoteca di paese e una promessa truffaldina, destinata a misurare, presto o tardi, l´imbroglio terribile di un successo vuoto, senza talento, senza merito, senza approdo.

LA REPUBBLICA del 16 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Mentre i sondaggi, e più in generale l’umore del Paese, lasciano intendere la possibilità di un’alternativa politica, lo scambio di insolenze tra Grillo e De Magistris ci riporta alla realtà. L’opposizione è un campo di battaglia tra leader e leaderini occupatissimi a vantare una caratura di "purezza" superiore a quella del vicino di pianerottolo. Queste persone sono terminali di speranze, di umori di cambiamento, di voti (specie giovanili). Ma evidentemente non se ne sentono responsabili. Da solo, ognuno di loro conta come il due di picche (anche se presume di essere almeno il tre), eppure maneggia la sua scheggia di consenso come un’arma contro la concorrenza. Primo tra gli ultimi: questo è evidentemente l’obiettivo che si danno questi concessionari della pubblica indignazione.
 
A sinistra del Pd, e comunque fuori da esso, c’è una marea di voti dispersa in cento rivoli. Tra i voti in sonno degli astensionisti (milioni) e il voto irrequieto che si riversa su Idv, Sel, Cinque Stelle, Verdi e altre particole, stiamo parlando di un quinto e forse un quarto dell’elettorato italiano: il doppio della Lega. Non solo l’umiltà, anche l’intelligenza vorrebbe che i gestori di questo patrimonio non lo dilapidassero. Dei loro sbocchi di narcisismo noi non sappiamo che farcene. Berlusconi sì. 

LA REPUBBLICA del 29 gennaio 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Pure se agghiacciante nelle intenzioni e disgustoso nei toni, l’ attacco del Giornale di Berlusconi a Ilda Boccassini è puramente, classicamente comico. Il principale capo d’ accusa è che Boccassini sarebbe stata vista nel 1982 (trent’ anni fa) mentre baciava «un giornalista di sinistra», per giunta in un’ area non lontana da Palazzo di Giustizia: almeno si fossero baciati mentre erano in gita sui laghi, gli svergognati. Tecnicamente parlando, si tratta della perfetta parodia di una campagna di stampa. Se questo è il massimo sforzo che la famosa macchina del fango è in grado di produrre, Berlusconi farebbe bene a richiamare immediatamente Feltri, che se c’ era da infamare qualcuno almeno lo infamava ben bene, come ha fatto col povero Boffo. Vero è che il clima è talmente infuocato e le urla così alte che tutto pare indistinto, arruffato, uguale: come dice Saviano proprio questo è l’ obbiettivo, far credere che tutti si sia ugualmente sozzi, loschi e compromessi. Ma perfino in questo saloon, e nel pieno della sparatoria, dovrebbe valere un minimo sindacale anche per i colpi bassi. Se anche l’ odio politico, la calunnia, la bava alla bocca sono di serie b, che cosa ci resta, di serie a, in questo povero paese? 

LA REPUBBLICA del 15 maggio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Come si dice al bar, quattro milioni e mezzo di euro un’operaia o un’impiegata non li guadagnano in una vita, anzi in due. Questo mi pare il succo della vicenda Ruby, paradigma di un periodo non memorabile della nostra storia patria. Il processo, poi, per sua natura insegue il brutale discrimine tra colpa e innocenza, e si capisce che mobiliti tifoserie. Ma quella montagna di quattrini rimane, è lì, più eloquente di qualunque requisitoria e di qualunque arringa difensiva. Fosse un “sistema prostitutivo” o una cornucopia per allegre baccanti, descrive comunque la totale perdita di rapporto tra il denaro e il lavoro, tra il denaro e il merito, tra il denaro e il talento: è la cosa più “contro il mercato” che si possa concepire. Un monumentale errore di sistema. Un imprenditore, specie se si vanta di esserlo ogni due secondi, non può (e non deve) ignorare il valore del denaro al punto di alterarlo così orribilmente. Dire che “ognuno in casa propria fa quello che vuole”, come ripetono i tifosi più ostinati di Berlusconi, può valere come attenuante per lui, non per loro. Non per l’esercito di timorati risparmiatori che frigna per riavere duecento euro di Imu ma vota per un signore che si fa sfilare di tasca un patrimonio da un plotone di ragazzine fameliche. 

