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LA REPUBBLICA del 15 aprile 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
"Facciamo il possibile per combattere il razzismo ma anche i media devono darci una mano", dice il direttore sportivo della Juventus Marotta. Eccoci qua, pronti a dare una mano e addirittura un suggerimento. Quasi ogni stadio italiano ha, in curva, il suo nazi-point. Quello in dotazione alla Juve ha accumulato, quest’anno, il record di multe per cori razzisti, e il cumulo è tale da rasentare la squalifica del campo. Nessuno meglio dei dirigenti della Juve è in grado di sapere chi sono i farabutti che insozzano quel magnifico stadio. Più in generale: nessuno meglio dei dirigenti del calcio italiano conosce nome, cognome e indirizzo dei capi tribù che tengono in ostaggio gli stadi, gli autogrill, le domeniche di noi tutti. Ecco dunque il suggerimento: la società Juventus, che dalla piaga del razzismo è danneggiata moralmente ed economicamente, faccia pressione sulle altre società professionistiche per una denuncia congiunta, forte, energica, ufficiale, molto pubblicizzata, di quei mascalzoni. È pericoloso? Sì, probabilmente lo è. Ma è certamente più pericoloso, in Sicilia o a Napoli o in Calabria, ribellarsi al pizzo. Eppure c’è chi lo fa. Gli ultras sono forse più potenti della mafia? E nello specifico, la Fiat è disposta a farsi tenere in pugno da quattro nazistelli? 

LA REPUBBLICA del 17 aprile 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
In mezzo a tutte queste tristezze, chi l’avrebbe mai detto che le notizie made in Berlusconi, per vent’anni fonte di depressione e scoramento, ci sarebbero venute in soccorso? I resoconti (nelle pagine molto interne dei giornali) del cosiddetto processo Ruby sono uno dei pochi momenti di svago di questo periodo: come quando, nei cinema di una volta, i cinegiornali sulle attricette facevano capolino tra primo e secondo tempo di un polpettone troppo impegnativo. Ieri, per esempio, siamo venuti a sapere che una delle ragazze si esibiva “travestita da Ronaldinho”. Non la Minetti, che per rispetto del suo ruolo politico-istituzionale si vestiva autorevolmente da suora. Un’altra, una delle tante, non si sa se di quelle poi gratificate e promosse, o disgustate e oggi testimoni a carico. Vestita da Ronaldinho, comunque. Chissà se completa di scarpe bullonate e altri accessori, nessuno dei quali, comunque, di intuitiva funzione erotica. Si commenta con gli amici del bar e si ride. Il rischio – diciamolo – è di dubitare dell’orgia, e dovere ammettere, con deplorevole ritardo, che si trattava effettivamente, se non di cene eleganti, di festicciole per stupidoni e stupidone. 

LA REPUBBLICA del 4 aprile 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Più che alla disonestà vera e propria, gli scandali della Lega fanno pensare alla disperata precarietà strutturale di un partito inventato da un fanfarone di paese, finto medico, cantante fallito, che per oltre vent´anni è riuscito ad abbindolare un popolo evidentemente abbindolabile. Tutto, nella storia leghista, è improvvisato e cialtrone, a partire da quel logo fantasma, "Padania", che non ha alcuna attinenza con storia e geografia e pare sortito da un partita notturna a Risiko annaffiata da troppo alcol. Proseguendo con il ridicolo crak del credito padano, l´inverosimile carriera politica del povero Trota, il cerchio magico con le fattucchiere e le badanti, l´università dell´Insubria, gli amiconi illetterati messi alla Rai per puro sfregio, i finti ministeri a Monza, gli elmi cornuti, gli affaroni in Tanzania… È quasi prodigioso che con ingredienti così poveri la grande simulazione di Bossi abbia potuto reggere così a lungo. È come se un "Amici miei" di basso rango fosse arrivato a governare un Paese. Poi i giudici, non per colpa loro, arrivano sempre dopo. Dopo che milioni di italiani l´hanno bevuta, ci hanno creduto, si sono tappati occhi e orecchie per non sentire e non vedere. 

