LA REPUBBLICA del 13 giugno 2012
La demagogia è sempre detestabile. Ma diventa un rischio inevitabile in un Paese che sembra ormai strutturalmente propenso a punire i deboli sempre e ovunque, come se un neo-classismo strisciante (e non si capisce quanto cosciente) ne pilotasse le scelte. Per esempio: non ho le cognizioni tecnico-amministrative per sapere se siano davvero così “inevitabili” i tagli alle linee regionali (cioè ai treni dei pendolari) minacciati dall’amministratore delegato di Trenitalia, Moretti, che batte cassa con lo Stato inadempiente e lamenta l’antieconomicità del servizio. Ma basta viaggiare spesso in questo Paese per sapere che la forbice tra “i treni dei signori” (Guccini) e quelli della gente comune si è, negli ultimi anni, spaventosamente allargata. Nonostante ripetuti tagli dei cosiddetti “rami secchi” (come se la grande maggioranza degli italiani vivesse a Milano o a Roma e non nei centri medi e piccoli), il servizio è costantemente peggiorato, e la luccicante e sontuosa vetrina Tav non fa che rendere sempre più precari e ansimanti, per contrasto, gli altri convogli. Impossibile che Moretti non lo sappia, a meno che non abbia mai viaggiato sui suoi treni. Sbalorditivo che non colga, se non altro per diplomazia, quanto scontatamente ideologico sia tagliare sempre in basso.
LA REPUBBLICA del 10 luglio 2012
Rinnegando Miss Padania, il neosegretario Maroni cerca disperatamente di tracciare i connotati di una Lega rincivilita, un po´ meno "popolana", un po´ meno incolta. E´ un´impresa titanica. La rivendicazione (in chiave anti-borghese) della mangiata grassa, della pacca sul culo, della poppa tracimante, sono uno degli ingredienti fondanti della Lega. Nell´epopea leghista c´è una componente quasi rabelaisiana (se i leghisti non si offendono: Rabelais è pur sempre uno scrittore), carnivora, vinosa, con cacciagione meglio se di frodo (minacciarono, i leghisti del Trentino, di mangiare un orso venuto da fuori), le donne ai fornelli, gli uomini a tavola, e a ramengo il politicamente corretto che è roba poco virile. Morta la secessione, morente il federalismo, perduto il governo, che cosa resta ai leghisti se gli levano pure la saga barbarica, il grasso che cola, le selezioni locali di Miss Padania con i giurati che valutano le figliuole con lo sguardo vinoso, e usando lo stesso calibro temperato negli anni per valutare magnifiche mucche frisone, olandesi e limousine? Guardi Maroni, il femminismo è una roba per noi fichetti di sinistra, lasci stare, non traumatizzi così la sua gente.
LA REPUBBLICA del 2 giugno 2012
È in corso una polemica personale e procedurale, dentro il Pd, a proposito del doppio incarico del nuovo sindaco di Civitavecchia, che è anche deputato. Costui ha definito “carogne” i suoi compagni di partito che (in maggioranza) gli chiedono di dimettersi immediatamente dalla Camera. Ma la sola carogna delle quale si sente l’odore è l’intelligenza della politica, che dev’essere in avanzato stato di decomposizione se esiste ancora qualcuno, là dentro, così ottuso da non capire che ogni gesto meno che limpido, in questo momento, equivale a un suicidio. La domanda è semplice: come è possibile che la stessa persona faccia in modo decente due lavori difficili come il deputato della Repubblica e il sindaco di una città? La risposta è altrettanto semplice: non è possibile, a meno che uno dei due lavori sia interpretato come una carica onorifica. Una prebenda. Un premio alla carriera. È accaduto, in passato, infinite volte. Non si contano i casi di doppi incarichi. Ora, finalmente, è stato deciso (anche dentro i partiti) che non è più il caso, non solo per ragioni di leggi e regole, ma per ragioni di rispettabilità della politica. Che essendo una cosa seria, va fatta seriamente, e a tempo pieno. Non è incredibile che se ne debba ancora discutere?
LA REPUBBLICA del 23 maggio 2012
I partiti spariranno "in un peto", i loro leader sono zombie, morti, quasi morti, un´accolita di fantasmi incapaci e – peggio ancora – di persone indistinte, non-uomini indegni di incarnare un´idea, destra uguale a sinistra, birilli che il vento della democrazia diretta (il Sacro Web) spazzerà via. Il movimento delle Cinque Stelle merita rispetto, non è antipolitica, è impegno civile di una moltitudine di autoconvocati, in larga parte giovani e disinteressati. Ma il linguaggio del loro leader è un problema grosso come una casa. E´ un linguaggio carico di disprezzo, maneggia la morte (spesso e volentieri) come l´insulto definitivo, non riconosce MAI dignità all´avversario, è ignobile e ripugnante tanto quanto il latrato leghista. Usciamo da vent´anni di semplificazioni rozze, di parole usate come sputi. Possibile che la nuova politica usi un linguaggio così vecchio? Si capisce la gratitudine (meritata) che le persone delle Cinque Stelle hanno per il loro fondatore. Ma, a meno che non siano un triste calco delle legioni bossiane, entusiaste del dito medio e dell´insulto metodico, possibile che nessuno di loro osi chiedere al capo di non urlare, e soprattutto di non urlare quelle cose?
