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LA REPUBBLICA del 6 marzo 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Molto in auge anche grazie all’onda travolgente delle Cinque Stelle, il web aggiunge al dibattito politico molto di utile e molto di nuovo; ma anche tonnellate di tossine, e di informazione di qualità infima. Torme di cialtroni, di esaltati, di fanatici si muovono a meraviglia dentro quei materiali in pillole e quei ritmi sincopati, profittano della velocità e del fracasso per isolare la frase o la parola e ricamarci sopra un mondo intero di illazioni, dicerie, accuse, infamità assortite. Per attenerci solo alle ultime ore, a parte un paio di allegre minacce di morte al sottoscritto (ma quelle fanno parte del folklore), ecco un bouquet di “opinioni” rimbalzate in rete: Grillo copia i suoi discorsi da Hitler, la capogruppo di 5 Stelle è una fascista, Renzi è già d’accordo con Berlusconi, Stefano Benni è andato a trovare Grillo perché è una spia comunista, Bersani è andato da Fazio portandosi la claque (era il fan club di Malika Ayane, ndr). Se c’è qualcuno che non sa nulla, lo twitta immediatamente. Se c’è qualcuno che odia qualcun altro, il computer è la sua clava. Sarà anche vero che il web si autocorregge e si autoemenda, come dicono i fiduciosi. Ma nel frattempo: quanta merda, ragazzi. 

LA REPUBBLICA del 2 marzo 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Si riparla, per il povero Berlusconi, di un’uscita di scena “da Caimano”, aizzando la folla dai gradini di uno dei tanti palazzi di Giustizia che è costretto a frequentare. C’è però una clamorosa novità che neanche Nanni Moretti e i suoi sceneggiatori potevano prevedere: che la drammatica scena possa svolgersi in secondo piano, e quasi in ombra, e boati e bagliori ci arrivino come un’eco lontana (lontana nello spazio e nel tempo). Lui non è più al centro della scena: abbiamo ben altro a cui pensare. E le sue sorti personali – alle quali parevano appese come un trascurabile accessorio anche le nostre — non sono più decisive, se non per lui. Perfino il colpo di maglio giudiziario che gli arriva non dalla “comunista” procura milanese, ma dalla imprevista Napoli, con la terribile accusa di avere comperato e corrotto un senatore, arriva attutito all’opinione pubblica. Come qualcosa che cade in un recipiente già troppo colmo. Come l’ennesima puntata di un serial che non è più di moda, e sta perdendo progressivamente, spettatore dopo spettatore, tutto il suo pubblico. 

LA REPUBBLICA del 21 marzo 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Nel gran parlare che si fa a proposito degli “italiani di alto profilo” candidabili per Palazzo Chigi o per il Quirinale o per un ministero, consola scoprire che questi italiani e italiane esistono, non sono pochi, e danno l’idea che uno straccio di classe dirigente, tutto sommato, ce la siamo meritata. Tra i tanti nomi letti oppure colti nelle chiacchiere di questi giorni, mi bastano quelli di Stefano Rodotà, Anna Maria Cancellieri, Valerio Onida, Salvatore Settis, Emma Bonino, Carlo Petrini, Gustavo Zagrebelski per immaginare un paese migliore, più competente e dignitoso: ma ognuno ha i suoi, di nomi spendibili. Se poi questa illustre pattuglia potesse giovarsi anche di qualche politico (ce ne sono, di persone di alto profilo e solida competenza, anche nella famigerata “casta”) sarebbe il massimo. Ma sentendo gli umori e leggendo i giornali pare di intendere che nell’attuale passaggio d’epoca avere fatto politica in questo Paese, comunque la si sia fatta, per qualunque fine e con qualunque mezzo, sia di grande ostacolo. I politici, nella politica, partono svantaggiati. Non tutti se lo meritano, ma non è questo il punto. Il punto è che di persone brave avremmo talmente bisogno che cancellare dal novero i politici di talento, e per bene, è davvero un lusso. Speriamo di poter tornare presto, come ovunque nel mondo, a considerare legittimo che i politici facciano politica. 