LA REPUBBLICA del 31 maggio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Memorabile lo speciale di Bruno Vespa sul terremoto, l´altra sera. L´ho seguito per un paio d´ore, al tempo stesso ammirato e atterrito
dall´eccitazione quasi folle che la catastrofe aveva innescato nell´uomo e nel professionista. Parlando a mitraglia, con lo sguardo acceso, a volte mulinando una bacchetta per indicare mappe, coordinare inviati, ammonire geologi, Vespa ha in pratica gestito da solo i soccorsi. Punto alto della serata, il severo monito da lui rivolto a una terremotata affinché raggiungesse immediatamente, non si sa perché, un albergo di Reggio Emilia. La signora, costernata, non ne aveva alcuna voglia, ma le è mancato l´animo di dirlo, forse perché le dispiaceva deludere Vespa. Niente poteva sfuggirgli: discrepanze nelle carte telluriche, disponibilità di camere d´albergo nel raggio di centinaia di chilometri dall´epicentro, imprecisioni di sindaci e assessori sul numero esatto delle brande, delle cucine da campo, dei picchetti per le tende. Gli ospiti hanno potuto parlare pochissimo, anche perché dopo poche sillabe Vespa toglieva loro la parola per dire meglio di loro quanto avrebbero voluto dire. Sono rimasti per ore, muti e attoniti, seduti ai loro posti, chiedendosi anche loro perché era così urgente che almeno alcuni dei senzatetto raggiungessero immediatamente Reggio Emilia. Ma non hanno osato chiederlo. 

LA REPUBBLICA del 5 febbraio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Muoversi, spostarsi continuamente, viaggiare è una facoltà. Un vantaggio dei tempi. Ma non è un diritto. Non c´è tecnologia, organizzazione sociale, governo illuminato che possano garantire a tutti, sempre, comunque la possibilità di attraversare una città o una regione o un paese. I mari in tempesta, la neve e il ghiaccio, le avversità naturali e climatiche limitano la nostra libertà di movimento. Nelle lamentele e nelle polemiche di questi giorni c´è una parte di ragione: se una città si paralizza perché nessuno ha pensato a spargere il sale nelle strade, siamo di fronte a un´omissione evitabile. Ma c´è un sovrappiù di ira e di stizza che discendono dall´illusione che tutto sia diventato facile, disponibile, agevole, così che al primo ostacolo cominciamo a inveire contro il governo ladro o il sindaco scemo o la Protezione civile inetta. Ma un viaggio, se si è in carne e ossa e ci si muove in un paese dai contorni reali, non è una applicazione del palmare. Non si risolve in un "on" e "off". Non è garantito per contratto. Capita di doversi fermare, anche contro la propria volontà. Capita di non essere onnipotenti e onnipresenti. 

LA REPUBBLICA del 8 marzo 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Che palle (scusate la franchezza) l´interminabile e purtroppo interminato rosario di film e fiction tivù italiani sul crimine, i criminali, le bande criminali, le storie criminali, le vite criminali… con quei promo tutti uguali, primi piani di bei ceffi tenebrosi o sarcastici che minacciano o irridono, e il sibilo delle pallottole, i tonfi dei corpi, le macchine che inchiodano, le portiere che sbattono, le banconote che frusciano, le righe di cocaina e la recitazione sempre sopra le righe. Li si confonde tutti, ormai, perché la moda è moda, ripetizione pigra e modulare di idee un tempo inedite e oggi dozzinali, così che dopo Gomorra sono arrivati i similGomorra e i viceGomorra, e dopo la banda della Magliana qualunque assembramento di giovani farabutti di cui resti traccia negli archivi dei giornali, anche di provincia, diventa "un´epopea del crimine". A furia di promuovere tutti quei banali giovani maschi feroci, e vecchi maschi avidi, a "supereroe del crimine", c´è chi teme il cattivo esempio. Non so se davvero l´emulazione sia un problema. Ma francamente, nel dubbio, il primo che fa un film dove il criminale è solo un poco invidiabile stronzo, lo propongo per l´Oscar. 

LA REPUBBLICA del 8 febbraio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
"In un Paese normale dopo un fatto del genere ci si ritirerebbe a vita privata", dice Ignazio Marino a proposito del senatore Luigi Lusi. Il concetto parrebbe ovvio, ma ovvio non è. Accusato di avere fatto sparire la bellezza di 13 milioni dalle casse del suo partito (Margherita, poi Pd), Lusi non solo non si è ritirato a vita privata, ma occupa la vita pubblica con il piglio del protagonista, passandosela da capro espiatorio, da vittima predestinata, da "mostro che fa comodo a molti", in un crescendo sibillino e confuso di dichiarazioni e confidenze che tutto spiegano, tranne perché diavolo si sia appropriato di quattrini non suoi. Si capisce che Lusi, colpito da accuse tanto gravi, possa avere perduto lucidità, e cerchi di difendersi con tutte le sue forze. Ma si capisce, anche, quanto sia mutato, negli ultimi anni, il clima psicologico e culturale che circonda questo genere di reati. Un tempo erano una macchia infamante sull´onore del politico: bastava un avviso di garanzia per sentirsi fuori dai giochi. Oggi è come se questi maneggi disinvolti di denaro pubblico fossero parte integrante della lotta politica e dunque materia di dibattito, di distinguo, di contrattacchi polemici, in un guazzabuglio etico e perfino normativo che descrive spietatamente la progressiva perdita di senso del lecito e dell´illecito. 

