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LA REPUBBLICA del 19 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Comunque la si pensi, la sortita di Massimo D’Alema (“e va bene, me ne vado. Ma solo se vince Bersani”) è un colpo geniale. Che sia l’ultimo, perfido machiavellismo di un leader detronizzato e vendicativo, oppure la mossa d’orgoglio di un vecchio capo che vuole salvare il suo partito dai Barbari, è una sortita che ribalta la scacchiera così come Matteo Renzi l’aveva fin qui allestita. Suscita diffidenza l’idea dalemiana, più volte ribadita, che la politica sia soprattutto una partita a scacchi. L’eccessiva fiducia nella tattica (specie nella propria) può anche portare a infilarsi nell’imbuto della Bicamerale, e far morire per asfissia, insieme ai propri calcoli personali, le speranze di una intera stagione politica. Ma in questo caso l’artifizio tattico è così spiazzante, e così perfetto, da suscitare l’applauso dell’intero stadio. Fossi nella curva renziana, applaudirei comunque, si fa bella figura e si dimostra di avere capito la lezione: puntare troppo sulla rottamazione non rischia di dare troppa importanza, dunque troppo potere, ai rottamandi? 

LA REPUBBLICA del 3 febbraio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Smentire di essere massone, quando qualcuno dice che lo sei, è quasi un riflesso pavloviano. Giusto ieri due autorevoli persone hanno scritto a questo giornale per dirlo, che non lo sono. E se lo dicono, è certamente vero. Rimane — almeno per me — il mistero di un’associazione che ha nomea di essere potentissima, ma alla quale, almeno qui in Italia, nessuno rivendica di essere iscritto; eccezion fatta per qualche anziano professore di provincia autore di volumi ponderosi e noiosissimi sulla storia della massoneria nella sua città. La massoneria è dunque tra le cose che, dopo una certa età, ci si rassegna a non capire (nel mio caso, tra le tante: la massoneria, il jazz e James Joyce). Le si attribuiscono poteri smisurati e mosse decisive; ma è curioso che nessun suo membro — vanitosi come siamo noi maschi — si vanti mai in pubblico di quei poteri e di quelle mosse. La celebre battuta di Groucho Marx, «non accetterei mai di iscrivermi a un club che abbia tra i suoi soci uno come me», nel caso della massoneria va sostanzialmente riformata: «Non capisco perché dovrei fare parte di un club che ha tra i suoi soci solo persone che negano di farne parte». 

LA REPUBBLICA del 25 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Su Claudio Scajola c’è da dire una cosa soltanto: è letteralmente incredibile che ancora faccia politica attiva dopo l’indimenticabile vicenda della casa romana pagata “a sua insaputa”. Da questa considerazione ne discende un’altra. Forse ancora più grave. Questa: che una classe dirigente incapace di mettere alla porta persone così compromesse è destinata a essere travolta, prima o poi, da un’onda feroce e indiscriminata, che nella foga confonderà – e già confonde adesso – meriti e demeriti, colpevoli e innocenti. In questo senso c’è un nesso fatale tra il caso Scajola e il caso Melandri: la nomina di quest’ultima a direttore del Maxxi suscita ostilità a prescindere, in quanto esponente politica ed ex ministro, senza che sue eventuali competenze vengano tenute in alcun conto. Paga (e altri pagheranno dopo di lei) l’incapacità di un intero ambiente che non ha saputo emendarsi, si è chiuso a riccio, si è tenuto stretto i suoi furbi, i suoi ladri, i suoi venduti, con il risultato di godere, oggi, di una impopolarità travolgente. Gli umori di massa non sanno fare troppi distinguo. Doveva farli, quei distinguo, la classe dirigente. Ora è troppo tardi. 

