LA REPUBBLICA del 1 agosto 2012
Basta avere perso la suocera per considerarsi a pieno titolo parente delle vittime di una strage? Sembra Achille Campanile, puro umorismo nero, è invece la cronaca politica di questo pazzesco Paese, nel quale uno dei condannati per la strage di Bologna (il serial killer Giuseppe Valerio Fioravanti) e un deputato di destra non convinto della sentenza (Raisi) accusano il presidente dell’Associazione delle vittime di non essere legittimato a quel ruolo perché in quella mattanza ha perduto solamente la suocera… Ridere e piangere per la stessa notizia è cosa che capita sempre più spesso. Non sai se siano la vergogna o il ridicolo, l’ira o l’ilarità a garantire il miglior esito ai tuoi sentimenti. Nel dubbio, preferendo non fare domande a Fioravanti, è al deputato Raisi che chiediamo di chiarire meglio la sua posizione stilando una graduatoria che consenta ai parenti delle vittime di tutte le stragi di legittimarsi. È sufficiente perdere la moglie? Un figlio può bastare? E quanti punti in meno valgono, secondo Raisi, un cognato, un cugino? E un partner molto amato, ma non sposato regolarmente, vale, quanto a gravità del lutto, come un coniuge regolare, o la Chiesa metterebbe il veto?
LA REPUBBLICA del 29 agosto 2012
L’idea di un’umanità solo vegetariana (vedi le “proiezioni” riportate ieri da Enrico Franceschini su questo giornale) ha qualcosa di integralista, e tra l’altro riconduce ai nefasti tabù alimentari che quasi ogni religione adotta. E tuttavia non c’è persona sensibile e informata che non si renda conto del rovinoso dominio che l’Impero della Carne esercita sul pianeta. Quel vero e proprio ossimoro che è l’agroindustria (tabula rasa del mondo vegetale per trasformare i campi in mangimifici per gli allevamenti intensivi) sarebbe costretta ad arretrare di qualche milione di ettari se il consumo di carne si riducesse. Mangiare meno carne ridarebbe fiato alle biodiversità, ostacolerebbe la diffusione degli Ogm (che per l’agroindustria sono nati, e fuori dall’agroindustria quasi non hanno mercato), aiuterebbe l’agricoltura e i contadini a riacquistare centralità, autodeterminazione, peso economico e politico. La selvaggina (non si adombrino gli anti-caccia) è infinitamente più salubre e più “etica” della carne da allevamento intensivo. Piccola bibliografia: “Il dilemma dell’onnivoro” di Michael Pollan e “Se niente importa” di J. S. Foer.
LA REPUBBLICA del 6 settembre 2012
Sono uno dei (tanti) tifosi di Alessandro Del Piero, è un uomo intelligente e sereno, non credo che Andrea Agnelli abbia l’esatta misura di quello che la sua Juventus ha perduto congedando, con Del Piero, un pezzo di se stessa. Ora se ne va in Australia, e solamente lui può dire se a tracciare una rotta così lunga, e così insolita per un calciatore, sia un contratto irresistibile, lo spirito migrante dei veneti o il desiderio di trovare, per i suoi tre figli, un luogo dove il futuro ha qualche consistenza in più, rispetto al nostro ansimante sopravvivere. Certo è che dire “Del Piero a Sidney” è un piccolo indizio in più per valutare le nostre ristrettezze, forse anche le nostre decrepitezze. Non siamo un paese per giovani (meglio, potendo, fare studiare i figli altrove) ma neanche per vecchi, visto che un campione di trentotto anni (appena uno in più di Matteo Renzi) pur essendo una celebrità planetaria è stato messo in esubero dalla sua società come un qualunque dipendente non previsto dai piani aziendali. Lo scontro generazionale è dunque un falso storico: quando un paese perde voglia di fare, di cambiare e di inventare, non c’è età che regga il colpo, e ci si deprime tutti assieme, i vecchi e i giovani.