LA REPUBBLICA del 8 maggio 2012
Le cinque stelle sono la grande novità, ma se i numeri contano qualcosa il vincitore delle amministrative è il Pd di Bersani. Parlarne bene è un esercizio talmente poco di moda che nessun commentatore, di destra di centro e soprattutto di sinistra, si azzarda mai a farlo. Ma è un dato di fatto che tra astensione dilagante, voto di protesta montante, semi-cancellazione di interi partiti (vedi il Pdl), il Pd è il solo partito tradizionale che mantiene il suo campo, e giganteggia al cospetto delle catastrofi altrui. Qualche merito lo avrà, dunque, questo partito per il quale nessuno spende mezza parola di elogio o di affetto (neanche i suoi elettori), con una linea politica vaga, un leader poco carismatico, un paio di scandali decisamente pesanti in casa (Lusi, Penati), un´immagine esterna tanto sfocata da irritare. Magari quel "radicamento nel territorio" che nei commenti degli ultimi vent´anni è stato considerato brevetto esclusivo della Lega ha qualcosa a che fare anche con il Pd. Magari ebbe ragione Bersani quando pochi anni fa, in un dibattito tivù, in uno dei suoi non frequenti scatti di orgoglio, disse a un giornalista di destra che diceva "popolo" e "gente" ogni tre secondi: "guardi che il popolo ce l´abbiamo anche noi".
LA REPUBBLICA del 21 aprile 2012
Impressionante la storia del ciclista Riccò, dopato, squalificato, recidivo, cacciato via dalle strade che aveva percorso da protagonista. Impressionanti la cecità e la spavalderia con la quale un ragazzo di vent´anni sciala il proprio talento e corre a perdifiato verso la rovina. Se capissimo che cosa ha in testa uno come Riccò, come e quando ha perduto il senso del limite e con esso quello della realtà, capiremmo qualcosa di molto importante anche di noi stessi e della nostra maniera di vivere. La nostra società è dopata ormai strutturalmente. Lo è a partire dalle sue fondamenta economiche: è dopata di debiti (pubblici e privati). Dopata di farmaci, di cibo, di impegni, di obiettivi da raggiungere, di delusioni da evitare. È dopata di applausi, di fracasso, di ritmo, di velocità, di insonnia, di desideri sempre nuovi, "derivati" come i prodotti finanziari guasti. Quelli che chiamiamo "drogati" sono solo le cavie (spesso volontarie) di un virus che avrà requie solo quando ci avrà contagiati tutti. Il virus (già isolato dagli antichi) della rana che, per diventare bue, si gonfiò fino a scoppiare.
LA REPUBBLICA del 22 maggio 2012
Il leghista Rovato – ma prima e dopo di lui tanti altri – fa lo spiritoso su Facebook a proposito del terremoto ("la Padania si sta staccando") perché non si rende conto che le stesse cazzate che si dicono in privato, se scritte e pubblicate, hanno diverso peso e significato. La pubblicazione del privato – letteralmente, la messa in pubblico del sé – è del resto la grande novità e il grande problema dell´epoca, ed è comprensibile che gli incauti, come il Rovato, ci inciampino. Nell´attesa che (in un paio di secoli?) si trovi una misura di massa, un´etica di massa per affrontare una questione fin qui limitata a giornalisti, scrittori, politici, credo sia importante che l´uso rozzo o violento o ´gnorante della parola pubblica non venga considerato alla stregua del famoso "prezzo inevitabile da pagare al progresso". Cioè: se uno dice una scemenza o una odiosità, bisogna rinfacciargliela, bisogna imputargliela. Non deve passarla liscia, è diseducativo. Il pregiudizio classista che ha retto per anni le televisioni ("al popolo basta la bassa qualità") ha già fatto abbastanza danni per traslocarlo pari pari al web, rassegnandosi al fatto che dare la parola a tutti equivalga a renderla vuota e volgare. Twitti? Sei su Facebook? Il tuo modello non dev´essere Rovato, dev´essere Dickens. Meglio: anche Rovato deve puntare a Dickens.