LA REPUBBLICA del 2 febbraio 2013

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
In bocca a Mario Monti, la battuta sulla data di nascita del Pd (che il professore farebbe coincidere con quella del Partito Comunista d’Italia, 1921) suona davvero incongrua. Se l’intenzione è accusare la sinistra di scarsa contemporaneità, viene spontaneo far notare che l’aura severamente contabile del professore rimanda dritti alla Destra storica e alla borghesia ottocentesca (volendo esser maligni, dunque, anche ai cannoni di Bava Beccaris), e non balza certo all’occhio per la sua verve scapigliata. Se invece l’idea era rinfacciare alla sinistra di ogni epoca e di ogni landa i suoi lombi “comunisti”, beh quello non è un argomento buono per l’elettorato centrista e moderato di Monti, e può fare colpo, piuttosto, sulla piccola borghesia reazionaria e non proprio coltissima che adora il sedicente Silvio. Il quale avrebbe volentieri rubato a Monti la battuta sulla data di nascita del Pcd’I-Pci-Pidiesse- Diesse-Pidì, se solo si raccapezzasse con le date: il 1921, per Berlusconi, è solo un anno come gli altri, un numero qualunque nella confusa nebulosa dei secoli e dei millenni che hanno preceduto la sua discesa in campo. 

LA REPUBBLICA del 20 dicembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Se un macellaio vi vende carne marcia, o un falegname vi consegna una sedia con le gambe rotte, non c’è cavillo giuridico che possa salvarli dall’obbligo di risarcimento. Perfino i medici sono chiamati a rispondere di eventuali lesioni dovute a cure sbagliate o interventi maldestri. La sentenza di Milano che riconosce responsabili quattro banche per avere investito il denaro del Comune nei famosi “derivati” — l’equivalente finanziario della carne marcia e della sedia con le gambe rotte — è dunque storica perché “laicizza”, finalmente, l’idea stessa che abbiamo del sistema bancario, sconsigliando, per il futuro, la classica definizione di “santuari della finanza”. Se è vero che esiste un margine di rischio (ogni investitore è tenuto a saperlo), è anche vero che le banche, negli anni precedenti il crac del 2008 e la paurosa crisi susseguente, hanno non solo accettato di trattare robaccia dal rendimento dopato e dalle basi inconsistenti; ma hanno – smerciando quella robaccia a piene mani – contribuito a renderla normale, plausibile, consigliabile. Così come il mestiere del macellaio è controllare che la carne non sia guasta, non dovrebbe una banca, fatto salvo il margine di rischio, verificare che un prodotto finanziario non sia una bufala? 

LA REPUBBLICA del 18 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Si leggono sui giornali approfondite analisi sui perché e sui percome dal probo movimento collettivo fondato nei lontani Sessanta da don Luigi Giussani abbia potuto germogliare un narciso pazzesco come il Formigoni, per non dire di tutto quel business attorno a ospedali e scuole, e quel piazzare primari e présidi sul territorio come neanche il più pervasivo e maneggione dei partiti politici. Per la verità, tenderei a scaricare dalle spalle del Formigoni parte del peso di queste domande. E retrodatare di parecchio il mistero di Cl: perlomeno a quando il leader di riferimento dei ciellini, la loro star indiscussa, era Giulio Andreotti, con il suo memorabile entourage di Evangelisti, Sbardella e Salvo Lima, che parevano sortire dalle sceneggiature malevole dei cineasti comunisti. Ecco, io è da lì in poi (cioè da una trentina d’anni a questa parte) che capisco di non essere all’altezza di quella questione. Di non capirla proprio. Va bene, don Giussani e Andreotti sono entrambi cattolici. Ma anche Gino Strada e La Russa sono tutti e due interisti: non vedo, però, altro nesso. 

LA REPUBBLICA del 1 settembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
In tempi di totale confusione ideologica, si deve a Mitt Romney una definizione rozza ma piuttosto efficace di destra e sinistra: "Mentre Obama pensa al pianeta, io penso alle famiglie americane". Ne esce l´idea di una sinistra parolaia e di una destra gretta: più o meno ciò che sono. "Obama pensa al pianeta" è una perfidia ben concepita. Per l´elettorato di Romney il pianeta è solo una remota seccatura, con tutti quei Paesi dai nomi strani che ogni tanto tocca bombardare. Ma anche l´opinione pubblica liberal e di sinistra (di tutto il pianeta) vorrebbe tanto che i suoi leader fossero un poco più concreti, anche a costo di essere meno nobilmente ispirati nei loro discorsi. Quanto alla destra, cioè alle "famiglie americane" ansiose di liberarsi dall´impiccio costituito dall´esistenza, oltre la staccionata di casa, addirittura di un pianeta, hanno sicuramente trovato in Romney un rassicurante difensore. Il loro problema è che la cognizione piuttosto vaga del resto dell´umanità fa di loro, nonostante siano i cittadini della prima potenza economica, militare, politica e mediatica del mondo, dei patetici provinciali. Spesso, per giunta, con un doloroso complesso di inferiorità nei confronti di chi si permette il lusso di "pensare al pianeta". 

