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LA REPUBBLICA del 21 giugno 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
C’è davvero una “incompatibilità tra le regole dominanti dell’economia e le regole, ad essa sottomesse, della democrazia”, come si chiedeva ieri su questo giornale Gad Lerner riflettendo sulla situazione greca? Guardate che la domanda, specie se a porla non è un giovane rivoluzionario ma un maturo socialdemocratico come Lerner (e come me), è di quelle che fanno tremare le vene ai polsi. Perché se è vero, che le regole di questa economia sono monocratiche e sopraffattrici, prima o poi si tratterà di sovvertirle — o almeno correggerle radicalmente — prima che la democrazia ne esca definitivamente commissariata. E non sono le frange radicali, è la sinistra di massa, quella oramai incanutita nel quasi placido tran tran del parlamentarismo, delle elezioni, di un’alternanza che di alternativo ha davvero pochino, che si gioca il futuro se non sarà in grado di scuotersi. Il socialismo europeo, scrive ancora Lerner, rischia l’irrilevanza se si rassegna a considerare velleitaria una riforma democratica dell’architettura dell’Unione. Dato (quasi) per scontato che i socialisti non credono più nel socialismo, possiamo sperare che credano almeno nel primato della democrazia, e nella possibilità di sottomettere i famosi “mercati” ad essa, e non essa ai “mercati”? Vendola sappiamo già quello che pensa. Ma Bersani? Qui non serve la cavalleria. Serve la fanteria. 

LA REPUBBLICA del 6 giugno 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Oggi i calciatori azzurri, in Polonia per gli Europei, andranno in visita ad Auschwitz. Non è una presenza scontata, per almeno due ragioni. La prima (profondamente rimossa nella nostra memoria nazionale) è che l’Italia è stata il principale alleato di Hitler e dunque il principale complice dello sterminio: chissà se qualcuno, nella nostra delegazione, avrà la volontà di spiegarlo a ragazzi di vent’anni comprensibilmente poco avvezzi alla riflessione storica. Il secondo è che il calcio, inteso come fenomeno popolare globale, è ormai da molti anni un micidiale incubatore dei razzismi vecchi e nuovi, e in specie dell’antisemitismo: gli stadi europei sono forse l’ultimo posto al mondo dove vengono tranquillamente esposte svastiche e croci celtiche, e il saluto romano (un brevetto italiano…) accomuna le curve nazional-fasciste di mezza europa. I calciatori hanno, in questo senso, responsabilità enormi. Di complicità (a volte cosciente, a volte no) con tifoserie razziste, e soprattutto di omissione di buon esempio. Il loro comportamento, le loro parole, il loro atteggiamento in campo (per esempio quando il pubblico insulta un “negro”) sono fondamentali. Lo sport è (anche) un potentissimo vettore di valori. La speranza è che questa mattina, ad Auschwitz, qualcosa scatti nella testa degli azzurri. 

LA REPUBBLICA del 6 luglio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
La feroce determinazione con la quale i berlusconiani cercano di conservare il controllo della Rai non si spiega solo con i normali parametri della lotta per le poltrone. C’è un sovrappiù simbolico che è perfino imbarazzante dover ripetere: un forte complesso di inferiorità culturale che scatena nella destra italiana l’impulso violento a occupare per potere ciò che non è in grado di occupare per merito. La vera tragedia del berlusconismo morente, dopo quasi due decenni di purghe, censure e scorrettezze (la più scandalosa delle quali è avere imposto alla Rai uomini Mediaset, leali alla concorrenza anche se ritiravano la busta paga in viale Mazzini), è non essere stato capace di formare dirigenti, produttori, conduttori, artisti all’altezza degli odiati e cosiddetti “rossi”. Il centrodestra — con gli ovvi distinguo — ha avuto la sua piena espressione culturale ed estetica in Mediaset. Ma sapeva, sentiva, che molte trasmissioni e molti uomini della Rai facevano ombra, eccome, a quella cultura e a quell’estetica. Per questo la governanceberlusconiana alla Rai si è manifestata soprattutto in poche e dimenticate produzioni colate a picco, e nell’accanito boicottaggio di quello che, in Rai, funzionava bene. Non c’era bisogno di ordini superiori. Era un invincibile istinto: colpire chi è più bravo di te. 

