LA REPUBBLICA del 26 settembre 2012
Ovviamente la galera, per chi insulta o diffama a mezzo stampa, è una pena sproporzionata, e sinistramente intimidatoria nei confronti di chi scrive sui giornali. Ma questo non alleggerisce di un grammo le responsabilità morali e sociali di chiunque usa pubblicamente le parole; anzi le aggrava, perché l’esercizio della libertà di opinione circonfonde i giornalisti di un’aura di intoccabilità (di tipo castale, visto che va di moda dirlo) della quale è vile approfittare. L’articolo scritto sotto pseudonimo sul Giornale nel 2007 (e imputato al direttore responsabile Sallusti) conteneva opinioni violente ma soprattutto divulgava notizie false (rimando, per ragioni di spazio, all’esauriente analisi che ne fa Alessandro Robecchi sul suo blog). Diffama più il suo autore che le sue vittime. È lo stesso genere di giornalismo che molti anni prima, diciamo così ai suoi gloriosi albori, arrivò a pubblicare su un quotidiano milanese della sera nome, cognome e indirizzo delle donne di Seveso che avevano deciso di abortire per timore degli effetti della diossina. Brillanti carriere sono nutrite anche di queste sconcezze. La legge, effettivamente, è uno strumento goffo e inadeguato per misurare certi abissi.
LA REPUBBLICA del 16 ottobre 2012
Qualcuno riesce a immaginare un liceo tedesco che, nel 2012, esponga nella sua aula magna un quadro encomiastico raffigurante Adolf Hitler? Ovviamente no. E allora: perché un liceo di Ascoli ha pensato di esporre nella sua aula magna un ritratto di Benito Mussolini a cavallo? (E perché un sindaco del Lazio ha intitolato addirittura un mausoleo al maresciallo Graziani, genocida, gasatore di africani, tra i simboli più spregevoli del razzismo e del colonialismo? E perché, nelle sue varie forme, l’apologia del fascismo prospera nel nostro paese, unico in Europa?). Ispiratore di Hitler e del nazismo, suo complice diretto nella deportazione e nel genocidio degli ebrei (degli italiani ebrei: traditore, dunque, del suo popolo), Mussolini gode negli ultimi anni di una sorta di inspiegabile franchigia. Per colpa di una destra ignorante e frustrata, diversa da tutte le destre di governo europeo, è passata l’idea che il sedicente Duce fosse, a differenza del suo allievo tedesco, un dittatore blando, e uno statista vittima degli inciampi della storia. Il risultato è che un preside di scuola, funzionario pubblico, si stupisce e si rammarica delle reazioni suscitate dal ritratto equestre di colui che ci portò alla guerra razzista, e alla rovina della Patria.
LA REPUBBLICA del 13 settembre 2012
Nel pittoresco caos sollevato dall´intervista rubata al grillino Favia, è passato in sottordine il metodo, e questo non vale. Non vale perché il metodo (un fuorionda mandato in onda) fa parte, eccome, del dibattito. Il dibattito è sulla crisi etica e funzionale della politica, a partire dalle sue forme di rappresentanza, non certo escluse le forme mediatiche. A me (l´ho scritto milioni di volte) il mito della democrazia diretta via web pare ingenuo, ridicolo e anche pericoloso, ma non è che un sistema mediatico (e un dibattito politico) fondato sui fuorionda mi appaia in alcun modo rassicurante o anche soltanto decente. In questo senso, come dare torto alla grillina Federica Salsa che, raggiunta al telefono da una giornalista di "Piazza Pulita", non credendo alle sue orecchie, le ha detto: «Ma come, mi chiedi una chiacchierata informale dopo che il tuo programma ha mandato in onda un fuorionda registrato di nascosto? ». Cerco di evitare accuratamente i talk-show perché ho paura (fisica) di imbattermi in Sallusti. Di qui in poi, cercherò di evitarli anche per la paura di dover commentare un fuorionda.
