LA REPUBBLICA del 10 luglio 2012
Rinnegando Miss Padania, il neosegretario Maroni cerca disperatamente di tracciare i connotati di una Lega rincivilita, un po´ meno "popolana", un po´ meno incolta. E´ un´impresa titanica. La rivendicazione (in chiave anti-borghese) della mangiata grassa, della pacca sul culo, della poppa tracimante, sono uno degli ingredienti fondanti della Lega. Nell´epopea leghista c´è una componente quasi rabelaisiana (se i leghisti non si offendono: Rabelais è pur sempre uno scrittore), carnivora, vinosa, con cacciagione meglio se di frodo (minacciarono, i leghisti del Trentino, di mangiare un orso venuto da fuori), le donne ai fornelli, gli uomini a tavola, e a ramengo il politicamente corretto che è roba poco virile. Morta la secessione, morente il federalismo, perduto il governo, che cosa resta ai leghisti se gli levano pure la saga barbarica, il grasso che cola, le selezioni locali di Miss Padania con i giurati che valutano le figliuole con lo sguardo vinoso, e usando lo stesso calibro temperato negli anni per valutare magnifiche mucche frisone, olandesi e limousine? Guardi Maroni, il femminismo è una roba per noi fichetti di sinistra, lasci stare, non traumatizzi così la sua gente.
LA REPUBBLICA del 2 giugno 2012
È in corso una polemica personale e procedurale, dentro il Pd, a proposito del doppio incarico del nuovo sindaco di Civitavecchia, che è anche deputato. Costui ha definito “carogne” i suoi compagni di partito che (in maggioranza) gli chiedono di dimettersi immediatamente dalla Camera. Ma la sola carogna delle quale si sente l’odore è l’intelligenza della politica, che dev’essere in avanzato stato di decomposizione se esiste ancora qualcuno, là dentro, così ottuso da non capire che ogni gesto meno che limpido, in questo momento, equivale a un suicidio. La domanda è semplice: come è possibile che la stessa persona faccia in modo decente due lavori difficili come il deputato della Repubblica e il sindaco di una città? La risposta è altrettanto semplice: non è possibile, a meno che uno dei due lavori sia interpretato come una carica onorifica. Una prebenda. Un premio alla carriera. È accaduto, in passato, infinite volte. Non si contano i casi di doppi incarichi. Ora, finalmente, è stato deciso (anche dentro i partiti) che non è più il caso, non solo per ragioni di leggi e regole, ma per ragioni di rispettabilità della politica. Che essendo una cosa seria, va fatta seriamente, e a tempo pieno. Non è incredibile che se ne debba ancora discutere?
LA REPUBBLICA del 8 giugno 2012
È già stato scritto (con particolare efficacia da Curzio Maltese, ieri su questo giornale) che molti gesti di questa classe politica paiono ispirati da una vocazione invincibile all´autodistruzione. Vedi la ottusa lottizzazione (Pd, Pdl, Udc) dell´Agcom e il salvataggio puramente castale di un personaggio insalvabile come il senatore Di Gregorio: atti ovviamente destinati a ingrossare l´esercito dei non votanti, o dei votanti per chiunque si distingua, a qualunque titolo, dalla congregazione politicante. Se ne scrive, in genere, con rammarico, di questo prolungato tentativo di suicidio. Ma in giornate come quella di ieri, anche il rammarico rischia di cedere il passo a una più rassegnata e forse serena presa d´atto. E perfino quelli come me, che nel ruolo dei partiti hanno sempre creduto, che disprezzano il mugugno sordo e meschino del "sono tutti uguali", che hanno decisamente paura di una eventuale Italia post-partitica, si domandano fino a quando, e soprattutto perché, ci toccherà, nel nome della politica, difendere chi della politica ha fatto carne di porco. Se è servire la Repubblica e la Costituzione, ciò che davvero conta, perché mai una legislatura che prima produce e poi difende i Di Gregorio deve farci meno paura di un domani incerto?
