LA REPUBBLICA del 23 ottobre 2012
In una delle tante trasmissioni radio e tivù recentemente riciclate nel genere “dagli alla Casta” (gettonatissimo, ma a rischio di inflazione), il conduttore ha raccontato l’ultima impresa della Polverini spiegando che ha usato l’auto di scorta per andare a comperare, in contromano, “un paio di scarpe di gran lusso”. Mi è tornato alla mente un magistrale titolo di “Cronaca vera” di tanti anni fa: “Violenta la cognata su un tappeto di gran pregio”. Nel quale l’efferatezza del crimine viene esaltata, come si intende, dalla cornice di sfrenato comfort nel quale matura. Come è ovvio, il gesto della Polverini sarebbe stato ugualmente censurabile anche se fosse andata all’Upim, o a prendere un caffè da sua zia. Ma specificare che puntava a un paio di scarpe “di gran lusso”, in tempi di crisi, rende lo scandalo, diciamo così, più scandaloso. Allo stesso modo, quando sui giornali si vuole fare polemica contro questo o quello, si scrive che è “lautamente pagato”. Nessun cattivo, se notate, è mai normalmente pagato. Tutti lautamente. E calpestano tappeti di gran pregio calzando scarpe di gran lusso.
LA REPUBBLICA del 15 dicembre 2012
Ragionando in astratto, ma anche in concreto, l’ipotesi di un centrodestra guidato da Monti che sfida un centrosinistra guidato da Bersani è quasi inebriante. Non dimentichiamo che stiamo parlando di un Paese ormai assuefatto a un micidiale mix di volgarità e inettitudine, nel quale più nulla pare riformabile, rimediabile, curabile. La normalità ci è negata da tempo, e la sola idea che a Palazzo Chigi, chiunque vinca le elezioni, ci vada una persona normale, quasi commuove, e ridispone alla serenità come la convalescenza dopo la malattia. In questo quadro non mi è chiaro in base a quale sofisticato calcolo alcuni del Pd hanno accolto di malanimo l’eventualità di una candidatura di Monti. Non aveva forse detto, il saggio Bersani, che il bene del Paese viene prima del bene del partito? Un Monti leader del centrodestra invece del vaneggiante e derelitto Berlusconi, sarebbe o non sarebbe un bene per il Paese? Il fatto che Monti sia un avversario più autorevole e dunque più impegnativo e pericoloso del sedicente Silvio è ovvio. Ma il livello dello scontro elettorale salirebbe di parecchio; e chiunque aspiri a governare non può che desiderare che la politica recuperi decenza e credibilità.
LA REPUBBLICA del 18 dicembre 2012
Mi chiedono perché non sono su Twitter, perché non sono su Facebook, e me lo chiedono con una vena di divertita commiserazione. Eppure la risposta è facile: già mi sembra di scrivere troppo, e dubito di saper governare come dovrei e vorrei le parole che produco. Non vedo perché dovrei ulteriormente inflazionare quel “me pubblico” che già sospetto inflazionato. Mi manca il silenzio, non ulteriori parole. Aggiungo che mi confonde, sui social-network, il non chiaro confine tra privato e pubblico, tra la ciancia amichevole, che è svagata e può concedersi anche la sbracatura, l’approssimazione, e la parola pubblica, che invece considero (per rispetto degli altri e di me stesso) impegnativa, meditata. Può darsi che io non abbia capito, come spesso mi rimproverano, “che cosa sono” i social- network, a cosa servono. Ma mi capita di leggere, poi, tweet di colleghi giornalisti, firme rispettate e di solida cultura, che mi paiono — scusate il latinismo — cazzate spaventose. Ne dico tante, ma a cena con gli amici, o al bar, insomma in privato. Se il network è “social”, è piazza, allora ogni tweet merita la stessa attenzione e fatica che si dedica a un editoriale. A casa si sta in ciabatte, ma per uscire si mettono le scarpe. Possibilmente pulite.