LA REPUBBLICA del 14 maggio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Si sente in giro, tra le persone in genere munite di passione civica, uno strano umore, chissà se di sfinimento, o di smarrimento, o di resa, che riassumerei così: qualunque cosa accada, io non posso farci più niente. È come se il gioco della politica fosse stato posto sotto sequestro dalle pubbliche autorità. È in mano loro, in qualche stanza chiusa, e lo si gioca a un tavolo ancora più esclusivo – se possibile – di quello al quale ci eravamo abituati: attorno al quale, perlomeno, ci si assiepava per fare il tifo, credendo o illudendoci di spalleggiare questo o quel giocatore con il calore della nostra presenza. C’è da chiedersi se chi ha architettato questa stretta politica (“larghe intese” è quasi un ossimoro: sono state decise in molto ristretta schiera) avesse messo nel conto questo effetto di ulteriore straniamento. E, nel caso lo avesse messo nel conto, se ne è contento, perché proprio questa era la mira, levare la politica di mano a chi non è abbastanza cauto, abbastanza professionista; oppure se questa lontananza lo spaventa, ne avverte il peso, la patologica cappa di silenzio. Chi fa politica, da sempre, non può odiarla al punto di non capire che questa situazione è anormale, penosa come una partita giocata a porte chiuse, in uno stadio vuoto. 

LA REPUBBLICA del 17 luglio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
L’intervista di Repubblica tivù a Giulia Kyenge, figlia diciassettenne del ministro Cécile, è la risposta più festosa e più vitale che il razzismo possa ricevere. (L’unico rischio è che l’intelligenza e la fresca bellezza di Giulia possano aumentare quel complesso di inferiorità, esplicito o inconscio, che è la vera molla del razzismo). Giulia è sicura che ai razzisti basterebbe conoscere il mondo e viaggiare per cambiare opinione. Ha quasi ragione. Solo quasi, perché all’uomo bianco viaggiare non è sempre bastato per capire gli altri popoli e le altre culture; e anzi, uno degli ingredienti del razzismo “moderno” fu la scoperta del “selvaggio”, ovvero dell’uomo integrato nella natura fino a farne parte, considerato “meno umano” proprio perché più saldamente legato al proprio ambiente naturale. Una eco di questo equivoco era presente anche nella spiritosaggine razzista di Calderoli. Ma nel momento in cui l’uomo bianco è costretto a fare i conti con la devastazione ambientale, il vecchio pregiudizio sul “selvaggio” appeso ai rami, magari da esporre in gabbia come avvenne fino ai primi del Novecento in Europa, suona, se possibile, ulteriormente stupido e ulteriormente dannoso. 

LA REPUBBLICA del 9 maggio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
A i fautori delle larghe intese sfugge la folle anomalia italiana. Qui non si tratta di superare o smussare le differenze ideologiche tra destra e sinistra, compito improbo ma concepibile in tempi di emergenza sociale. Si tratta di fare finta che non gravino, sul leader di uno dei due schieramenti, processi e sentenze; di disinnescare uno scontro ventennale non sull’Imu o altre somme e sommette, ma sull’indipendenza della magistratura e sulla giudicabilità del potere politico. Così che ad ogni stormire di scartoffia, ad ogni refolo di tribunale, tutti tremano e sono costretti a sperare che una tregua o una distrazione o un caritatevole trucco possano rimandare a chissà quando il Giorno del Giudizio, che non varrà – capite la pazzia – solo per Lui, varrà per tutti, per il governo, per la legislatura, per la destra idolatra che se lo è scelto senza fiatare, per la sinistra imbelle che se lo è sciroppato fino a questa disperata partnership, per tutto lo sciagurato Paese che vive, da vent’anni, in ostaggio di un uomo che altrove (vedi Bernard Tapie in Francia) sarebbe stato rimesso al suo posto in un paio d’anni al massimo. Ieri era Nitto Palma, oggi una sentenza, domani un nuovo scontro al penultimo sangue tra avvocati, magistrati e parlamentari sempre inchiodati alla stessa croce. È politica, questa? O è la sua sospensione fino a nuovo ordine? 

LA REPUBBLICA del 5 maggio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Che Berlusconi (con tutto il rispetto) non sia un padre costituente, è come dire che Califano (con tutto il rispetto) non era De André. Sono ovvietà. Per altro, se uno con il Pdl ci fa addirittura un governo, diventa abbastanza difficile interdire allo stesso Pdl il diritto di indicare il proprio capo per un incarico di grande prestigio, del quale vantarsi, all’occorrenza, con le signore. Pare di capire che molti uomini del Pd pretendano dal Pdl una specie di muta fedeltà, come Mandrake con Lothar. Che serva la causa delle larghe intese e non disturbi troppo. Che sia prestante quando si tratta di sollevare pesi e votare leggi, ma non si monti troppo la testa. Dispiace dover far presente che il Pdl, oltre a non essere Lothar, è quella cosa lì, ben nota da parecchi anni: il partito di Silvio Berlusconi, con la Biancofiore, la Michela Brambilla, il Brunetta, il Sacconi e tutto il resto. Pare invece di cogliere, nell’atteggiamento del Pd rispetto ai suoi partner di governo, una sorta di amareggiata sorpresa: ma come? La Biancofiore alle pari opportunità? Berlusconi alle riforme costituzionali? Come se si aspettassero Bismarck o Churchill. Che poi, per dirla tutta, non è neanche cortese condividere con qualcuno una tranche de vie così impegnativa come un governo, e poi fare gli schifiltosi se quello non è abbastanza di mondo. 
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