LA REPUBBLICA del 19 luglio 2012
Non invidio i giudici che devono indagare per “estorsione” Marcello Dell’Utri. Si tratta di fare chiarezza sulla caterva di milioni che il senatore (!!) ha ricevuto da Berlusconi. È come setacciare il Mississippi. Tra amiconi, fornitori, ragazzuole, informatori, praticoni, bisognosi e bisognose a vario titolo, i beneficiati di Berlusconi si contano a decine, e lo sfarfallio di banconote, da quelle parti, è grandioso e incessante. Lui ama vantarsene, e considera la voracità della sua corte la migliore testimonianza della sua munificenza. Perfino i suoi elettori indigenti (a conferma del fatto che la passione politica brucia il cervello) sono entusiasti di quello scialo, anche se non guadagnano in una vita (lavorando) quello che un Lavitola ha ricevuto come mancia. Tornando ai giudici, cercare di cogliere ragioni e scopi di quel pazzesco andirivieni di quattrini è praticamente impossibile. Noi cittadini ci si accontenterebbe di sapere se almeno qualcuno dei miracolati ha emesso fattura o ricevuta, tanto per dare una parvenza di liceità alla prospera industria dello scrocco fiorita attorno alle mura di Arcore. Legalizzare la prostituzione ormai è una battaglia bipartisan.
LA REPUBBLICA del 22 giugno 2012
A i meno giovani la vicenda di Pomigliano (con la Fiat costretta da una sentenza a non discriminare gli iscritti alla Fiom, il sindacato più combattivo) ricorda tempi duri e remoti. Quando in fabbrica gli operai comunisti erano destinati a una sorta di confino produttivo, e presentarsi al lavoro con l’Unità in tasca rendeva la vita davvero difficile. Ma era decisamente un’altra epoca: c’era l’Unione Sovietica, il Pci, Valletta, la Celere di Scelba, l’Italia era territorio di confine tra due imperi contrapposti, le tensioni politiche e sindacali erano il prodotto di un braccio di ferro ideologico, storico e geografico che a entrambe le parti pareva ferale. Non si capisce, nel 2012, come abbia fatto la Fiat di Marchionne, che ha già problemi non da poco da affrontare, a ficcarsi nello sgradevole budello dal quale ora deve sortire (malamente) su ordine della magistratura. Quando, pochi anni fa, il manager canadese arrivò a Torino, ogni sua mossa, parola, atteggiamento, a partire dal famoso maglione, parevano nuove, sinonimo di modernità, di una mentalità diversa. La vicenda di Pomigliano fa retrocedere la Fiat (non solo la sua immagine, anche la sua politica, anche la sua sostanza imprenditoriale) agli anni Cinquanta. Ne valeva la pena?
LA REPUBBLICA del 29 giugno 2012
Se davvero – come scrive l’Espresso in edicola basandosi su un’inchiesta della magistratura – il “mariuolo” Mario Chiesa fosse diventato “referente della Lega Nord negli ospedali lombardi”, Tangentopoli potrebbe finalmente passare agli archivi come la beffa suprema ai danni di quegli italiani onesti che si illusero – ai tempi – di poter vivere in un paese a loro misura. E alla caduta di Craxi, e dei suoi “mariuoli”, manifestarono, accesero fiaccole, esultarono come per una seconda Liberazione. Pensate se, vent’anni fa, qualcuno avesse detto loro che Mario Chiesa, allora simbolo assoluto del malaffare politico, passata la buriana non solo sarebbe risorto politicamente, ma lo avrebbe fatto come “referente” d’affari della Lega, che allora era il partito della forca, del repulisti, delle zero garanzie per gli imputati. La Lega e i suoi giornalisti di riferimento usarono le parole, ai tempi, come le querce in Alabama, per appenderci la gente senza processo. Ora chiedono – per se stessi e per i loro amici – molte più garanzie di quante erano disposti a concedere agli imputati di vent’anni fa. Vedi come è diversa, la giustizia, vista sotto la quercia o sopra.
LA REPUBBLICA del 7 giugno 2012
A scansare gli ultimi dubbi (qualcuno ne avesse) circa la ventennale connection tra affari privati e potere politico che abbiamo chiamato “berlusconismo”, ecco che la pubblicità sulle reti Mediaset è calata del 18 per cento, e le azioni addirittura del 60. La crisi economica, certo. Ma la crisi c’era anche prima, quando Berlusconi governava, mentre il crollo del valore di Mediaset è successivo alla caduta del suo governo. Oggi di lui sorridiamo, delle sue buffe sortite con smentita incorporata, dei noiosi processi al suo codazzo di signorine, del suo declino così poco da caimano, così sdentato e così scontato. Ma sarà bene, almeno ogni tanto, fare memoria di che cosa siamo stati capaci di generare, come società italiana nel suo complesso, di quanti lo hanno votato più o meno entusiasti, di quanti lo rivoterebbero. Di quanti, ancora oggi, giudicano l’antiberlusconismo un pretestuoso, maniacale appigliarsi a formalità, a cavilli giuridici, piuttosto che – come è stato – un tenace e quasi disperato appello all’onesta realtà contro l’illusionismo truffaldino. Grazie, a questo proposito, a Barbara Spinelli per il formidabile racconto (Repubblica di ieri) della non-ricostruzione dell’Aquila. La “new-town” al posto della polis: la manomissione della civiltà italiana, o di quello che ne rimane.