LA REPUBBLICA del 19 ottobre 2012
Comunque la si pensi, la sortita di Massimo D’Alema (“e va bene, me ne vado. Ma solo se vince Bersani”) è un colpo geniale. Che sia l’ultimo, perfido machiavellismo di un leader detronizzato e vendicativo, oppure la mossa d’orgoglio di un vecchio capo che vuole salvare il suo partito dai Barbari, è una sortita che ribalta la scacchiera così come Matteo Renzi l’aveva fin qui allestita. Suscita diffidenza l’idea dalemiana, più volte ribadita, che la politica sia soprattutto una partita a scacchi. L’eccessiva fiducia nella tattica (specie nella propria) può anche portare a infilarsi nell’imbuto della Bicamerale, e far morire per asfissia, insieme ai propri calcoli personali, le speranze di una intera stagione politica. Ma in questo caso l’artifizio tattico è così spiazzante, e così perfetto, da suscitare l’applauso dell’intero stadio. Fossi nella curva renziana, applaudirei comunque, si fa bella figura e si dimostra di avere capito la lezione: puntare troppo sulla rottamazione non rischia di dare troppa importanza, dunque troppo potere, ai rottamandi?
LA REPUBBLICA del 24 ottobre 2012
Il prefetto di Napoli è stato subissato da una tale quantità di critiche e sberleffi (meritati) che si esita a infierire. Ma c’è un punto, potentemente politico, che merita una ulteriore riflessione. Il prefetto non sa che “signore” (e ovviamente “signora”) è molto di più di prefetto, eccellenza, commenda-tore, cavaliere, dottore. Più di signore – che vuol dire Sire, ed è il titolo onorifico di Dio – non esiste nulla. E mano a mano che un appellativo così assoluto diventa appellativo di tutti, finalmente ciascuno diventa signore di se stesso: è la democrazia. Il prefetto De Martino ha parlato nel nome di quell’inguaribile notabilato meridionale – e più in generale di quella inguaribile piccola borghesia italiana – che vive di titoli, onoreficenze, diplomi da appendere dietro la scrivania, perché non è mai stata contagiata dal virus liberatorio della con-cittadinanza. Quel virus, che la Rivoluzione Francese tentò di esportare quasi ovunque, nel nostro povero Sud morì infilzato sui forconi della Santa Fede, ferale alleanza tra plebi servili e baronie neghittose, con la benedizione del Papato. Le conseguenze le paghiamo ancora: abbiamo molti parrucconi, pochissimi signori.
LA REPUBBLICA del 16 dicembre 2012
“Se mi dicono che non posso più prendere un taxi o offrire un caffè al bar, io mi adeguo”, dice il consigliere regionale Bossetti (Lega Nord) al quale la Procura di Milano chiede conto di alcune pittoresche richieste di rimborso spese alla Regione. Come il collega di partito Toscani (cartucce da caccia, ostriche, cioccolata), come Renzo Bossi (videogiochi, sigarette, bibite), come la miracolata Minetti (creme per il viso, iPhone, cenette), come decine di altri colleghi, Bossetti sposa una linea di difesa tra l’amareggiato e l’offeso. Come se non capisse esattamente perché mai si scatena tutto questo casino “per un taxi e un caffè”. Naturalmente non si tratta di un taxi e di un caffè, ma di una lista pantagruelica e ridicola di spese voluttuarie il cui simbolo supremo sono le creme per il viso della Minetti (sì, gliele avete pagate voi con le vostre tasse). Ma anche fossero solo un taxi e un caffè, la cosa sbalorditiva è che non li sfiora nemmeno l’idea di pagarseli di tasca loro, il taxi e il caffè, come da una vita fanno le persone normali. Lei non ha idea, consigliere Bossetti, di quanti taxi e quanti caffè potrebbe ancora prendere liberamente (addirittura andando in taxi a prendere il caffè, o bevendo un caffè in taxi) se solo decidesse di mettere mano al portafogli. Il suo.
LA REPUBBLICA del 25 ottobre 2012
Su Claudio Scajola c’è da dire una cosa soltanto: è letteralmente incredibile che ancora faccia politica attiva dopo l’indimenticabile vicenda della casa romana pagata “a sua insaputa”. Da questa considerazione ne discende un’altra. Forse ancora più grave. Questa: che una classe dirigente incapace di mettere alla porta persone così compromesse è destinata a essere travolta, prima o poi, da un’onda feroce e indiscriminata, che nella foga confonderà – e già confonde adesso – meriti e demeriti, colpevoli e innocenti. In questo senso c’è un nesso fatale tra il caso Scajola e il caso Melandri: la nomina di quest’ultima a direttore del Maxxi suscita ostilità a prescindere, in quanto esponente politica ed ex ministro, senza che sue eventuali competenze vengano tenute in alcun conto. Paga (e altri pagheranno dopo di lei) l’incapacità di un intero ambiente che non ha saputo emendarsi, si è chiuso a riccio, si è tenuto stretto i suoi furbi, i suoi ladri, i suoi venduti, con il risultato di godere, oggi, di una impopolarità travolgente. Gli umori di massa non sanno fare troppi distinguo. Doveva farli, quei distinguo, la classe dirigente. Ora è troppo tardi.