LA REPUBBLICA del 12 settembre 2012
“Riparare il mondo”, scriveva Alex Langer (vedi la bella pagina che Adriano Sofri gli ha dedicato su Repubblica di ieri). Oggi che il nostro modello di sviluppo appare infartuato, e si parla di crisi di sistema, le persone come Langer (e come Laura Conti, Antonio Cederna, Aurelio Peccei, fondatori dell’ambientalismo italiano) ci sembrano davvero profeti inascoltati. Se prima qualcuno poteva illudersi che per creare posti di lavoro si dovessero ferire terra, acqua e aria, e sperperare paesaggio, oggi ci accorgiamo che rovina ambientale e caduta dell’occupazione sono, in un paese come il nostro, facce della stessa medaglia. E che “riparare il mondo”, come chiedeva Langer, qui in Italia non è solo una missione culturale e politica; è anche, se non soprattutto, una gigantesca occasione di nuovo lavoro, nuova economia, nuovo e diverso sviluppo. Come tantissimi italiani non so ancora per chi votare, quando sarà il momento. Ma cercherò di votare per chi, più degli altri, si avvicina al concetto di “riparare il mondo”. Bloccando la cementificazione folle e sterile, la corsa stupida alla “crescita”, e dunque crescendo davvero.
LA REPUBBLICA del 31 agosto 2012
Se anche un cattolico più vicino alla società che al dogma (mi riferisco al vicesindaco di Milano, Maria Grazia Guida) si mette di traverso contro il testamento biologico, vuol dire che non c’è più speranza. Non c’è più speranza di far capire al mondo cattolico, nella sua quasi interezza, che non può costringere il resto del mondo a vivere e a morire secondo precetti che non gli appartengono. E che la confusione tra leggi dello Stato e volontà della Chiesa è un vero e proprio oltraggio inferto ai molti milioni di italiani non cattolici. A rendere ancora più triste la sortita del vicesindaco, e della cosiddetta componente cattolica del Pd, la notizia che il pastore valdese di Milano, Giuseppe Platone, si rallegra della volontà della giunta Pisapia di introdurre il testamento biologico per i cittadini milanesi, e ricorda che i valdesi già sono depositari di 800 testamenti perché «credono nell’autodeterminazione della persona». Mi dispiace doverlo dire con inevitabile brutalità: ma chi è contro il testamento biologico è contro l’autodeterminazione degli esseri umani. Il vicesindaco di Milano, purtroppo, non fa eccezione.
LA REPUBBLICA del 17 ottobre 2012
Ha sollevato polemiche lo spot (non più in onda) della nuova trasmissione di Michele Santoro nella quale “gente comune”, sollecitata per la strada a dire la sua sui politici ladri, risponde che li ammazzerebbe, magari con “una schioppettata”. Le polemiche riguardano la cruenza delle frasi carpite a questo o a quel passante, inserite nello spot, come è ovvio, per scelta e non perché lo ordinava il dottore. Ma al di là degli acuti, nello spot colpisce il fiducioso affidamento alla vox populi di un giudizio (di condanna) tanto assoluto quanto generico. Si parte dal presupposto che gli interpellati – in quanto popolo – parlino da una condizione di innocenza tradita: non è tra loro che, neanche per caso, possa celarsi uno dei trafficoni o dei galoppini o degli stipendiati a scrocco o dei venditori di voti o dei ladri di appalti o dei falsi invalidi o degli evasori che (a milioni) reggono lo strascico alla “casta”, lucrandone più di qualche spicciolo, e spesso essendone il mandante. Chi ha vissuto gli anni di Tangentopoli conosce bene questo genere di umori. E sa anche che chi sventola il cappio sarà il primo, domani, a suggerire un padrone peggiore del precedente. Il più feroce nemico dei politici corrotti, a quei tempi, fu Vittorio Feltri.
LA REPUBBLICA del 25 settembre 2012
Per spiegare lo sbalorditivo comportamento del presidente del Cagliari, signor Cellino, che ha invitato il pubblico ad andare ugualmente allo stadio nonostante manchi l’agibilità, non basta rifarsi all’antica tradizione di goffaggine dei ricchi padroncini del calcio italiano. C’è qualcosa di nuovo e, direi, di moderno: c’è quella sorda ostilità alle regole (quelle dello Stato e quelle del buon senso, non sempre coincidenti ma spesso sì) che ha trovato, negli ultimi anni, non solo una legittimazione ideologica, ma una sua prassi “alta” e “bassa”, quanto basta per far considerare normale, e magari sagace, mettere tra parentesi la legge. Ovviamente non tutte le leggi sono giuste, e per saperlo non è necessario scomodare Antigone (la poveretta è diventata l’alibi culturale per giustificare i porci comodi di chiunque). Ma per ribaltarle del tutto o in parte, le leggi, in genere è necessaria una rivoluzione, oppure lunghi e faticosi processi politici collettivi. Qui uno si alza al mattino e, dopo il cappuccino, decide che si va tutti insieme allo stadio, e chi se ne frega delle autorità di pubblica sicurezza. La disobbedienza, nei secoli, ha sempre avuto un prezzo. Oggi siamo ai saldi: basta uno 0-3 a tavolino.