LA REPUBBLICA del 3 luglio 2012
Si capisce che non è al sindaco Alemanno che si deve chiedere ragione della svastica al Circo Massimo, e in generale del rosario di svastiche, fasci littori e croci celtiche che impavesano da molti anni l’Olimpico, e dell’onnipresente iconografia fascista (perfino nello stile grafico dei manifesti murali) che sborda un poco ovunque nella città visivamente più fascista d’Europa, dopo Latina. Diciamo che non è la persona giusta, il sindaco, per affrontare il fenomeno con qualche speranza di autorevolezza, perché ognuno ha la sua storia e non è che a cinquant’anni suonati Alemanno se ne possa inventare un’altra. Ma che il problema esista sarebbe ora di dirselo con franchezza, anche perché Roma, oltre a essere sede della Roma e della Lazio, è anche e non secondariamente la capitale d’Italia, a Roma ci sono il Quirinale, il palazzo del governo, le due Camere, un sacco di ministeri, e insomma che nutriti drappelli di nazisti, di picchiatori di omosessuali, di antisemiti si radunino oggi qui e domani là, sentendosi a casa loro come circoli dopolavoristi o cicloturisti, non è una cosa normalissima. Non è colpa di Alemanno, per carità. Ma qualcuno dovrà pure occuparsene. In sua vece.
LA REPUBBLICA del 21 giugno 2012
C’è davvero una “incompatibilità tra le regole dominanti dell’economia e le regole, ad essa sottomesse, della democrazia”, come si chiedeva ieri su questo giornale Gad Lerner riflettendo sulla situazione greca? Guardate che la domanda, specie se a porla non è un giovane rivoluzionario ma un maturo socialdemocratico come Lerner (e come me), è di quelle che fanno tremare le vene ai polsi. Perché se è vero, che le regole di questa economia sono monocratiche e sopraffattrici, prima o poi si tratterà di sovvertirle — o almeno correggerle radicalmente — prima che la democrazia ne esca definitivamente commissariata. E non sono le frange radicali, è la sinistra di massa, quella oramai incanutita nel quasi placido tran tran del parlamentarismo, delle elezioni, di un’alternanza che di alternativo ha davvero pochino, che si gioca il futuro se non sarà in grado di scuotersi. Il socialismo europeo, scrive ancora Lerner, rischia l’irrilevanza se si rassegna a considerare velleitaria una riforma democratica dell’architettura dell’Unione. Dato (quasi) per scontato che i socialisti non credono più nel socialismo, possiamo sperare che credano almeno nel primato della democrazia, e nella possibilità di sottomettere i famosi “mercati” ad essa, e non essa ai “mercati”? Vendola sappiamo già quello che pensa. Ma Bersani? Qui non serve la cavalleria. Serve la fanteria.
LA REPUBBLICA del 6 giugno 2012
Oggi i calciatori azzurri, in Polonia per gli Europei, andranno in visita ad Auschwitz. Non è una presenza scontata, per almeno due ragioni. La prima (profondamente rimossa nella nostra memoria nazionale) è che l’Italia è stata il principale alleato di Hitler e dunque il principale complice dello sterminio: chissà se qualcuno, nella nostra delegazione, avrà la volontà di spiegarlo a ragazzi di vent’anni comprensibilmente poco avvezzi alla riflessione storica. Il secondo è che il calcio, inteso come fenomeno popolare globale, è ormai da molti anni un micidiale incubatore dei razzismi vecchi e nuovi, e in specie dell’antisemitismo: gli stadi europei sono forse l’ultimo posto al mondo dove vengono tranquillamente esposte svastiche e croci celtiche, e il saluto romano (un brevetto italiano…) accomuna le curve nazional-fasciste di mezza europa. I calciatori hanno, in questo senso, responsabilità enormi. Di complicità (a volte cosciente, a volte no) con tifoserie razziste, e soprattutto di omissione di buon esempio. Il loro comportamento, le loro parole, il loro atteggiamento in campo (per esempio quando il pubblico insulta un “negro”) sono fondamentali. Lo sport è (anche) un potentissimo vettore di valori. La speranza è che questa mattina, ad Auschwitz, qualcosa scatti nella testa degli azzurri.