LA REPUBBLICA del 30 agosto 2012
Per i minatori del Sulcis è un (meritato) trionfo mediatico, anche a prescindere dal piccolo dramma in diretta, la lama sul polso, le urla, il trambusto. Quasi impossibile trovare un giornale che non ne parli bene, compresi quelli di destra. Noi commentatori, sapete, riconosciamo al volo il fascino “letterario” della miniera; così come ci piacque raccontare delle proteste d’alta quota, su gru e torri, lavoratori autosospesi tra terra e cielo; e di quegli altri sardi al confino all’Asinara, così tenaci e così spiritosi da fare la parodia dei talkshow, e definirsi “l’Isola dei cassintegrati”. Poi però, se proviamo a fare un bilancio non mediatico ma sindacale, non virtuale ma sociale, il discorso cambia. E cambia parecchio. Chi prende le decisioni – quelli che una volta si chiamavano i padroni – bada ben poco all’opinione dei giornali. Grandi popolarità mediatiche (pensate alla lotta dei minatori inglesi, che divenne anche epopea cinematografica) si sono poi tradotte in pesanti sconfitte sul campo del lavoro. Spiegava Marx la differenza tra la struttura (i rapporti di produzione, l’ossatura della società) e la sovrastruttura. Noi dei media siamo la sovrastruttura.
LA REPUBBLICA del 23 agosto 2012
Il senso delle istituzioni non è mai mancato agli uomini dell’ex Pci. È una virtù, specie in un paese indisciplinato e anarcoide. Ma anche una virtù, se diventa un’ossessione, può mutare in malattia. Quando, per esempio, Luciano Violante denuncia “un attacco politico mediatico contro Napolitano e Monti” ad opera di Grillo, Di Pietro e il Fatto quotidiano, forse crede di smascherare una Grosse Koalition della cosiddetta antipolitica. Sta, invece, semplicemente denunciando l’esistenza, in ordine sparso, di un’opposizione politica e giornalistica. Un’ovvietà, insomma. L’opposizione, anche in clima di emergenza nazionale, qualcuno dovrà pure farla: specie se il governo in carica gode di una straripante maggioranza parlamentare e di una quasi intatta popolarità nonostante la durezza della sua politica economica. Un eccesso di “stringiamci a coorte”, con tanto di costante rimbrotto a chi non è d’accordo, rischia di assomigliare a una specie di maccartismo “a fin di bene”, che vede in ogni forma di opposizione, giusta o sbagliata poco importa, una vera e propria alienità agli interessi della Repubblica. Di lì all’accusa di “attività antipatriottiche”, il passo non è poi così lungo. Darsi una calmata è meglio.
LA REPUBBLICA del 4 ottobre 2012
Il pazzesco scandalo di Tributi Italia è forse il peggiore e il più indigesto, perché ci illumina sulla natura sociale – ben prima che politica – della corruzione italiana. Si tratta, secondo le accuse, di imprenditori privati (non di onorevoli, o consiglieri regionali, o membri a qualunque titolo della “casta”) che riescono a introdursi nel delicato rapporto tra Comuni e cittadini frodando (agli uni e agli altri) tributi per milioni di euro. Dentro lo scandalo c’è tutto: l’inefficienza di un’amministrazione pubblica costretta ad appaltare a veri e propri gabelloti (istituzione neo-medioevale) la riscossione delle tasse. La catastrofe ormai ventennale di privatizzazioni che, con il pretesto mendace di affidare al mercato una gestione virtuosa dei servizi, li regalano a potentati e lobbies di ogni risma, che in quasi totale assenza di controlli fanno i propri porci interessi in barba a quelli della collettività. L’intrinseco, peloso, funesto “comune sentire” tra cittadini ladri e politici ladri, gli uni mandanti degli altri e viceversa, è la sola vera questione morale. Ed è trasversale alla “casta” così come alla “società”. Contrapporle è un equivoco mortale: è dentro entrambe che gli onesti devono unirsi per fare la rivoluzione contro i ladri.
LA REPUBBLICA del 26 settembre 2012
Ovviamente la galera, per chi insulta o diffama a mezzo stampa, è una pena sproporzionata, e sinistramente intimidatoria nei confronti di chi scrive sui giornali. Ma questo non alleggerisce di un grammo le responsabilità morali e sociali di chiunque usa pubblicamente le parole; anzi le aggrava, perché l’esercizio della libertà di opinione circonfonde i giornalisti di un’aura di intoccabilità (di tipo castale, visto che va di moda dirlo) della quale è vile approfittare. L’articolo scritto sotto pseudonimo sul Giornale nel 2007 (e imputato al direttore responsabile Sallusti) conteneva opinioni violente ma soprattutto divulgava notizie false (rimando, per ragioni di spazio, all’esauriente analisi che ne fa Alessandro Robecchi sul suo blog). Diffama più il suo autore che le sue vittime. È lo stesso genere di giornalismo che molti anni prima, diciamo così ai suoi gloriosi albori, arrivò a pubblicare su un quotidiano milanese della sera nome, cognome e indirizzo delle donne di Seveso che avevano deciso di abortire per timore degli effetti della diossina. Brillanti carriere sono nutrite anche di queste sconcezze. La legge, effettivamente, è uno strumento goffo e inadeguato per misurare certi abissi.
