LA REPUBBLICA del 24 gennaio 2012
In un dibattito televisivo il rappresentante dei farmacisti italiani – un signore anziano e combattivo – non ha saputo o voluto dire quanto rende, in media, una farmacia in una grande città. Ha saputo e voluto dire tutto il resto: quali problemi, quali rinunce, quali ingiustizie la categoria rischia di patire con la (parziale) liberalizzazione del settore. E ha anzi molto insistito con il conduttore affinché si parlasse di cifre e di aspetti concreti. Ma uno dei dati decisivi per formarsi un´opinione sulla questione – quanto guadagna una farmacia bene avviata – è stato platealmente omesso. È francamente incomprensibile la reticenza degli italiani riguardo ai quattrini: sono diventati, per come va il mondo, il segno dei segni, la regola delle regole, eppure quando si tratta di dire quanto si guadagna il discorso si fa pudico e omertoso, come se si stesse parlando di sesso. Questo rende molto più complicato, e forse insolubile, il discorso sulle cose economiche, perché il nocciolo se ne resta nascosto dentro una densa polpa fatta solo di lamentele e autocommiserazione, come se ogni categoria professionale fosse in ginocchio, bistrattata, discriminata. Guadagnare bene non è una colpa, e anzi, se si pagano le tasse, è un merito e un vantaggio per tutta la comunità. Quando lo avremo capito saremo un paese meno infantile e meno querimonioso.
LA REPUBBLICA del 31 gennaio 2012
Al di là dello sgarbo formale, il mancato omaggio dei dirigenti del Pdl al feretro del presidente Scalfaro è perfettamente comprensibile. Per il berlusconismo, niente poteva essere più odioso di un uomo di destra fedele alla Repubblica, alla Costituzione e alle loro radici antifasciste. Non bastasse questa distanza politica, lo scontro era anche tra due stili, due concezioni opposte della condotta pubblica così come dell´aplomb privato. Uomini come Scalfaro erano l´incarnazione stessa di una destra severa e costumata – la destra dei padri – che guardava alla nuova destra populista, consumista e catodica con evidente disprezzo e manifesta sfiducia. Scalfaro, in questo senso, ha rappresentato sul fronte cattolico quello che Montanelli rappresentò sul fronte laico: una irriducibile resistenza, da conservatori classici, ai mezzi così come ai fini della nuova destra populista, con l´aggravante di non poter essere certo liquidati come "comunisti". Colpisce – e molto – constatare come tra le due destre quella che pareva minoritaria e piegata dalla storia, quella di Scalfaro, oggi sia in campo (anche nel governo) con un vigore insospettabile. Mentre quell´altra, che fino a pochi mesi fa pareva invincibile, per farsi notare è costretta a disertare un lutto di Stato.
LA REPUBBLICA del 17 gennaio 2012
In che cosa Comunione e Liberazione si distingue così nettamente da altre esperienze cristiane? Che cosa di unico e di straordinario ha avuto l´insegnamento di don Giussani? Cerco di capirlo, senza riuscirci, da una trentina d´anni, e per avere confessato per iscritto questa mia lacuna sono anche stato sgridato da colleghi devoti a don Giussani e molto severi con chi non ne comprende l´alto magistero. Per ovviare a queste mie mancanze mi sono letto d´un fiato la lunga, ponderosa intervista (una intera pagina) di Aldo Cazzullo a don Julian Carron, successore di don Giussani alla guida di quel movimento. Ho appreso che, secondo don Julian, «Berlusconi ha avuto aspetti positivi e aspetti negativi»; che «sbilanciarsi come comunità cristiana a favore di uno schieramento è sbagliato»; che, pur dichiarando di non conoscere la vicenda giudiziaria del San Raffaele, don Julian ritiene il San Raffaele «una grande istituzione»; che «nessuna istituzione può evitare gli errori dei singoli». Non ha aggiunto, don Carron, che d´inverno fa freddo e in estate molto più caldo: ma si capiva lo stesso che è un suo forte, irriducibile convincimento. Quanto a me, a proposito di Cl, sono rimasto in balia della mia deplorevole ignoranza.
LA REPUBBLICA del 10 dicembre 2011
Le paurose paginate di giornale sulla congiuntura economica, giungle di cifre e percentuali, labirinti di balzelli presenti e futuri, hanno alla fine
l´effetto di farci sentire del tutto impotenti di fronte a quello che già alla fine del secolo scorso la saggista francese Viviane Forrester battezzò
«L´orrore economico». A meno di soffrire di una sorta di feticismo contabile, l´istinto è alzare le mani, chiedere il conto, pagarlo (se si è in grado) e andarsene in mezzo ai boschi o alla neve o al mare, per capire che cosa ci rimane da pensare, da vedere, da sognare al di fuori dei quattrini. Non è una questione di morale, ma di metabolismo. È il corpo che si rifiuta, alla lunga, di misurare il mondo solo con il metro economico, di parlare solo di soldi, di calcolare la giornata, la settimana, la vita come una variabile dipendente dai bilanci statali, aziendali, familiari. L´economia è un insieme di diagrammi dentro i quali cerchiamo giorno dopo giorno il nostro puntino. Ma non siamo solo quel puntino, per fortuna. Siamo fatti di carne e ossa, e dotati di cinque sensi che non riescono a nutrirsi solo di videate e di scartoffie. L´economia è roba metafisica, riguarderà magari l´anima degli umani: ma la vita fisica esige altre emozioni, e si sente soffocare nella galera dei conti pubblici e privati.