LA REPUBBLICA del 9 marzo 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Naturalmente il ministro Riccardi, per responsabilità di ruolo, deve rimangiarsi la frase su quanto è schifosa la politica quando è giochino di bottega, ricatto, sotterfugio ipocrita per non svelare i propri veri scopi. Ma quel giudizio, per quanto ruvido, esprime un sentimento diffuso, e ahimè ampiamente giustificato da quello che la politica dei partiti è stata, in larga misura, negli ultimi anni. Che un giudizio del genere non provenga da un qualunquista da bar, o da un grillino di passaggio, ma dal ministro di un governo che di politica (giusta o sbagliata che sia) ne fa a tonnellate, nonché da una persona impegnata nel sociale come dieci leader di partito messi assieme, è cosa che non può non mandare in bestia i mandarini del Pdl, che vedono il proprio potere usurpato dal "governo tecnico" e il proprio patrimonio di voti scemare di giorno in giorno. La novità che rende affascinante, incerto, decisamente inedito il panorama politico italiano è proprio questa: fuori dai partiti non c´è solo l´antipolitica, come è stato molto comodo dire negli ultimi anni. Fuori dai partiti c´è anche molta politica, e in questo momento, addirittura, c´è il governo. I partiti cominciano a capirlo, e per questo diventano ogni giorno più nervosi. Nel caso del Pdl, più aggressivi. 

LA REPUBBLICA del 16 febbraio 2012

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
I (pochi) oppositori del "no" olimpico di Monti sostengono che il rilancio di un paese in crisi passa anche dalla fiducia nelle proprie forze e nel futuro, e rinunciare ai Giochi significa quasi ufficializzare il clima da Grande Depressione, perpetuandolo. Sarà: ma deprime di più pensare a un paese che, per anni, ha lasciato dissestare il proprio territorio e andare in malora le proprie infrastrutture, accettando treni vergognosi (a parte la Tav), servizi scadenti, scuole languenti, in cambio dell´illusione di Grandi Opere megalomani e spesso solo sulla carta, fumo negli occhi come il Ponte sullo Stretto, vetrine pacchiane che celano un retrobottega vuoto. Tra le famose "scelte della politica", specie in tempi di penuria, una normalità decente vale molto di più di una straordinarietà luccicante ma illusoria. Il famoso paese normale che tutti invochiamo – per ora inutilmente – è anche un paese che non considera mediocre o perdente una dignitosa quotidianità, e diffida dell´ottimismo cialtrone come delle sabbie mobili. Le Olimpiadi non dispiacciono a nessuno, ma il vero sogno italiano, di qui al 2020, sarebbe ristabilire un minimo di gerarchia tra l´indispensabile e il superfluo. Il secondo, senza il primo, è puro inganno. 

LA REPUBBLICA del 3 febbraio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
"La più colossale banca dati che il mondo abbia mai visto": così Vittorio Zucconi, ieri su questo giornale, definiva Facebook, aiutando anche i poco esperti in materia (per esempio me) a capire la favolosa quotazione in Borsa della società del giovane Zuckerberg. Zucconi calcola anche il valore commerciale di ciascuno degli ottocento milioni di abitanti di Facebook: dieci centesimi. Spiccioli che il social network ha saputo assemblare fino a farne una montagna d´oro, trasformando una moltitudine di singoli consumatori in un immane corpus transnazionale. Un archivio dei gusti umani consultabile da chiunque voglia farne commercio. Niente di illegale, è evidente, e neanche niente di subdolo: chi apre porte e finestre di casa sua in rete, sa bene di rendersi visibile non solo ad amichetti e amichette ciarlieri, ma anche alla più pervasiva e capillare rete commerciale della storia. Ma se questo gregge smisurato di umani, venduto e comperato all´ingrosso ogni millesimo di secondo, dovesse rendersi conto del pluslvalore che produce, e che gli viene oggettivamente estorto; e trovasse i modi e i mezzi per rivendicare per sé almeno parte dei miliardi lucrati sulla sua visibilità: beh, al confronto anche la rivoluzione proletaria sarebbe una barzelletta. E il mondo tremerebbe dalle fondamenta. 
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