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LA REPUBBLICA del 12 dicembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Essendo Monti leader tipico di un centrodestra civile (per intenderci, per lui avrebbero votato la borghesia liberale della prima Repubblica e una buona fetta del ceto medio democristiano), la domanda da farsi è quanta parte dell´elettorato italiano di centrodestra è ancora in grado di capirlo, e votare per lui nel caso si candidasse; e quanta parte, invece, è definitivamente rincitrullita (e culturalmente corrotta) dal ventennio populista, e ancora si riconosce nel sedicente Silvio. Sarà questa la grande incognita del voto se Monti (o uno schieramento esplicitamente montiano) deciderà di competere: due destre tra loro inconciliabili (Berlusconi e Monti) si contenderanno il voto moderato, Bersani si terrà i suoi, Grillo farà la conta di quanti credono nella sua palingenesi internettiana. Quattro "poli", con due estreme (Berlusconi e Grillo), un centrodestra (Monti) e un centrosinistra (Bersani). Se il quadro è questo, non si capisce perché Bersani, sia pure garbatamente, osteggi la candidatura di Monti. Che potrebbe forse sfilare qualche voto all´ala destra del Pd. Ma sarebbe, soprattutto, il grande antagonista di Berlusconi, contendendogli il suo stesso elettorato. 

LA REPUBBLICA del 17 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Ha sollevato polemiche lo spot (non più in onda) della nuova trasmissione di Michele Santoro nella quale “gente comune”, sollecitata per la strada a dire la sua sui politici ladri, risponde che li ammazzerebbe, magari con “una schioppettata”. Le polemiche riguardano la cruenza delle frasi carpite a questo o a quel passante, inserite nello spot, come è ovvio, per scelta e non perché lo ordinava il dottore. Ma al di là degli acuti, nello spot colpisce il fiducioso affidamento alla vox populi di un giudizio (di condanna) tanto assoluto quanto generico. Si parte dal presupposto che gli interpellati – in quanto popolo – parlino da una condizione di innocenza tradita: non è tra loro che, neanche per caso, possa celarsi uno dei trafficoni o dei galoppini o degli stipendiati a scrocco o dei venditori di voti o dei ladri di appalti o dei falsi invalidi o degli evasori che (a milioni) reggono lo strascico alla “casta”, lucrandone più di qualche spicciolo, e spesso essendone il mandante. Chi ha vissuto gli anni di Tangentopoli conosce bene questo genere di umori. E sa anche che chi sventola il cappio sarà il primo, domani, a suggerire un padrone peggiore del precedente. Il più feroce nemico dei politici corrotti, a quei tempi, fu Vittorio Feltri.

LA REPUBBLICA del 13 dicembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Con una tenacia impressionante Pierluigi Battista rilancia, sul “Corriere”, il verbo terzista, lamentando il ritorno sulla scena del vecchio match berlusconiani-antiberlusconiani, trattati come le due fazioni rissose e inconcludenti che rubano la scena ai discorsi seri, alla politica seria, all’Italia seria. Nell’analisi di Battista manca una terza fazione (imbalsamata almeno quanto le prime due) che è la sua, quella dei terzisti. Che da anni fissano la scena evitando accuratamente di cogliere il rapporto di causa ed effetto che spiega la rissa in corso: l’antiberlusconismo è ovvia conseguenza del berlusconismo, è il livido che segnala la martellata, la difesa che replica all’offesa. Gli antiberlusconiani sarebbero stati entusiasti di non parlarne mai più e di passare ad altro argomento (ce ne sono tanti). Non è colpa loro, soprattutto non è scelta loro se quel signore nefasto, che ha reso ridicola l’Italia nel mondo, è ricicciato fuori quando nessuno (compresi parecchi dei suoi) ne sentiva la mancanza. Battista abbia pazienza, si spolveri la giacchetta dal polverone che solleviamo noi rissanti, quando avremo finito (perché prima o poi questo strazio finirà) gli faremo un fischio. 

