LA REPUBBLICA del 24 febbraio 2013
Amici mi telefonano in fibrillazione, altri angosciati, “se vince il Bugiardo io questa volta espatrio davvero”, “se vince il Matto va a catafascio il paese”, “se vince Bersani tanto poi non può governare”, “su due elettori uno è un imbecille certificato”, “la gente vota col portafogli o con la pancia, mai col cervello”, “la zia di mia moglie è una nazista”, e tutto il repertorio, ragionevole ma lugubre, sulla democrazia ammalata… Io invece, per motivi certamente irragionevoli, ma immutati nei decenni, vado a votare sempre di buon umore. Ho perso quasi tutte le elezioni dal 1974 a oggi, e dunque dovrei avere maturato, a proposito del voto, una radicata ostilità. Ma ci ricasco ogni volta, e ci ricasco volentieri, vado al seggio carico di rispetto e di fiducia, se incontro la zia nazista del mio amico la saluto e non mi sembra neanche così nazista, forse è il mio amico che è paranoico. Dove voto io sta nevicando forte, e la neve, a patto che uno non dia retta ai telegiornali che ne parlano come di una piaga biblica, mi mette di buon umore. Andrò a votare con il berretto di lana. Credo che abbia ragione quel mio amico: “Su due elettori, uno è un imbecille”, e quello imbecille sono io.
LA REPUBBLICA del 23 marzo 2013
Negli ambienti diplomatici circola un test, da sottoporre ai laureandi in politica internazionale e agli aspiranti ambasciatori come prova cruciale di ammissione. Il test è composto di una sola domanda: attraverso quali decisioni e quali atti ufficiali sarebbe possibile peggiorare le prestazioni del governo italiano nel caso dei due marò contesi con l´India? Queste le possibili risposte. A – Restituire uno solo dei marò tenendosi l´altro. B – Restituirli tutti e due, però muniti di turbante perché possano fingere di essere indiani e passare inosservati tra la folla. C – Pretendere che il tribunale indiano sia presieduto da un ammiraglio italiano in alta uniforme, accompagnato dalla Banda della Marina. D – Affidare la difesa dei due marò all´avvocato Taormina. E – Sostenere nel processo in India che le vittime non potevano essere pescatori indiani, perché gli indiani non sanno pescare. F – Pretendere dalle autorità indiane un congruo risarcimento per lo spreco di pallottole. G – Ricoverare i due marò al San Raffaele per accertamenti su un´eventuale uveite. H – Sostenere che la giurisdizione sull´Oceano Indiano è notoriamente di competenza della Pretura di Caserta. I – Invadere l´India. L – Indire una conferenza stampa e scoppiare in un pianto dirotto.
LA REPUBBLICA del 8 gennaio 2013
Si può anche capire che monsieur Depardieu, preoccupato per l’assottigliarsi delle sue scorte pantagrueliche di formaggio, porchette e damigiane di vino, sia irritato con il fisco del suo Paese. Si può capire, anche, che madame Bardot, addolorata per la malattia che affligge due anziane elefantesse dello zoo di Lione, sia furente con il servizio veterinario nazionale che non provvede a ricoverare i pachidermi in una clinica per lungodegenti, magari cacciando un paio di magrebini (Bardot, sposata a un fervente lepenista, non li sopporta). Quello che si capisce meno è che le due popolari star abbiano scelto come patria adottiva la Russia di Putin, paese che nel campo dei diritti arranca, e dista dalla Francia un paio di secoli. Probabile che chez Putin il fisco sia meno penalizzante (non per caso le immense ricchezze di quel Paese sono in mano a pochi oligarchi, che lo hanno depredato). Incerto il trattamento mutualistico riservato agli elefanti. Certissimi, invece, la galera per le Pussy Riot, la persecuzione (fino all’assassinio) delle voci libere come la Politkovskaja, lo spregio “virile” per gli omosessuali, il nazionalismo isterico, il neointegralismo religioso “di Stato”. Il putinismo di Depardieu e Bardot è così ridicolo da rivaleggiare con quello, già leggendario, dell’amico Silvio.