LA REPUBBLICA del 28 febbraio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Vedremo (e sentiremo) cose che voi umani non avete mai visto e sentito. Decida ognuno se spaventarsi o gioire, la sola cosa certa è che le chiuse del tempo si sono spalancate di colpo, dopo molti anni di stagnazione. Quando Grillo candida al Quirinale Dario Fo che candida Carlo Petrini, chi storce il naso si domandi se lo storce perché ha a cuore le sorti della Repubblica o perché ha a cuore solo le proprie abitudini e le proprie categorie di giudizio. Spetta a tutti, di qui in poi, uno sforzo gigantesco per evitare le due evidenti maniere di diventare patetici. La prima è manifestare raccapriccio e sgomento per ognuna delle tante nuove cose con le quali ci toccherà fare i conti (e saranno anche conti con noi stessi). La seconda è manifestare entusiasmo a prescindere, come chi si accoda al nuovo solo per il terrore di sentirsi vecchio. Siamo in mezzo a un’onda di piena, nuotare o annegare è questione di sfumature. 

LA REPUBBLICA del 24 marzo 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Non so se sia una considerazione lieta o triste: ma bastano poche ore lontano dall’Italia e passa il magone. Forse è solo una fuga. Il sollievo di allontanarsi dal livore e dall’impotenza che paiono i due binari lungo i quali arranchiamo. Forse, invece, è un ritorno alla normalità: la normale urbanità, la normale educazione, la normale mancanza di aggressività che dovrebbe segnare il ritmo della società quando si è fuori dalle guerre o dalle oppressioni o dalla fame. Il paragone tra l’Italia e gli altri paesi europei (anche quelli più poveri del nostro, dove la gente è vestita peggio, le automobili più vecchie, i negozi più modesti) sta diventando impietoso. Parlo della vita quotidiana – il traffico, le cose da sbrigare, i rapporti formali con gli altri – quella che dà tono all’umore sociale quasi quanto lo stato dell’economia. Viene spontaneo, quando si è all’estero, pensare che l’Italia stia diventano un paese “cattivo”, dove il malanimo reciproco è fuori controllo, le ostilità sociali non più temperate dalla politica. Non era questo, un tempo, il nostro segno distintivo: il mito della dolce vita e del buon vivere ci rendevano “simpatici”, e invidiati malgrado la fama di pasticcioni e di furbi. Ora mi capita – ed è un rovesciamento imprevisto – di trovare molto più dolce la vita all’estero; e molto più simpatici gli sconosciuti passanti di città a un paio d’ore d’aereo da noi. 

LA REPUBBLICA del 16 aprile 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Ma Stefano Rodotà, per esempio, è da considerarsi “un politico”, e dunque un contaminato, oppure no? Capita che una delle persone più rispettate e stimabili di questo Paese, per giunta dotato di alta cultura istituzionale, sia stato, tra le tante altre cose, quattro volte deputato, presidente di un partito (il Pds) e vicepresidente della Camera. La sua intera esistenza è fortemente innervata di passione politica e di attività politica. Ha riscosso, da politico, regolare stipendio. Viene da domandarsi, dunque, se il conclave delle Cinque Stelle (webbico, ma non molto più numeroso del conclave vero), valutando la candidatura del cittadino Rodotà, abbia considerato con sospetto il suo curriculum, oppure abbia dovuto ignorarlo pur di mantenere Rodotà nella rosa. Mi basterebbe che uno solo, dico uno solo dei militanti grillini rifletta (grazie a Rodotà o anche alla Bonino) su quanto sia assurdo considerare l’appartenenza ai partiti come una colpa o uno svantaggio. Ci sono emeriti mascalzoni e notevoli coglioni anche fuori dai partiti. Osteggiare o favorire una candidatura sulla base di un pregiudizio così ridicolo da assomigliare a una superstizione è una colpa che i cinquestellati si infliggono da sé soli. Non glielo ha ordinato il medico. 

LA REPUBBLICA del 9 febbraio 2013 

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Non era meglio la vecchia lotta di classe, piuttosto che il rancoroso e fragile borbottìo che ne ha preso il posto? Parlo della stonatissima polemica contro la figlia di Pietro Ichino, che ha il torto di lavorare (pensate che scandaloso privilegio!) in una casa editrice. La vecchia cultura di classe, piuttosto che sollevare sgradevoli e inutili casi personali, avrebbe messo l’accento sul vantaggio culturale e sociale che deriva dall’appartenenza alla borghesia urbana: vedi don Milani e la sua celebre considerazione sul padrone che è tale perché conosce più parole dell’operaio. Non faceva nome e cognome del padrone, don Milani. Parlava in generale perché voleva parlare di tutti e voleva parlare a tutti. Forse che questo rendeva meno forte, meno preciso il suo pensiero? Pensare politicamente vuol dire capire (o cercare di capire) la struttura della società e provare poi a cambiarla, non certo regolare conti personali. La polemica contro i “figli di”, con nomi e cognomi a volte congrui a volte del tutto ingiustificati, puzza di agitazione populista, non di ragionamento politico. 

