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LA REPUBBLICA del 26 aprile 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Ogni tanto, nella depressione generalizzata, qualcuno (anche molto autorevole) evoca la parola "crescita" con l´aria di chi indica uno squarcio tra le nubi. Il problema è che nessuno sa più che cosa voglia dire, "crescita": di che pasta sia fatta, che novità porti, a chi porti benessere e a chi penuria.
E´ passato ormai mezzo secolo dal celebre discorso di Robert Kennedy "contro il Pil", nel quale diceva, in buona sostanza, che i numeri definiscono solo delle quantità, non delle qualità. Ma ancora oggi, malgrado lo sviluppo abbia rivelato, insieme ai suoi vantaggi, anche i suoi guasti, i suoi sprechi, le sue storture, si parla di crescita come di un grumo di numeri, e basta. Nessuno dei supertecnici che a Roma o a Berlino o a Strasburgo fanno di conto, o dei leader politici che dai quei conti sono paralizzati, ha la voglia o il tempo o la capacità di dirci che cosa metterci dentro, alla scatola vuota detta crescita. L´attuale impopolarità della politica sta anche in questa reticenza ormai congenita: un gretto cumulo di cifre che non ci dice (quasi) più niente, che non ci unisce né ci divide, non ci fa sognare né litigare. Crescere: come, perché, dove, per ottenere che cosa, per essere che cosa? 

LA REPUBBLICA del 12 maggio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Incredibile ma vero, la presa di posizione di Barack Obama in favore delle unioni legali tra omosessuali non ha provocato, nel suo avversario conservatore Romney, una reazione di arroccamento. Semmai, lo ha "aiutato" a salire un gradino della lunga scala dei diritti, pronunciandosi a favore delle adozioni di bambini da parte delle coppie omosessuali. E dire che buona parte dell´elettorato repubblicano è apertamente ostile all´idea che al di fuori della famosa "famiglia tradizionale" possa esistere anche solo l´ombra di un diritto. In Italia, da anni, il tema è oggetto di indicibili, penosissime esitazioni, quasi tutte riconducibili alla convinzione che "il paese non sia ancora pronto" e alla raccomandazione di non indisporre troppo il campo avverso. Ma non essendo chiaro quando il paese sarà pronto (un anno? un secolo? un altro Evo?) ed essendo il campo avverso già indisposto di suo, non sarebbe il caso di rompere qualche indugio e sfidare qualche tabù? La dinamica Obama-Romney dimostra che imporre
l´agenda del futuro, invece di subirla, è per i progressisti non solo un dovere (che progressista è colui che non progetta il futuro?), ma anche un vantaggio. Si attendono notizie dai nostri pavidi partiti riformatori: gli anni passano, le buone occasioni pure. 

LA REPUBBLICA del 11 maggio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Che possa essere "un genovese di una certa età già militante nell´area brigatista" uno dei sospettati per l´attentato al dirigente dell´Ansaldo, è solamente un´illazione. Piuttosto verosimile, però, perché ci rimanda dritti alla decrepitezza del nostro Paese, al nostro invecchiare tutti insieme e sempre uguali, e sempre più ingombranti, tignosi e insopportabili mano a mano che il tempo passa (possibile che non ci sia un´età pensionabile anche per i terroristi? Non è un lavoro usurante?). Non sono un´illazione, invece, le rivendicazioni che circolano in rete, laggiù nella remota e fantasmatica galassia detta "insurrezionale". Dove si parla di "infami rappresentanti del capitalismo", di "parassiti" e di "masse popolari" come nei canti di fine Ottocento, come nei manifesti murali del Dopoguerra, come nei ciclostilati degli anni Sessanta, come se tutto fosse eternato (la Storia e le persone) in un bassorilievo museale. Magari chi parla in quella maniera muffita ha vent´anni: ed è perfino più triste e più sinistra, la figura del ventenne già rincoglionito, di quella del vecchietto brigatista. 