LA REPUBBLICA del 16 ottobre 2012
Qualcuno riesce a immaginare un liceo tedesco che, nel 2012, esponga nella sua aula magna un quadro encomiastico raffigurante Adolf Hitler? Ovviamente no. E allora: perché un liceo di Ascoli ha pensato di esporre nella sua aula magna un ritratto di Benito Mussolini a cavallo? (E perché un sindaco del Lazio ha intitolato addirittura un mausoleo al maresciallo Graziani, genocida, gasatore di africani, tra i simboli più spregevoli del razzismo e del colonialismo? E perché, nelle sue varie forme, l’apologia del fascismo prospera nel nostro paese, unico in Europa?). Ispiratore di Hitler e del nazismo, suo complice diretto nella deportazione e nel genocidio degli ebrei (degli italiani ebrei: traditore, dunque, del suo popolo), Mussolini gode negli ultimi anni di una sorta di inspiegabile franchigia. Per colpa di una destra ignorante e frustrata, diversa da tutte le destre di governo europeo, è passata l’idea che il sedicente Duce fosse, a differenza del suo allievo tedesco, un dittatore blando, e uno statista vittima degli inciampi della storia. Il risultato è che un preside di scuola, funzionario pubblico, si stupisce e si rammarica delle reazioni suscitate dal ritratto equestre di colui che ci portò alla guerra razzista, e alla rovina della Patria.
LA REPUBBLICA del 13 settembre 2012
Nel pittoresco caos sollevato dall´intervista rubata al grillino Favia, è passato in sottordine il metodo, e questo non vale. Non vale perché il metodo (un fuorionda mandato in onda) fa parte, eccome, del dibattito. Il dibattito è sulla crisi etica e funzionale della politica, a partire dalle sue forme di rappresentanza, non certo escluse le forme mediatiche. A me (l´ho scritto milioni di volte) il mito della democrazia diretta via web pare ingenuo, ridicolo e anche pericoloso, ma non è che un sistema mediatico (e un dibattito politico) fondato sui fuorionda mi appaia in alcun modo rassicurante o anche soltanto decente. In questo senso, come dare torto alla grillina Federica Salsa che, raggiunta al telefono da una giornalista di "Piazza Pulita", non credendo alle sue orecchie, le ha detto: «Ma come, mi chiedi una chiacchierata informale dopo che il tuo programma ha mandato in onda un fuorionda registrato di nascosto? ». Cerco di evitare accuratamente i talk-show perché ho paura (fisica) di imbattermi in Sallusti. Di qui in poi, cercherò di evitarli anche per la paura di dover commentare un fuorionda.
LA REPUBBLICA del 12 settembre 2012
“Riparare il mondo”, scriveva Alex Langer (vedi la bella pagina che Adriano Sofri gli ha dedicato su Repubblica di ieri). Oggi che il nostro modello di sviluppo appare infartuato, e si parla di crisi di sistema, le persone come Langer (e come Laura Conti, Antonio Cederna, Aurelio Peccei, fondatori dell’ambientalismo italiano) ci sembrano davvero profeti inascoltati. Se prima qualcuno poteva illudersi che per creare posti di lavoro si dovessero ferire terra, acqua e aria, e sperperare paesaggio, oggi ci accorgiamo che rovina ambientale e caduta dell’occupazione sono, in un paese come il nostro, facce della stessa medaglia. E che “riparare il mondo”, come chiedeva Langer, qui in Italia non è solo una missione culturale e politica; è anche, se non soprattutto, una gigantesca occasione di nuovo lavoro, nuova economia, nuovo e diverso sviluppo. Come tantissimi italiani non so ancora per chi votare, quando sarà il momento. Ma cercherò di votare per chi, più degli altri, si avvicina al concetto di “riparare il mondo”. Bloccando la cementificazione folle e sterile, la corsa stupida alla “crescita”, e dunque crescendo davvero.