LA REPUBBLICA del 27 aprile 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Trapela, in buona parte del mondo politico, una specie di timor panico nei confronti del movimento di Beppe Grillo. Considerando che i "grillini", secondo i sondaggi più benevoli, sono accreditati del sei-otto per cento dei voti, questo timor panico è indecoroso. Partiti che hanno, ciascuno, il doppio, il triplo o il quadruplo dei voti di Grillo, che sono bene introdotti nel mondo mediatico, che hanno un personale politico di lunga esperienza, che sono affiancati da centri studi di buon calibro, non possono inorridiree strillare come fanciulle che scoprono un topo sotto il letto. Non è dignitoso, e alimenta il sospetto che il sistema dei partiti, nel suo complesso, sia spaventato dalla società: quella società che dovrebbe essere, per la politica, materia prima, terreno di confronto e anche di scontro, campo di lotta a viso aperto, che produce umori benigni ma anche maligni, che cova speranze ma anche rancori, come può far così paura al mondo della politica? Che cosaè accaduto, alla politica italiana, da farle temere che "fuori" di lei, e fuori dalle sue stanze, allignino solo mostri ostili, ombre malvagie? I partiti raddrizzino la schiena e provino a uscire per la strada: si misurino faccia a faccia con quella che chiamano "antipolitica", scopriranno di essere di parecchie spanne più alti. 

LA REPUBBLICA del 3 maggio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Morire in un locale che si chiama Bolgia per colpa di una pillola che si chiama ecstasy. La tragedia è vera, vittima un povero ragazzo bergamasco di neanche vent´anni. Ma l´involucro è una turpe parodia. Quella parodia del dionisiaco che è fiorita attorno al mercato delle droghe e della sedicente "trasgressione". Un avvelenamento/stordimento di massa spacciato per "estasi", un capannone tra i capannoni che si finge "bolgia" per dare alle greggi di ragazzini conformisti e ubriachi l´illusione di commettere chissà quali eccessi, di vivere chissà quali notti. Ma l´estasi vera, quella dei grandi mistici, dei grandi alpinisti, dei grandi poeti, perfino dei grandi perversi, costa qualcosa di più dei pochi euro richiesti per questo accalcarsi da stupidi, ingannare il tempo all´ingrosso e magari morire da ingannati. L´estasi vera costa fatica e pensiero, costa – soprattutto – diversità e fuga, lontananza e solitudine. Dice un sondaggio che un terzo degli italiani prevede, in tempi brevi, una "rivoluzione", ma quel terzo di italiani si sbaglia. Nessuna rivoluzione può nascere, mai più, se non dalla rivolta contro le (tante) droghe di massa: chimiche, alimentari, economiche, culturali, psicologiche. Aveva già detto tutto Caparezza: "Sono uscito dal tunnel del divertimento". Sarebbe il primo passo per la libertà, che è perfino più della rivoluzione. 

LA REPUBBLICA del 26 aprile 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Ogni tanto, nella depressione generalizzata, qualcuno (anche molto autorevole) evoca la parola "crescita" con l´aria di chi indica uno squarcio tra le nubi. Il problema è che nessuno sa più che cosa voglia dire, "crescita": di che pasta sia fatta, che novità porti, a chi porti benessere e a chi penuria.
E´ passato ormai mezzo secolo dal celebre discorso di Robert Kennedy "contro il Pil", nel quale diceva, in buona sostanza, che i numeri definiscono solo delle quantità, non delle qualità. Ma ancora oggi, malgrado lo sviluppo abbia rivelato, insieme ai suoi vantaggi, anche i suoi guasti, i suoi sprechi, le sue storture, si parla di crescita come di un grumo di numeri, e basta. Nessuno dei supertecnici che a Roma o a Berlino o a Strasburgo fanno di conto, o dei leader politici che dai quei conti sono paralizzati, ha la voglia o il tempo o la capacità di dirci che cosa metterci dentro, alla scatola vuota detta crescita. L´attuale impopolarità della politica sta anche in questa reticenza ormai congenita: un gretto cumulo di cifre che non ci dice (quasi) più niente, che non ci unisce né ci divide, non ci fa sognare né litigare. Crescere: come, perché, dove, per ottenere che cosa, per essere che cosa? 

LA REPUBBLICA del 12 maggio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Incredibile ma vero, la presa di posizione di Barack Obama in favore delle unioni legali tra omosessuali non ha provocato, nel suo avversario conservatore Romney, una reazione di arroccamento. Semmai, lo ha "aiutato" a salire un gradino della lunga scala dei diritti, pronunciandosi a favore delle adozioni di bambini da parte delle coppie omosessuali. E dire che buona parte dell´elettorato repubblicano è apertamente ostile all´idea che al di fuori della famosa "famiglia tradizionale" possa esistere anche solo l´ombra di un diritto. In Italia, da anni, il tema è oggetto di indicibili, penosissime esitazioni, quasi tutte riconducibili alla convinzione che "il paese non sia ancora pronto" e alla raccomandazione di non indisporre troppo il campo avverso. Ma non essendo chiaro quando il paese sarà pronto (un anno? un secolo? un altro Evo?) ed essendo il campo avverso già indisposto di suo, non sarebbe il caso di rompere qualche indugio e sfidare qualche tabù? La dinamica Obama-Romney dimostra che imporre
l´agenda del futuro, invece di subirla, è per i progressisti non solo un dovere (che progressista è colui che non progetta il futuro?), ma anche un vantaggio. Si attendono notizie dai nostri pavidi partiti riformatori: gli anni passano, le buone occasioni pure. 