LA REPUBBLICA del 18 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Si leggono sui giornali approfondite analisi sui perché e sui percome dal probo movimento collettivo fondato nei lontani Sessanta da don Luigi Giussani abbia potuto germogliare un narciso pazzesco come il Formigoni, per non dire di tutto quel business attorno a ospedali e scuole, e quel piazzare primari e présidi sul territorio come neanche il più pervasivo e maneggione dei partiti politici. Per la verità, tenderei a scaricare dalle spalle del Formigoni parte del peso di queste domande. E retrodatare di parecchio il mistero di Cl: perlomeno a quando il leader di riferimento dei ciellini, la loro star indiscussa, era Giulio Andreotti, con il suo memorabile entourage di Evangelisti, Sbardella e Salvo Lima, che parevano sortire dalle sceneggiature malevole dei cineasti comunisti. Ecco, io è da lì in poi (cioè da una trentina d’anni a questa parte) che capisco di non essere all’altezza di quella questione. Di non capirla proprio. Va bene, don Giussani e Andreotti sono entrambi cattolici. Ma anche Gino Strada e La Russa sono tutti e due interisti: non vedo, però, altro nesso. 

LA REPUBBLICA del 14 dicembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
È stato chiarissimo, siete voi che non avete capito. Ha detto che nell´ipotesi che Monti si candidi a capo della coalizione che, pur stimandolo, gli ha appena tolto la fiducia, allora lui non si candida, ma mantiene la candidatura, forse la sua forse quella di Alfano, nel caso che Monti non si candidi oppure si candidi per una coalizione che non comprende il Pdl, tenendo fermo il fatto che Alfano è il candidato ideale ovviamente se non si candida lui stesso oppure Monti, a patto che la Lega accetti Monti nella coalizione dopo avere chiarito che quando la Lega gli dava del maledetto vampiro, a Monti, non si riferiva alla persona di Monti ma al governo Monti, perché l´alleanza con la Lega non è in discussione ma neanche il ruolo di Monti nell´eventuale ruolo di candidato di tutti i moderati dei quali lo stesso Berlusconi è comunque il garante tanto se si candida quanto se non si candida, nel quadro di una sicura visione europea perché l´Europa deve smettere di imporci il ricatto dello spread il quale del resto, votando alla fine di febbraio o all´inizio di marzo, ma volendo anche nei mesi estivi, subirà delle variazioni che non possono avere alcuna influenza sulla candidatura sua, di Alfano oppure di Monti. 

LA REPUBBLICA DEL 9 DICEMBRE 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Nemmeno la più devota delle olgettine sarebbe riuscita a concepire, a proposito della ririririridiscesa in campo del sedicente Silvio, una dichiarazione come quella del sottosegretario all´Economia Polillo. Secondo il quale se B. ha deciso di reiterare le sue molestie aggravate a questo povero Paese, la colpa è del centrosinistra. "In discussione – dice Polillo – non è tanto il governo Monti, ma l´alterazione dei rapporti di forza che le primarie del centrosinistra hanno determinato. Berlusconi non poteva fare altrimenti". Sì, avete letto bene. Se il centrodestra, invece di fare a sua volta le primarie, si è lasciato incaprettare senza un lamento da colui che lo porterà alla distruzione finale, la colpa è di chi le primarie invece le ha fatte, e ha scelto il suo candidato premier "alterando i rapporti di forza"… Il ragionamento, prima ancora di essere fazioso, è così bizzarro che sembra provenire da Marte (c´è una Roma di corridoio e di sottopotere, della quale Polillo è un tipicissimo abitante, che con la realtà sociale e politica del paese ha scarsa dimestichezza). Ha però un pregio: ci fa memoria del fatto che Polillo è membro autorevole proprio di questo governo, non di altri. Circostanza che ci aiuterà ad accettarne più serenamente la fine. 

LA REPUBBLICA del 23 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
In una delle tante trasmissioni radio e tivù recentemente riciclate nel genere “dagli alla Casta” (gettonatissimo, ma a rischio di inflazione), il conduttore ha raccontato l’ultima impresa della Polverini spiegando che ha usato l’auto di scorta per andare a comperare, in contromano, “un paio di scarpe di gran lusso”. Mi è tornato alla mente un magistrale titolo di “Cronaca vera” di tanti anni fa: “Violenta la cognata su un tappeto di gran pregio”. Nel quale l’efferatezza del crimine viene esaltata, come si intende, dalla cornice di sfrenato comfort nel quale matura. Come è ovvio, il gesto della Polverini sarebbe stato ugualmente censurabile anche se fosse andata all’Upim, o a prendere un caffè da sua zia. Ma specificare che puntava a un paio di scarpe “di gran lusso”, in tempi di crisi, rende lo scandalo, diciamo così, più scandaloso. Allo stesso modo, quando sui giornali si vuole fare polemica contro questo o quello, si scrive che è “lautamente pagato”. Nessun cattivo, se notate, è mai normalmente pagato. Tutti lautamente. E calpestano tappeti di gran pregio calzando scarpe di gran lusso. 