LA REPUBBLICA del 16 marzo 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
L´altra sera guardavo un programma tivù in compagnia di un amico molto più giovane di me, e molto interconnesso. Quasi ogni minuto, dunque quasi in diretta, lui leggeva (e mi leggeva) la gragnola di commenti su Twitter. Più ancora della violenza verbale, e della sommarietà dei giudizi (si sa, lo spazio è quello che è), mi ha colpito la loro assoluta drasticità: il conduttore era per alcuni un genio, per altri un coglione totale, e tra i due "insiemi", quello pro e quello contro, non esisteva un territorio intermedio. Era come se il mezzo (che mai come in questo caso è davvero il messaggio) generasse un linguaggio totalmente binario, o X o Y, o tesi o antitesi. Nessuna sintesi possibile, nessuna sfumatura, zero possibilità che dal cozzo dei "mi piace" e "non mi piace" scaturisse una variante dialettica, qualcosa che sposta il discorso in avanti, schiodandolo dal puerile scontro tra slogan eccitati e frasette monche.
Poiché non è data cultura senza dialettica, né ragione senza fatica di capire, la speranza è che quel medium sia, specie per i ragazzi, solo un passatempo ludico, come era per le generazioni precedenti il telefono senza fili. E che sia altrove, lontano da quel cicaleccio impotente, che si impara a leggere e a scrivere. Dovessi twittare il concetto, direi: Twitter mi fa schifo. Fortuna che non twitto… 

LA REPUBBLICA del 6 aprile 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Tra le varie incredibili cose che si leggono sulla Lega, la più incredibile è che l’ultimo congresso federale di quel partito è del 2002. Dieci anni fa! Un partito che non affida le proprie sorti ai congressi, cioè al dibattito e alla verifica politica tra dirigenti e delegati, non è un partito democratico. Può anche essere un partito “di popolo”. Ma se il capo e il suo entourage esercitano il potere, per molti anni, in totale autonomia, senza doverne rendere conto a nessuno, la democrazia è solo un remoto fantasma. Nella discussione sulla riforma (urgentissima) dei partiti, non basta parlare solo del loro finanziamento. Bisogna parlare anche del loro funzionamento. La comunità nazionale non ha alcun interesse a dare quattrini a partiti che non garantiscano democrazia interna e (dunque) trasparenza. La scadenza dei congressi dovrebbe essere stabilita per legge, così come accade per le assemblee degli azionisti e per i Consigli di amministrazione. Dove girano soldi, specialmente soldi pubblici, devono esserci regole chiare. I porci comodi dei Bossi e dei loro amici sarebbero stati meno comodi se la Lega avesse funzionato come un partito democratico e non come una consorteria di avventurieri. 

LA REPUBBLICA del 18 aprile 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Per arrivare preparati a un futuro di sconquassi, sarà bene evitare di chiamare "antipolitica" tutto quello che non capiamo. Specialmente noi anzianotti, cresciuti dentro una società fatta di partiti e di sindacati, tendiamo a buttare in quel sacco tutto e il contrario di tutto. Ma è sbagliato. La sola vera antipolitica (non da oggi) è la non-politica. È il menefreghismo civico, la tirchieria volgare di chi alla cosa pubblica non dà nulla (neppure la fatica di informarsi) ma da lei tutto pretende. È l’evasione fiscale, il qualunquismo ignorante, la furbizia plebea opposta all’impegno popolare.
Suggerirei di non definire antipolitica, invece, ciò che ribolle fuori dai partiti, e si raggruma in rete e altrove attorno a parole d’ordine certo molto discutibili, ma totalmente politiche. Il grillismo (che non amo) è certamente politica. E, per quanto rozzamente espressi, sono materia politica anche lo sdegno contro i privilegi castali, il sordo sommovimento contro il sistema dei partiti, perfino la contestazione del sistema di riscossione fiscale incarnato da Equitalia. Alcune di queste pulsioni sono tipicamente di destra. Altre populiste di sinistra. Altre ancora del tutto nuove e tutte da interpretare. Esorcizzare il tutto definendolo "antipolitica" serve solamente a tapparsi occhi e orecchie. 

LA REPUBBLICA del 30 marzo 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Dopo i famosi diari di Hitler e di Mussolini, il senatore Dell´Utri ha acquistato all´asta anche alcuni volantini delle Brigate Rosse. Probabilmente possiede, in una teca, anche la barba di Landrù, un cannone di Bava Beccaris, la patente di Pacciani e la testa mozza del Battista, assecondando una vocazione collezionistica decisamente "noir". Per puntellare l´aspetto storico-culturale di questo suo pallino, il senatore ha poi dichiarato che quelle carte insanguinate gli serviranno per allestire "una mostra sul Sessantotto come motore del terrorismo". Ovviamente ognuno è libero di sostenere ciò che gli pare intelligente, compresa una così sciocca banalizzazione della storia del nostro Paese. L´importante è che il senatore, per dare meritato respiro alla sua mostra, allarghi la ricerca storica � a proposito di terrorismo � anche ai rapporti tra mafia e politica, tra servizi segreti e stragi, tra neofascismo e bombe, tra Gladio e il traffico d´armi e tritolo in giro per l´Italia. Il problema, temiamo, è documentale: per quanto abilissimo nello scovare carteggi, diari, epistole, Dell´Utri difficilmente riuscirà a procurarsi qualcosa da esporre. Le Brigate Rosse scrivevano le loro truci sentenze. Mafia e servizi non hanno lasciato tracce. 