LA REPUBBLICA del 28 febbraio 2013
Vedremo (e sentiremo) cose che voi umani non avete mai visto e sentito. Decida ognuno se spaventarsi o gioire, la sola cosa certa è che le chiuse del tempo si sono spalancate di colpo, dopo molti anni di stagnazione. Quando Grillo candida al Quirinale Dario Fo che candida Carlo Petrini, chi storce il naso si domandi se lo storce perché ha a cuore le sorti della Repubblica o perché ha a cuore solo le proprie abitudini e le proprie categorie di giudizio. Spetta a tutti, di qui in poi, uno sforzo gigantesco per evitare le due evidenti maniere di diventare patetici. La prima è manifestare raccapriccio e sgomento per ognuna delle tante nuove cose con le quali ci toccherà fare i conti (e saranno anche conti con noi stessi). La seconda è manifestare entusiasmo a prescindere, come chi si accoda al nuovo solo per il terrore di sentirsi vecchio. Siamo in mezzo a un’onda di piena, nuotare o annegare è questione di sfumature.
LA REPUBBLICA del 24 marzo 2013
Non so se sia una considerazione lieta o triste: ma bastano poche ore lontano dall’Italia e passa il magone. Forse è solo una fuga. Il sollievo di allontanarsi dal livore e dall’impotenza che paiono i due binari lungo i quali arranchiamo. Forse, invece, è un ritorno alla normalità: la normale urbanità, la normale educazione, la normale mancanza di aggressività che dovrebbe segnare il ritmo della società quando si è fuori dalle guerre o dalle oppressioni o dalla fame. Il paragone tra l’Italia e gli altri paesi europei (anche quelli più poveri del nostro, dove la gente è vestita peggio, le automobili più vecchie, i negozi più modesti) sta diventando impietoso. Parlo della vita quotidiana – il traffico, le cose da sbrigare, i rapporti formali con gli altri – quella che dà tono all’umore sociale quasi quanto lo stato dell’economia. Viene spontaneo, quando si è all’estero, pensare che l’Italia stia diventano un paese “cattivo”, dove il malanimo reciproco è fuori controllo, le ostilità sociali non più temperate dalla politica. Non era questo, un tempo, il nostro segno distintivo: il mito della dolce vita e del buon vivere ci rendevano “simpatici”, e invidiati malgrado la fama di pasticcioni e di furbi. Ora mi capita – ed è un rovesciamento imprevisto – di trovare molto più dolce la vita all’estero; e molto più simpatici gli sconosciuti passanti di città a un paio d’ore d’aereo da noi.
LA REPUBBLICA del 9 gennaio 2013
L’indissolubile comparaggio tra Lega e Berlusconi deve avere radici ben solide se riesce a resistere ad ogni sussulto e ogni separazione. Queste radici sono riassumibili nel fastidio invincibile che una parte rilevante della piccola borghesia italiana ha per lo Stato, le tasse, le regole, la Costituzione, l’antifascismo, insomma per la Repubblica così come è nata, si è formata e bene o male ha percorso quasi settant’anni di vita nazionale, in evidente scollamento con una parte non piccola di italiani che non si sente repubblicana e in casi estremi (il secessionismo) neanche italiana. Il risultato elettorale dell’ennesimo remake forzaleghista (rubo la definizione a Gad Lerner) ci dirà a che punto è l’implacabile lotta di quel pezzo di Italia contro l’Italia. Dubito che le ruberie nelle istituzioni, la triste avidità del clan Bossi, le crapule di Arcore, tanto meno gli episodi di razzismo che (da anni) fioriscono in quel campo siano determinanti per quell’elettorato. Che non ha mai brillato per scrupolo etico. Determinante sarà la voglia di credere ancora che “Silvio” sia in grado di ribaltare il tavolo, come promette di fare, senza successo, ormai da anni. Poiché quel tavolo appare più solido, e Berlusconi più vecchio e debole, è molto probabile la sua definitiva sconfitta.
LA REPUBBLICA del 18 ottobre 2012
Si leggono sui giornali approfondite analisi sui perché e sui percome dal probo movimento collettivo fondato nei lontani Sessanta da don Luigi Giussani abbia potuto germogliare un narciso pazzesco come il Formigoni, per non dire di tutto quel business attorno a ospedali e scuole, e quel piazzare primari e présidi sul territorio come neanche il più pervasivo e maneggione dei partiti politici. Per la verità, tenderei a scaricare dalle spalle del Formigoni parte del peso di queste domande. E retrodatare di parecchio il mistero di Cl: perlomeno a quando il leader di riferimento dei ciellini, la loro star indiscussa, era Giulio Andreotti, con il suo memorabile entourage di Evangelisti, Sbardella e Salvo Lima, che parevano sortire dalle sceneggiature malevole dei cineasti comunisti. Ecco, io è da lì in poi (cioè da una trentina d’anni a questa parte) che capisco di non essere all’altezza di quella questione. Di non capirla proprio. Va bene, don Giussani e Andreotti sono entrambi cattolici. Ma anche Gino Strada e La Russa sono tutti e due interisti: non vedo, però, altro nesso.