LA REPUBBLICA del 22 settembre 2012
Le tifoserie ultras sono entrate a fare parte quasi istituzionalmente della gestione del calcio italiano. Impartiscono punizioni (vedi il giustamente celebre sequestro delle maglie dei giocatori del Genoa), orientano le campagne acquisti (alcune tifoserie non gradiscono giocatori “negri”) e ieri, a Milanello, una loro delegazione è stata ufficialmente ricevuta dallo staff tecnico della squadra di proprietà dell’uomo più ricco d’Italia per discutere “come uscire dalla crisi”. Una lettura (molto) ottimista potrebbe far pensare a una pagina particolarmente intensa delle insorgenze anti-casta, con il popolo che intende fare piazza pulita e sbrigare in proprio l’esercizio del potere. Si devono però onorare le drastiche regole di salute pubblica invocate dalle piazze in rivolta. Per esempio, ci sono capi-curva ormai incanutiti e con le tonsille logore, avendo cominciato a urlare “siete delle merde” alla curva opposta quando governava Andreotti. Non va bene. Due mandati al massimo, dunque due campionati, poi si lascia il posto a energumeni più giovani. E poi, ovviamente: i rappresentanti del popolo devono essere incensurati! Misura che, da sola, basterebbe a dimezzare il numero dei capi ultras e dunque a ridurre di molto le spese di trasferta.
LA REPUBBLICA del 11 settembre 2012
In tempi non allegri, devo ringraziare la cantante Rihanna per avermi regalato un istante di buonumore. Aggirandomi svogliato tra le notizie on-line, settore minutaglie, nel tentativo di scampare al cupore della giornata politica, vedo un titolino che annuncia “il nuovo tatuaggio hot di Rihanna”. Accompagna un’immagine molto strana: il tatuaggio (la dea Iside, roba forte) sembrerebbe impresso su un arrosto di lonza, o su una confezione di petti di tacchino, comunque su una massa carnosa irriconoscibile a prima vista. Dovendo trattarsi della stessa Rihanna, chiedo aiuto alle persone che mi circondano. Nasce dibattito. “Sono le chiappe”, “no, è l’interno delle cosce”, fino a un inverosimile “forse è un’ascella”. Solo ingrandendo l’immagine, e dopo una minuziosa analisi anatomica, si capisce che la vecchia Iside è sistemata subito sotto il seno, parzialmente coperto da un avambraccio. Spiega la dida che Rihanna ha postato essa stessa l’immaginetta su Twitter. Con tutto il rispetto per l’ammirevole orizzontalità del web, se i risultati sono così modesti, e diciamo poco espressivi, ridateci il buon vecchio eros a pagamento: fatto, voglio dire, da fotografi professionisti in appositi studi e con le luci giuste. Costa? Sì. Ma il gratuito è la porta del brutto, e il brutto è la porta del Male.
LA REPUBBLICA del 5 settembre 2012
Se entrare nel merito aiuta a neutralizzare le urla, facciamolo. Ciò che meno condivido e meno capisco, nella cultura politica delle Cinque Stelle, è il terrore quasi superstizioso della politica come mestiere. Il mito del cittadino che si fa carico in proprio della cosa pubblica, cioè si autoelegge e poi si autodistrugge (massimo due mandati!) per non correre il rischio di divenire egli stesso parte della "casta", è suggestivo e perfino attraente, perché ravviva antichi sogni di democrazia diretta e di autogoverno. Ma ha un limite grave, e in questa fase storica gravissimo: ostacola la formazione di una nuova, vera classe dirigente, che non può nascere al di fuori di un percorso solidamente e direi duramente professionale (equo stipendio compreso). Che i meccanismi di selezione e ricambio della politica italiana siano decisamente inceppati è verissimo, e un Parlamento di nominati ne è la dimostrazione lampante. Ma una società già di suo precarizzata, che sta distruggendo i mestieri e le competenze, perché mai dovrebbe darsi una classe politica ugualmente precaria? Infine: ridurre i tempi di permanenza al potere riduce anche il rischio di disonestà? Il ladro, in così poco tempo, avrà solo più fretta di rubare. L´onesto, per un anno o per venti, servirà i suoi elettori con lo stesso rigore.