LA REPUBBLICA del 15 dicembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Ragionando in astratto, ma anche in concreto, l’ipotesi di un centrodestra guidato da Monti che sfida un centrosinistra guidato da Bersani è quasi inebriante. Non dimentichiamo che stiamo parlando di un Paese ormai assuefatto a un micidiale mix di volgarità e inettitudine, nel quale più nulla pare riformabile, rimediabile, curabile. La normalità ci è negata da tempo, e la sola idea che a Palazzo Chigi, chiunque vinca le elezioni, ci vada una persona normale, quasi commuove, e ridispone alla serenità come la convalescenza dopo la malattia. In questo quadro non mi è chiaro in base a quale sofisticato calcolo alcuni del Pd hanno accolto di malanimo l’eventualità di una candidatura di Monti. Non aveva forse detto, il saggio Bersani, che il bene del Paese viene prima del bene del partito? Un Monti leader del centrodestra invece del vaneggiante e derelitto Berlusconi, sarebbe o non sarebbe un bene per il Paese? Il fatto che Monti sia un avversario più autorevole e dunque più impegnativo e pericoloso del sedicente Silvio è ovvio. Ma il livello dello scontro elettorale salirebbe di parecchio; e chiunque aspiri a governare non può che desiderare che la politica recuperi decenza e credibilità. 

LA REPUBBLICA del 18 dicembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Mi chiedono perché non sono su Twitter, perché non sono su Facebook, e me lo chiedono con una vena di divertita commiserazione. Eppure la risposta è facile: già mi sembra di scrivere troppo, e dubito di saper governare come dovrei e vorrei le parole che produco. Non vedo perché dovrei ulteriormente inflazionare quel “me pubblico” che già sospetto inflazionato. Mi manca il silenzio, non ulteriori parole. Aggiungo che mi confonde, sui social-network, il non chiaro confine tra privato e pubblico, tra la ciancia amichevole, che è svagata e può concedersi anche la sbracatura, l’approssimazione, e la parola pubblica, che invece considero (per rispetto degli altri e di me stesso) impegnativa, meditata. Può darsi che io non abbia capito, come spesso mi rimproverano, “che cosa sono” i social- network, a cosa servono. Ma mi capita di leggere, poi, tweet di colleghi giornalisti, firme rispettate e di solida cultura, che mi paiono — scusate il latinismo — cazzate spaventose. Ne dico tante, ma a cena con gli amici, o al bar, insomma in privato. Se il network è “social”, è piazza, allora ogni tweet merita la stessa attenzione e fatica che si dedica a un editoriale. A casa si sta in ciabatte, ma per uscire si mettono le scarpe. Possibilmente pulite. 

LA REPUBBLICA del 19 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Comunque la si pensi, la sortita di Massimo D’Alema (“e va bene, me ne vado. Ma solo se vince Bersani”) è un colpo geniale. Che sia l’ultimo, perfido machiavellismo di un leader detronizzato e vendicativo, oppure la mossa d’orgoglio di un vecchio capo che vuole salvare il suo partito dai Barbari, è una sortita che ribalta la scacchiera così come Matteo Renzi l’aveva fin qui allestita. Suscita diffidenza l’idea dalemiana, più volte ribadita, che la politica sia soprattutto una partita a scacchi. L’eccessiva fiducia nella tattica (specie nella propria) può anche portare a infilarsi nell’imbuto della Bicamerale, e far morire per asfissia, insieme ai propri calcoli personali, le speranze di una intera stagione politica. Ma in questo caso l’artifizio tattico è così spiazzante, e così perfetto, da suscitare l’applauso dell’intero stadio. Fossi nella curva renziana, applaudirei comunque, si fa bella figura e si dimostra di avere capito la lezione: puntare troppo sulla rottamazione non rischia di dare troppa importanza, dunque troppo potere, ai rottamandi? 
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