LA REPUBBLICA del 14 dicembre 2012
È stato chiarissimo, siete voi che non avete capito. Ha detto che nell´ipotesi che Monti si candidi a capo della coalizione che, pur stimandolo, gli ha appena tolto la fiducia, allora lui non si candida, ma mantiene la candidatura, forse la sua forse quella di Alfano, nel caso che Monti non si candidi oppure si candidi per una coalizione che non comprende il Pdl, tenendo fermo il fatto che Alfano è il candidato ideale ovviamente se non si candida lui stesso oppure Monti, a patto che la Lega accetti Monti nella coalizione dopo avere chiarito che quando la Lega gli dava del maledetto vampiro, a Monti, non si riferiva alla persona di Monti ma al governo Monti, perché l´alleanza con la Lega non è in discussione ma neanche il ruolo di Monti nell´eventuale ruolo di candidato di tutti i moderati dei quali lo stesso Berlusconi è comunque il garante tanto se si candida quanto se non si candida, nel quadro di una sicura visione europea perché l´Europa deve smettere di imporci il ricatto dello spread il quale del resto, votando alla fine di febbraio o all´inizio di marzo, ma volendo anche nei mesi estivi, subirà delle variazioni che non possono avere alcuna influenza sulla candidatura sua, di Alfano oppure di Monti.
LA REPUBBLICA DEL 9 DICEMBRE 2012
Nemmeno la più devota delle olgettine sarebbe riuscita a concepire, a proposito della ririririridiscesa in campo del sedicente Silvio, una dichiarazione come quella del sottosegretario all´Economia Polillo. Secondo il quale se B. ha deciso di reiterare le sue molestie aggravate a questo povero Paese, la colpa è del centrosinistra. "In discussione – dice Polillo – non è tanto il governo Monti, ma l´alterazione dei rapporti di forza che le primarie del centrosinistra hanno determinato. Berlusconi non poteva fare altrimenti". Sì, avete letto bene. Se il centrodestra, invece di fare a sua volta le primarie, si è lasciato incaprettare senza un lamento da colui che lo porterà alla distruzione finale, la colpa è di chi le primarie invece le ha fatte, e ha scelto il suo candidato premier "alterando i rapporti di forza"… Il ragionamento, prima ancora di essere fazioso, è così bizzarro che sembra provenire da Marte (c´è una Roma di corridoio e di sottopotere, della quale Polillo è un tipicissimo abitante, che con la realtà sociale e politica del paese ha scarsa dimestichezza). Ha però un pregio: ci fa memoria del fatto che Polillo è membro autorevole proprio di questo governo, non di altri. Circostanza che ci aiuterà ad accettarne più serenamente la fine.
LA REPUBBLICA del 23 ottobre 2012
In una delle tante trasmissioni radio e tivù recentemente riciclate nel genere “dagli alla Casta” (gettonatissimo, ma a rischio di inflazione), il conduttore ha raccontato l’ultima impresa della Polverini spiegando che ha usato l’auto di scorta per andare a comperare, in contromano, “un paio di scarpe di gran lusso”. Mi è tornato alla mente un magistrale titolo di “Cronaca vera” di tanti anni fa: “Violenta la cognata su un tappeto di gran pregio”. Nel quale l’efferatezza del crimine viene esaltata, come si intende, dalla cornice di sfrenato comfort nel quale matura. Come è ovvio, il gesto della Polverini sarebbe stato ugualmente censurabile anche se fosse andata all’Upim, o a prendere un caffè da sua zia. Ma specificare che puntava a un paio di scarpe “di gran lusso”, in tempi di crisi, rende lo scandalo, diciamo così, più scandaloso. Allo stesso modo, quando sui giornali si vuole fare polemica contro questo o quello, si scrive che è “lautamente pagato”. Nessun cattivo, se notate, è mai normalmente pagato. Tutti lautamente. E calpestano tappeti di gran pregio calzando scarpe di gran lusso.