LA REPUBBLICA del 4 maggio 2012
Ma il Bossi, non era quello che si era dimesso e si era fatto da parte, subito elogiato da acuti commentatori che ne sottolineavano la "diversità"? E come mai, allora, non c´è comizio leghista senza di lui, è tutti giorni al telegiornale che saluta con il medio in resta, e addirittura parla di ricandidarsi alla segreteria, e nessuno dei suoi apostoli ha la coerenza e il buon gusto di fargli presente che neanche un mese fa se ne parlava al passato, e i giornali pubblicavano biografie così definitive da sembrare tombali? E le famose camicie verdi, che nei giorni dello scandalo agitavano le ramazze e parevano disposte, per l´onore del partito, a non guardare in faccia nessuno, nemmeno il Capo dei Capi, che cosa ci fanno schierate davanti a Bossi con le stesse scope, però usate come per il più disciplinato dei presentat-arm? Com´è italiana la Lega, italiana nel senso più classico e più malinconico, sempre pronta a inveire contro le magagne altrui, ma rapidissima a chiudere un occhio quando le stesse identiche magagne diventano affare della propria tribù. Che pena rivedere sul palco, in mezzo alla sua gente adorante, il povero papà del Trota ridiventato, in tempi record, il Duce di Padania.
LA REPUBBLICA del 19 maggio 2012
Nell´orribile declino leghista sconcerta la rassegnata, quasi bonaria comprensione che dirigenti e "base" riservano al vecchio capo, che pure è
l´evidente artefice del clan avido e rozzo che usava le casse del partito per i propri comodi. Si tende a dire che è la fede popolare a impedire certe rese dei conti, ma è vero fino a un certo punto. Ho viva memoria della vergogna, dell´ira, delle assemblee tumultuose e certo non reticenti nelle quali la base comunista, ai tempi di Tangentopoli, accusava i suoi capi di essersi fatti coinvolgere in quel sistema di illegalità. Non era meno appassionata, quella base, e neanche meno devota alle gerarchie di partito. Solo che anteponeva a tutto, e a tutti, un interesse collettivo al quale le persone, compresi i capi, erano sottoposti. Non così, evidentemente, i leghisti, ai quali la struttura dispotica e familista del loro movimento non è mai parsa, fin qui, degna di dibattito (quale dibattito, poi, in un partito che ha fatto il suo ultimo congresso dieci anni fa?). Da chi ha ingoiato senza fiatare quell´assetto ducesco del partito, quella coincidenza (folle) tra Capo e Destino, non ci si può aspettare, oggi, una reazione sana. Molto probabile che la Lega segua Bossi nella sua tomba politica. Se lo saranno meritato entrambi.
l´evidente artefice del clan avido e rozzo che usava le casse del partito per i propri comodi. Si tende a dire che è la fede popolare a impedire certe rese dei conti, ma è vero fino a un certo punto. Ho viva memoria della vergogna, dell´ira, delle assemblee tumultuose e certo non reticenti nelle quali la base comunista, ai tempi di Tangentopoli, accusava i suoi capi di essersi fatti coinvolgere in quel sistema di illegalità. Non era meno appassionata, quella base, e neanche meno devota alle gerarchie di partito. Solo che anteponeva a tutto, e a tutti, un interesse collettivo al quale le persone, compresi i capi, erano sottoposti. Non così, evidentemente, i leghisti, ai quali la struttura dispotica e familista del loro movimento non è mai parsa, fin qui, degna di dibattito (quale dibattito, poi, in un partito che ha fatto il suo ultimo congresso dieci anni fa?). Da chi ha ingoiato senza fiatare quell´assetto ducesco del partito, quella coincidenza (folle) tra Capo e Destino, non ci si può aspettare, oggi, una reazione sana. Molto probabile che la Lega segua Bossi nella sua tomba politica. Se lo saranno meritato entrambi.
LA REPUBBLICA del 1 giugno 2012
Genova sarà governata da una maggioranza di donne, e da un sindaco, Marco Doria, che ha saputo infrangere lo sconsolante maschilismo del potere italiano. In sé è una bella notizia, ma forse arriva tardi. Più della metà dei genovesi non è andata a votare al secondo turno, uno scollamento impressionante in una città dalla storia politica gloriosa. Non è, ovviamente, colpa di Doria, ma ci si domanda se la malattia della politica non sia oramai così avanzata da rendere vani anche i bei gesti, i giusti rimedi, i cambiamenti. Medicine che, se prese per tempo (cinque anni fa? dieci? o meglio ancora venti, quando dopo Tangentopoli pareva che tutto potesse cambiare per il meglio, e tutto tornò come prima?), forse avrebbero guarito i partiti, la politica e il Paese. In questo momento, a Genova come altrove, "l´altra metà del cielo" non sono le donne, sono i cittadini che non sono andati a votare per sconforto, o per rabbia, o per definitivo menefreghismo. È presto per sapere se un governo delle donne, e un sindaco eletto con le primarie e molto indipendente dai partiti, sono qualcosa di ancora percepibile, e apprezzabile, anche dalla metà di Genova che non ne vuole più sapere. O se neppure le belle notizie, ormai, riescono a fare breccia nel disgusto e nel rifiuto.