LA REPUBBLICA del 2 aprile 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Dire che la situazione politica è oscura è dire poco. Anche i più esperti meccanici istituzionali stanno consultando il libretto di istruzioni nella speranza di ridare regolarità a un motore che fa rumori stranissimi, e sempre più fiochi. Se la curiosa trovata dei “dieci saggi” è stata accolta solo da un borbottio poco convinto e non dalle solite urla ostili, è perché nessuno è sicuro di avere una soluzione in tasca, e perfino il famosissimo blog di Grillo, che ha una parola definitiva per ciascuno dei problemi che affliggono l’umanità, inganna il tempo indicendo strambe primarie per il Quirinale, aperte ai soliti (pochi) membri di quel riservatissimo club. La sola certezza è che una politica sempre meno comprensibile è una politica sempre più ammalata, distante, alchemica. Roma in questi giorni è lontanissima da tutto e da tutti, forse anche da se stessa. Non trova neanche le parole per dire della propria impotenza, e forse del proprio spavento. Il primo che chiedesse aiuto con le mani nei capelli, tra quei signori in giacca a cravatta che passano la vita rilasciando dichiarazioni ai telegiornali, avrebbe tutta la nostra comprensione. Dev’essere durissimo passare tutta la vita fingendo di sapere che cosa si sta facendo, che cosa si sta dicendo. 

LA REPUBBLICA  del 23 marzo 2013

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Negli ambienti diplomatici circola un test, da sottoporre ai laureandi in politica internazionale e agli aspiranti ambasciatori come prova cruciale di ammissione. Il test è composto di una sola domanda: attraverso quali decisioni e quali atti ufficiali sarebbe possibile peggiorare le prestazioni del governo italiano nel caso dei due marò contesi con l´India? Queste le possibili risposte. A – Restituire uno solo dei marò tenendosi l´altro. B – Restituirli tutti e due, però muniti di turbante perché possano fingere di essere indiani e passare inosservati tra la folla. C – Pretendere che il tribunale indiano sia presieduto da un ammiraglio italiano in alta uniforme, accompagnato dalla Banda della Marina. D – Affidare la difesa dei due marò all´avvocato Taormina. E – Sostenere nel processo in India che le vittime non potevano essere pescatori indiani, perché gli indiani non sanno pescare. F – Pretendere dalle autorità indiane un congruo risarcimento per lo spreco di pallottole. G – Ricoverare i due marò al San Raffaele per accertamenti su un´eventuale uveite. H – Sostenere che la giurisdizione sull´Oceano Indiano è notoriamente di competenza della Pretura di Caserta. I – Invadere l´India. L – Indire una conferenza stampa e scoppiare in un pianto dirotto. 

LA REPUBBLICA del 25 aprile 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Se Letta ce la fa, saremo di fronte al sogno di Grillo: un governo Pd-Pdl. Con l’alto patrocinio della presidenza della Repubblica, il consenso entusiasta di Berlusconi, la complicità convinta di pezzi del Pd, la rassegnazione impotente degli altri pezzi di un Pd in pezzi. Lo so, è una sintesi rozza e approssimativa. Non dà atto delle ragioni, anche rispettabili, di chi sottolinea l’emergenza, l’urgenza, la contingenza e tutti gli altri enza. Ma descrive la bruta sostanza di un esito politico durissimo da digerire per molti milioni di italiani. E tanto più duro quanto non obbligatorio, come in molti vogliono farci credere. Non lo rendeva obbligatorio il risultato elettorale (anzi!), che indicava una volontà magari scomposta, ma inequivocabile, di svolta radicale. Non lo rendeva obbligatorio il tripolarismo traballante del nuovo Parlamento, che metteva sullo stesso piano di improbabilità un’intesa Pd-M5S e un’intesa Pd-Pdl, ma un poco più improbabile la seconda almeno a giudicare dai programmi, dagli umori dei due elettorati, dalla storia degli ultimi vent’anni. È stata dunque scelta una strada evitandone un’altra. Gli attori di questa scelta (compreso lo stesso Grillo, che ha trattato la sinistra con spregio astioso) abbiano l’onestà, di qui in poi, di rivendicarla come tale: una scelta. 
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