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LA REPUBBLICA del 6 luglio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
La feroce determinazione con la quale i berlusconiani cercano di conservare il controllo della Rai non si spiega solo con i normali parametri della lotta per le poltrone. C’è un sovrappiù simbolico che è perfino imbarazzante dover ripetere: un forte complesso di inferiorità culturale che scatena nella destra italiana l’impulso violento a occupare per potere ciò che non è in grado di occupare per merito. La vera tragedia del berlusconismo morente, dopo quasi due decenni di purghe, censure e scorrettezze (la più scandalosa delle quali è avere imposto alla Rai uomini Mediaset, leali alla concorrenza anche se ritiravano la busta paga in viale Mazzini), è non essere stato capace di formare dirigenti, produttori, conduttori, artisti all’altezza degli odiati e cosiddetti “rossi”. Il centrodestra — con gli ovvi distinguo — ha avuto la sua piena espressione culturale ed estetica in Mediaset. Ma sapeva, sentiva, che molte trasmissioni e molti uomini della Rai facevano ombra, eccome, a quella cultura e a quell’estetica. Per questo la governanceberlusconiana alla Rai si è manifestata soprattutto in poche e dimenticate produzioni colate a picco, e nell’accanito boicottaggio di quello che, in Rai, funzionava bene. Non c’era bisogno di ordini superiori. Era un invincibile istinto: colpire chi è più bravo di te. 

LA REPUBBLICA del 5 giungo 2012

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Sento in un talk-show l’impressionante Sallusti definire Roberto Saviano “un ricco scrittore”, espressione che al pubblico che fa riferimento a Sallusti deve sembrare l’acme della corruttela morale. Pare di capire che la destra bastonatrice ( Giornale e Libero, per non far nomi) voglia indicare in Saviano il nuovo, odiato simbolo dei “radical chic”, il leader blandito “nei salotti che contano” dalle signore svenevoli e dagli orditori delle trame demo-pluto-massoniche. I toni e gli argomenti usati contro l’autore di Gomorrasono piuttosto spregevoli (anche se non raggiungono l’allucinata violenza toccata un mesetto fa da Giuliano Ferrara sul Foglioin uno degli articoli più ignobili della storia del giornalismo mondiale), ma la sostanza della campagna di stampa fa decisamente sorridere. Saviano può piacere o non piacere, ma con i radicalchic c’entra come i cavoli a merenda. È uno scrittore-soldato, che paga la sua guerra alla malavita conducendo una vita tremenda. Non è di sinistra, ha valori popolari molto simili a quelli di un meridionale tradizionalista non colluso e non servo. È un uomo libero e coraggioso. In un Paese munito di una destra decente (cioè legalitaria e repubblicana) sarebbe di destra. Dunque, non in questo Paese. 

LA REPUBBLICA del 20 giugno 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Adesso che la Lega ha perduto gran parte del suo potere di ricatto, forse possiamo tornare a parlare, con sollievo, di alcune qualità del Nord senza sentirci complici di una cultura di strapaese. Per esempio: le candidature di Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi alla Rai (scelta felice dell’associazionismo, innescata dal passo indietro virtuoso di Bersani) sono una rivincita della Milano migliore, la Milano etica, democratica e “protestante” che si contrappone quasi naturalmente alla Roma peggiore, quella maneggiona, consociativa e curiale. Probabile che questo dato (due milanesi su due) sia sfuggito alle associazioni nazionali sollecitate a indicare due nomi per il Consiglio d’amministrazione più discusso d’Italia. Ma non c’è dubbio che a configurare il tasso (alto) di autonomia e di eticità di Colombo e Tobagi abbia contribuito assai la loro formazione nella Milano di cui sopra, la stessa di Ambrosoli, di Mani Pulite, di Tobagi padre. È strano, piuttosto, che il dato sfugga a una persona che a Milano ha lungamente lavorato, Tonino Di Pietro, che non riesce a vedere nell’indicazione di quei due nomi altro che una nuova e mutata forma di lottizzazione partitica. Dall’uomo che ha portato in Parlamento De Gregorio, Scilipoti e Razzi ci si aspetterebbe, sulle nomine di qualunque ordine e grado, maggiore prudenza nei giudizi. 