LA REPUBBLICA del 25 luglio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La legge quadro per la difesa dei suoli agricoli e contro la folle cementificazione del territorio italiano (presentata dal ministro per l’Agricoltura Catania) è così importante, così giusta, così necessaria che difficilmente riuscirà a trovare applicazione. Lo so, sono pessimista, e di fronte alle cose giuste bisognerebbe sempre fare festa. Ma è davvero troppo tempo, nel nostro Paese, che la categoria del “giusto” è trascurata e negletta, resa sinonimo di “impossibile” dal cinismo e dalla mediocrità imperanti. Mi perdonerà Carlo Petrini, tra i pochi a usare la parola “giusto” come se avesse un peso politico, e per questo trattato da utopista o da minoritario da politici spocchiosi e ciechi. Ma io non ci credo, che un ministro per giunta “tecnico”, per giunta a termine, possa avere la meglio contro l’orda famelica degli speculatori, i lobbisti del cemento, l’ignoranza crassa della maggior parte di una classe politica che di territorio, di difesa dei suoli, di agricoltura ignora tutto o quasi, salvo andare a stringere la mano ai sopravvissuti quando frane e alluvioni squassano i nostri crinali abbandonati e i nostri fondovalle depredati. Mi auguro, con tutto il cuore, di avere torto. E che una cosa giusta, solo perché è giusta, possa accadere, possa vincere. 

LA REPUBBLICA del 26 luglio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Che i quaranta milioni di “prestito infruttuoso” versati da Berlusconi a Dell’Utri siano frutto di ricatto o di semplice benevolenza, è certamente cosa della massima importanza per la Procura di Palermo. Ma a me, e spero a qualche altro patetico moralista, la cifra pare oscena a prescindere. Non solo un operaio, neanche un professionista di successo si mette in tasca, in una intera vita, una cifra così smisuratamente superiore al valore del lavoro umano. No, il denaro non è lo sterco del demonio; ma è la misura del lavoro, del sudore e del talento, di quanto ognuno di noi sa e può fare per rendersi utile alla società. Perfino la munifica paga corrisposta alle ragazzuole di corte ha una qualche attinenza col lavoro, specialmente con il sudore. Ma quaranta milioni a un senatore della Repubblica, già lautamente stipendiato, già comodamente sistemato nei piani alti della società, come si giustificano? Quaranta milioni di “prestito infruttuoso”, se anche dovessero corrispondere a una regalia volontaria, sono la bestemmia di due asociali contro gli umili e gli onesti, ovviamente compresi gli sciagurati umili e i malaccorti onesti che hanno dato il loro voto a gente di questa risma. 

LA REPUBBLICA del 27 settembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Berlusconi e Dell’Utri stanno proprio invecchiando, e i loro avvocati pure. Pur di sottrarsi alla malvagia Procura di Palermo, con tutti quei piemme barbuti e comizianti, hanno brigato per far dirottare il loro processo (uno degli innumerevoli) su a Milano, proprio sulla scrivania di quella Ilda Boccassini che, almeno nell’immaginario popolare, sta a Berlusconi come Achab sta a Moby Dick, o se preferite come Topolino a Macchia Nera. Ma non potevano ingegnarsi di trovare una soluzione un poco meno rischiosa? Non so: dichiarare che tutti quei milioni sono stati trafugati da Dell’Utri su un atollo del Pacifico così da farsi giudicare dalla Procura di Bora Bora, notoriamente malleabile; fingersi pazzi e puntare all’infermità mentale (basterebbe che Dell’Utri dichiarasse al perito di possedere i diari autentici di Mussolini) ; simulare un week-end a Villa Certosa e poi fuggire in materassino, come Papillon. Tutte soluzioni più praticabili e realistiche, piuttosto che sperare di passare indenni dal vaglio dei giudici di Milano, che parlano poco ma lavorano duro. 
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