LA REPUBBLICA del 20 aprile 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Che un partito politico (la Lega) paghi al suo capogruppo (Calderoli) l´affitto di un appartamento a Roma, non è uno scandalo. Specie se raffrontato ai tanti scandali veri, e disgustosi, venuti alla luce a proposito dell´uso dei fondi pubblici destinati ai partiti. Ma si fatica, ormai, a fare distinzioni, a giudicare caso per caso. Si fatica perché ogni ragionamento è subito sommerso dalle urla indistinte della rivolta contro i partiti, e basta un giretto sul web per intendere che su questo argomento per ogni voce pacata ce ne sono dieci isteriche e violente, già disposte, in cuor loro, a sputare 
sull´incatenato e ad applaudire il boia. È uno dei danni collaterali delle rivoluzioni: nel polverone, tra le rovine, nelle strade invase, tutti i braccati si assomigliano, siano grandi o piccole (e a volte inesistenti) le loro responsabilità. È come se, nella canea, andasse smarrito il vaglio delle colpe. E chi ha davvero rubato, chi ha scialato denaro pubblico, chi lo ha sottratto per i suoi porci comodi, è sempre il primo a dire che tutti sono ladri e tutti sporchi. Il vero politico ladro ha tutto l´interesse che si diffonda un clima di linciaggio: nella confusione, può sperare di farla franca. 

LA REPUBBLICA del 3 aprile 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Gli italiani seguono le cose della Fiat con speciale partecipazione e un velo di affetto. È inevitabile, in ogni famiglia c´è stata almeno una Fiat, e ben pochi marchi sono simbiotici all´immagine e alla storia di un Paese quanto Fiat e l´Italia. Anche per questo il crollo delle vendite mette di cattivo umore, è come un presagio malevolo, si somma all´asprezza dello scontro sindacale, alle tante voci di fuga in America, e soprattutto all´ormai annosa attesa di "nuovi modelli" che, più di ogni altra cosa, darebbe il segno di una perdurante vitalità industriale, creativa, futuribile. Al di là dei comunicati ufficiali, e di un volto aziendale che su questi argomenti appare inespressivo, reticente o del tutto chiuso, una questione "tecnica" sta diventando, di anno in anno, un tema popolare: si aspetta una Fiat davvero nuova come un piccolo scatto d´epoca, un colpo di reni, e si pensa che
l´assenza di nuove Fiat (che non siano l´ennesimo remake, o un’americana travestita) sia uno dei più evidenti sintomi della crisi del nostro sistema industriale, dell´ingegneria creativa che ha dato, se non tutto, moltissimo allo sviluppo economico italiano. Da quando sono nato ogni età della mia vita ha avuto per corredo una nuova Fiat. Tranne l´età presente e, temo, quella futura. Collego la Fiat al passato, e non è un bel segno. 

LA REPUBBLICA del 30 maggio 2012 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
È solo un dettaglio. Ma vedere e sentire il redivivo Capezzone sbucare in un tigì per dire che «la vera grande opera è mettere in sicurezza tutto il Paese» desta totale sbalordimento. Neanche rabbia: puro sbalordimento. Ma come? Non era e non è, Capezzone, portavoce del partito di Berlusconi o di quel poco che ne rimane? E quando mai, nei lunghi anni di potere dell´uomo del ponte sullo Stretto, della New Aquila (!?), della cementificazione allegra, la messa in sicurezza di qualcosa è stata una priorità, o anche semplicemente un´urgenza? Non erano forse gli ambientalisti menagramo e nemici dello sviluppo a sostenere che bisognava usare tutti i quattrini a disposizione per aggiustare l´esistente, piuttosto che speculare sull´inesistente? Non erano forse gli intellettuali rompiballe, i geologi squattrinati, i vetero di ogni risma, quelli che remavano contro, a ripetere che è assurdo vaneggiare di grandi opere straordinarie in un Paese che, ordinariamente, si sgretola e cigola in ogni sua giuntura, strutturale e infrastrutturale? E adesso sbuca questo qui, verso l´ora di pranzo, a spiegarci che «la vera grande opera» è aggiustare quello che è rotto? Ma con che faccia? Con che coerenza? Con che curriculum? Con quali parole e quali atti alle spalle, che lo autorizzino a qualcosa di diverso da un doveroso silenzio? 
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