LA REPUBBLICA del 26 aprile 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Ogni tanto, nella depressione generalizzata, qualcuno (anche molto autorevole) evoca la parola "crescita" con l´aria di chi indica uno squarcio tra le nubi. Il problema è che nessuno sa più che cosa voglia dire, "crescita": di che pasta sia fatta, che novità porti, a chi porti benessere e a chi penuria.
E´ passato ormai mezzo secolo dal celebre discorso di Robert Kennedy "contro il Pil", nel quale diceva, in buona sostanza, che i numeri definiscono solo delle quantità, non delle qualità. Ma ancora oggi, malgrado lo sviluppo abbia rivelato, insieme ai suoi vantaggi, anche i suoi guasti, i suoi sprechi, le sue storture, si parla di crescita come di un grumo di numeri, e basta. Nessuno dei supertecnici che a Roma o a Berlino o a Strasburgo fanno di conto, o dei leader politici che dai quei conti sono paralizzati, ha la voglia o il tempo o la capacità di dirci che cosa metterci dentro, alla scatola vuota detta crescita. L´attuale impopolarità della politica sta anche in questa reticenza ormai congenita: un gretto cumulo di cifre che non ci dice (quasi) più niente, che non ci unisce né ci divide, non ci fa sognare né litigare. Crescere: come, perché, dove, per ottenere che cosa, per essere che cosa? 

LA REPUBBLICA del 12 maggio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Incredibile ma vero, la presa di posizione di Barack Obama in favore delle unioni legali tra omosessuali non ha provocato, nel suo avversario conservatore Romney, una reazione di arroccamento. Semmai, lo ha "aiutato" a salire un gradino della lunga scala dei diritti, pronunciandosi a favore delle adozioni di bambini da parte delle coppie omosessuali. E dire che buona parte dell´elettorato repubblicano è apertamente ostile all´idea che al di fuori della famosa "famiglia tradizionale" possa esistere anche solo l´ombra di un diritto. In Italia, da anni, il tema è oggetto di indicibili, penosissime esitazioni, quasi tutte riconducibili alla convinzione che "il paese non sia ancora pronto" e alla raccomandazione di non indisporre troppo il campo avverso. Ma non essendo chiaro quando il paese sarà pronto (un anno? un secolo? un altro Evo?) ed essendo il campo avverso già indisposto di suo, non sarebbe il caso di rompere qualche indugio e sfidare qualche tabù? La dinamica Obama-Romney dimostra che imporre
l´agenda del futuro, invece di subirla, è per i progressisti non solo un dovere (che progressista è colui che non progetta il futuro?), ma anche un vantaggio. Si attendono notizie dai nostri pavidi partiti riformatori: gli anni passano, le buone occasioni pure. 

LA REPUBBLICA del 11 maggio 2012 

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Che possa essere "un genovese di una certa età già militante nell´area brigatista" uno dei sospettati per l´attentato al dirigente dell´Ansaldo, è solamente un´illazione. Piuttosto verosimile, però, perché ci rimanda dritti alla decrepitezza del nostro Paese, al nostro invecchiare tutti insieme e sempre uguali, e sempre più ingombranti, tignosi e insopportabili mano a mano che il tempo passa (possibile che non ci sia un´età pensionabile anche per i terroristi? Non è un lavoro usurante?). Non sono un´illazione, invece, le rivendicazioni che circolano in rete, laggiù nella remota e fantasmatica galassia detta "insurrezionale". Dove si parla di "infami rappresentanti del capitalismo", di "parassiti" e di "masse popolari" come nei canti di fine Ottocento, come nei manifesti murali del Dopoguerra, come nei ciclostilati degli anni Sessanta, come se tutto fosse eternato (la Storia e le persone) in un bassorilievo museale. Magari chi parla in quella maniera muffita ha vent´anni: ed è perfino più triste e più sinistra, la figura del ventenne già rincoglionito, di quella del vecchietto brigatista. 

LA REPUBBLICA del 1 maggio 2012 

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Il breve rosario di belinate sulla mafia scappate di bocca a Beppe Grillo nella sua predica palermitana ha una spiegazione tecnica quasi ovvia, ma stranamente rimossa dal discorso pubblico su Grillo e il grillismo: Grillo è un comico, ragiona e parla come un comico. E il linguaggio comico lavora sulla sintesi.
Procede per battute e brutali semplificazioni che possono anche essere fulminanti, ma solo in quel contesto. Se un intellettuale o un politico osasse liquidare un argomento tremendo come la mafia con quattro battute, verrebbe considerato un cialtrone.
La semplificazione comica è bene accetta, e liberatoria, perché ci solleva dalla complicazione della vita. Il successo di Grillo dipende (anche) dall’avere trasposto il suo carisma di semplificatore in mezzo alla polis, e di averlo fatto in un momento in cui la vita pubblica ed economica è così complicata da essere angosciante. Ma ci sono istanti rivelatori (il discorso di Palermo è uno di questi) in cui il gioco della semplificazione crea un cortocircuito, e anche il re dei semplificatori all’improvviso è nudo. Semplicemente, così come un politico che fa lo spiritoso in genere è deprimente, un comico che fa politica in genere è irritante. Contro la mafia don Ciotti, che non ha mai fatto ridere nessuno, vale un milione di Grillo messi insieme. 