LA REPUBBLICA del 11 maggio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Che possa essere "un genovese di una certa età già militante nell´area brigatista" uno dei sospettati per l´attentato al dirigente dell´Ansaldo, è solamente un´illazione. Piuttosto verosimile, però, perché ci rimanda dritti alla decrepitezza del nostro Paese, al nostro invecchiare tutti insieme e sempre uguali, e sempre più ingombranti, tignosi e insopportabili mano a mano che il tempo passa (possibile che non ci sia un´età pensionabile anche per i terroristi? Non è un lavoro usurante?). Non sono un´illazione, invece, le rivendicazioni che circolano in rete, laggiù nella remota e fantasmatica galassia detta "insurrezionale". Dove si parla di "infami rappresentanti del capitalismo", di "parassiti" e di "masse popolari" come nei canti di fine Ottocento, come nei manifesti murali del Dopoguerra, come nei ciclostilati degli anni Sessanta, come se tutto fosse eternato (la Storia e le persone) in un bassorilievo museale. Magari chi parla in quella maniera muffita ha vent´anni: ed è perfino più triste e più sinistra, la figura del ventenne già rincoglionito, di quella del vecchietto brigatista. 

LA REPUBBLICA del 1 maggio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Il breve rosario di belinate sulla mafia scappate di bocca a Beppe Grillo nella sua predica palermitana ha una spiegazione tecnica quasi ovvia, ma stranamente rimossa dal discorso pubblico su Grillo e il grillismo: Grillo è un comico, ragiona e parla come un comico. E il linguaggio comico lavora sulla sintesi.
Procede per battute e brutali semplificazioni che possono anche essere fulminanti, ma solo in quel contesto. Se un intellettuale o un politico osasse liquidare un argomento tremendo come la mafia con quattro battute, verrebbe considerato un cialtrone.
La semplificazione comica è bene accetta, e liberatoria, perché ci solleva dalla complicazione della vita. Il successo di Grillo dipende (anche) dall’avere trasposto il suo carisma di semplificatore in mezzo alla polis, e di averlo fatto in un momento in cui la vita pubblica ed economica è così complicata da essere angosciante. Ma ci sono istanti rivelatori (il discorso di Palermo è uno di questi) in cui il gioco della semplificazione crea un cortocircuito, e anche il re dei semplificatori all’improvviso è nudo. Semplicemente, così come un politico che fa lo spiritoso in genere è deprimente, un comico che fa politica in genere è irritante. Contro la mafia don Ciotti, che non ha mai fatto ridere nessuno, vale un milione di Grillo messi insieme. 

LA REPUBBLICA del 24 aprile 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
"I partigiani lottavano per la libertà, i fascisti stavano con i nazisti". Così Francesco Guccini si ribella all´appropriazione indebita di un verso della Locomotiva ("gli eroi sono tutti giovani e belli") stampato su un manifesto che inneggia a Salò. Non si potrebbe esprimere in maniera più semplice, e insieme più giusta, la differenza tra partigiani e repubblichini: contro il nazismo oppure a fianco del nazismo, questa fu la scelta. Eppure questa verità, oggi, suona quasi anticonformista, e perfino intellettualmente difficile: le carte sono state tutte rimescolate, e alcune anche truccate, dalla pervasiva, insistente, annosa campagna di revisionismo storico che ha accompagnato gli anni di Berlusconi, primo premier della storia repubblicana non antifascista. L´espediente retorico di rendere omaggio alla "voce dei vinti" ha finito per trasformare, pian piano, i lupi in agnelli, e la minoranza di ragazzi generosi e coraggiosi che, sebbene cresciuti dentro un regime stupido e razzista, presero la via dei monti, nel racconto revisionista viene spacciata per un potere soverchiante e opportunista. Domani è il 25 aprile e ogni anno che passa festeggiarlo diventa sempre più importante, sempre più giusto e, per quanto mi riguarda, sempre più emozionante. 
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