LA REPUBBLICA del 26 settembre 2012
Ovviamente la galera, per chi insulta o diffama a mezzo stampa, è una pena sproporzionata, e sinistramente intimidatoria nei confronti di chi scrive sui giornali. Ma questo non alleggerisce di un grammo le responsabilità morali e sociali di chiunque usa pubblicamente le parole; anzi le aggrava, perché l’esercizio della libertà di opinione circonfonde i giornalisti di un’aura di intoccabilità (di tipo castale, visto che va di moda dirlo) della quale è vile approfittare. L’articolo scritto sotto pseudonimo sul Giornale nel 2007 (e imputato al direttore responsabile Sallusti) conteneva opinioni violente ma soprattutto divulgava notizie false (rimando, per ragioni di spazio, all’esauriente analisi che ne fa Alessandro Robecchi sul suo blog). Diffama più il suo autore che le sue vittime. È lo stesso genere di giornalismo che molti anni prima, diciamo così ai suoi gloriosi albori, arrivò a pubblicare su un quotidiano milanese della sera nome, cognome e indirizzo delle donne di Seveso che avevano deciso di abortire per timore degli effetti della diossina. Brillanti carriere sono nutrite anche di queste sconcezze. La legge, effettivamente, è uno strumento goffo e inadeguato per misurare certi abissi.
LA REPUBBLICA del 28 novembre 2012
Vicende come quella dell’Ilva alimentano un sospetto radicale. Che questa crisi non finirà mai: nel senso che questo sistema produttivo, questa organizzazione del lavoro, questi modelli di consumo hanno concluso la loro parabola ascendente, imboccando la china declinante. Se questo è vero – se, cioè, la crisi è davvero “strutturale” o “di sistema” come dicono in parecchi – chiunque annunci la fine della crisi mente; o si sbaglia; o si sente in dovere di dare conforto. L’agonia di un sistema – o di una civiltà – fa comunque parte della fisiologia della storia umana. La cosa davvero interessante da sapere e da capire, oggi, è dove sono, nel mondo e Italia, i semi della società futura e di una nuova economia; dove e perché nascono nuovi lavori e dunque nuovi posti di lavoro (quelli vecchi sono destinati ad assottigliarsi sempre di più) ; quali sono le persone e i luoghi che continuano a pensare il futuro e soprattutto ad architettarlo. Se fossi un leader politico cercherei in tutti i modi di scovare queste energie, organizzarle, metterle in rete. La grande utopia, per la politica di oggi, è provare a evitare che sia una guerra mondiale a segnare, come è quasi sempre accaduto, il passaggio d’epoca.
LA REPUBBLICA del 19 dicembre 2012
Forte dei suoi 20.252 elettori alle primarie online (andranno in Parlamento persone che hanno avuto 90 preferenze, giusto i parenti e la cerchia degli amici più stretti), Beppe Grillo definisce “buffonarie” le imminenti primarie del Pd per scegliere i suoi candidati. In termini squisitamente matematici, è come se un criceto desse del nano a un elefante. In termini politici sarebbe interessante e utile capire in base a quali criteri logici, o etici, o dialettici, il sistema di selezione dei candidati adottato da Grillo (20.252 votanti alle sue primarie) sia migliore o più democratico o più rappresentativo o più efficiente di quello adottato dal Pd o da chiunque altro. Ma non lo sapremo mai, perché Grillo è uomo di sintesi (anche l’invettiva è una sintesi) ma non di analisi: e dunque se dice “Tizio è un cretino” e tu gli chiedi di spiegarti perché, la conversazione ha termine. Infine in termini umani – che perfino in politica, dopotutto, non sono così secondari – quello che colpisce, in Grillo, è la totale mancanza di magnanimità e di generosità nel giudicare chiunque non sia egli stesso, e qualunque atto o parola non gli appartenga. Lui ha ragione e gli altri torto, punto e basta. Fatte dagli altri, le primarie sono comunque merda. Fatte da lui (20.252 elettori), oro.