LA REPUBBLICA del 24 aprile 2012 

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"I partigiani lottavano per la libertà, i fascisti stavano con i nazisti". Così Francesco Guccini si ribella all´appropriazione indebita di un verso della Locomotiva ("gli eroi sono tutti giovani e belli") stampato su un manifesto che inneggia a Salò. Non si potrebbe esprimere in maniera più semplice, e insieme più giusta, la differenza tra partigiani e repubblichini: contro il nazismo oppure a fianco del nazismo, questa fu la scelta. Eppure questa verità, oggi, suona quasi anticonformista, e perfino intellettualmente difficile: le carte sono state tutte rimescolate, e alcune anche truccate, dalla pervasiva, insistente, annosa campagna di revisionismo storico che ha accompagnato gli anni di Berlusconi, primo premier della storia repubblicana non antifascista. L´espediente retorico di rendere omaggio alla "voce dei vinti" ha finito per trasformare, pian piano, i lupi in agnelli, e la minoranza di ragazzi generosi e coraggiosi che, sebbene cresciuti dentro un regime stupido e razzista, presero la via dei monti, nel racconto revisionista viene spacciata per un potere soverchiante e opportunista. Domani è il 25 aprile e ogni anno che passa festeggiarlo diventa sempre più importante, sempre più giusto e, per quanto mi riguarda, sempre più emozionante. 

LA REPUBBLICA del 25 maggio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Confesso di essere stato colto di sorpresa dalla vastità, dalla varietà, dalla serietà delle commemorazioni per Falcone e Borsellino. Non era scontato. Abbiamo l´impressione di vivere un tempo sbrecciato, di abitare in una società destrutturata, dove la gran parte delle idee e dei sentimenti sono momentanei e volatili. Dove la bomba messa da un demente riesce a monopolizzare la scena e a levare la parola alla fatica quotidiana (compresa la fatica politica) di milioni di cittadini. Fortunatamente, non è così. Il lavoro ventennale (e oltre) di associazioni, insegnanti, sindacati, partiti, intellettuali, cittadini contro le mafie e la cultura mafiosa si è sedimentato in un´opinione pubblica (o almeno in una sua parte) che non è disposta a vivere alla giornata, senza princìpi, senza memoria, in balia del più forte. Si sono sentite (anche alla Rai, che una volta tanto ha fatto il suo mestiere di servizio pubblico) parole non banali, ricostruzioni non di comodo dei due attentati, analisi utili della vulnerabilità del nostro tessuto democratico. Che è fragile, ma non fragilissimo se vent´anni dopo le due stragi mafiose il denso groviglio di dolore, di paura ma anche di orgoglio è sembrato rivivere come allora. Non sempre le commemorazioni sono pompose e vuote. Questa è stata poco retorica, e piena di speranza. 

LA REPUBBLICA del 10 maggio 2012 

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Santanché ha ragione, perfettamente ragione. Che cosa c´entra la destra così come Berlusconi l´ha aggregata pezzo dopo pezzo (antistatale, antifiscale, illegalitaria, la sola vera "antipolitica" fin qui vincente in Italia) con il governo Monti? La fanfaluca del "partito dei moderati" che il Pdl ha finto di accreditare, negli anni, per drenare anche il voto di qualche orfano della Dc, di qualche liberale in pensione e di qualche ex lettore di Montanelli, è miseramente crollata alla prova dei fatti: ben pochi degli elettori del Pdl ha rivotato per un partito che sostiene gli odiati professori moderati e borghesi al governo, quelli che Libero e il Giornale trattano da aguzzini, servi delle banche, pedine del complotto pluto-massonico ai danni del "popolo", che sarebbe poi il nome d´arte che la piccola borghesia berlusconiana si è data… Piuttosto si astengono, o votano Grillo, facendo implodere dall´interno il presunto "moderatismo" di una destra massicciamente populista, aggressiva e antirepubblicana. Quella che ci ha governato fino a ieri, e che da qualche parte – ha ragione Santanché – prima o poi si riprenderà la scena, non appena troverà qualcuno che sia all´altezza della sua potenza e del suo rancore. 
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