l´effetto di farci sentire del tutto impotenti di fronte a quello che già alla fine del secolo scorso la saggista francese Viviane Forrester battezzò
«L´orrore economico». A meno di soffrire di una sorta di feticismo contabile, l´istinto è alzare le mani, chiedere il conto, pagarlo (se si è in grado) e andarsene in mezzo ai boschi o alla neve o al mare, per capire che cosa ci rimane da pensare, da vedere, da sognare al di fuori dei quattrini. Non è una questione di morale, ma di metabolismo. È il corpo che si rifiuta, alla lunga, di misurare il mondo solo con il metro economico, di parlare solo di soldi, di calcolare la giornata, la settimana, la vita come una variabile dipendente dai bilanci statali, aziendali, familiari. L´economia è un insieme di diagrammi dentro i quali cerchiamo giorno dopo giorno il nostro puntino. Ma non siamo solo quel puntino, per fortuna. Siamo fatti di carne e ossa, e dotati di cinque sensi che non riescono a nutrirsi solo di videate e di scartoffie. L´economia è roba metafisica, riguarderà magari l´anima degli umani: ma la vita fisica esige altre emozioni, e si sente soffocare nella galera dei conti pubblici e privati.
LA REPUBBLICA del 18 gennaio 2012
Un´azienda di Hong Kong ha rinunciato a commercializzare un bambolotto raffigurante Steve Jobs. È interessante sapere che la decisione, sollecitata dalla famiglia Jobs, è stata presa per pura buona volontà. Nessuna legge impediva di commercializzare quel gadget, perché non faceva il verso a un marchio commerciale, ma a un essere umano. È una regola che chi ha diretto un giornale di satira, come il sottoscritto, conosce bene:
l´onorabilità degli esseri umani conta assai meno dell´onorabilità dei marchi e delle merci. Puoi prendere un uomo e farne uno zimbello, o un fantoccio, o un pupazzo da luna-park. Ma il marchio è sacro. Il marchio è il solo totem davanti al quale i contemporanei si inginocchiano, reverenti e atterriti. Sono abbastanza affezionato (più per pigrizia che per convinzione) alla nostra civiltà. Ma se penso su quali presupposti si fonda, capisco che la sua catastrofica fine non può che essere alle porte. Un mondo che antepone il potere aziendale alla dignità umana è – scusate il gergo da bar, ma è per capirsi – un mondo di merda. Lo è indipendentemente dal nostro potere di cambiarlo, o al contrario dalla nostra impossibilità di farlo. Lo è in assoluto. Lo è in purezza.
l´onorabilità degli esseri umani conta assai meno dell´onorabilità dei marchi e delle merci. Puoi prendere un uomo e farne uno zimbello, o un fantoccio, o un pupazzo da luna-park. Ma il marchio è sacro. Il marchio è il solo totem davanti al quale i contemporanei si inginocchiano, reverenti e atterriti. Sono abbastanza affezionato (più per pigrizia che per convinzione) alla nostra civiltà. Ma se penso su quali presupposti si fonda, capisco che la sua catastrofica fine non può che essere alle porte. Un mondo che antepone il potere aziendale alla dignità umana è – scusate il gergo da bar, ma è per capirsi – un mondo di merda. Lo è indipendentemente dal nostro potere di cambiarlo, o al contrario dalla nostra impossibilità di farlo. Lo è in assoluto. Lo è in purezza.
LA REPUBBLICA del 21 dicembre 2011
"Il Segretario del Partito Marco Rizzo e il Responsabile esteri Alfonso Galdi hanno espresso dolore e presentato le proprie condoglianze al popolo nordcoreano per la morte di Kim Jong-il, guida della causa rivoluzionaria dell´ideologia Juche e del Partito, dell´esercito e del popolo della Repubblica Democratica Popolare di Corea". Questo comunicato ufficiale, apparso ieri sul sito dei Comunisti-Sinistra Popolare, ha avuto meritata fortuna tra i numerosi fan del paranormale. Forse per un disguido, o per un malevolo boicottaggio, il comunicato è apparso monco della sua seconda parte, anch´essa molto rilevante, che qui riportiamo: "Il Segretario Rizzo e il responsabile esteri Galdi sono altresì vicini al popolo plutoniano nel giorno del Sacro Hooog, in cui, a mille anni dalla sua morte in battaglia, si celebra la reincarnazione del Generalissimo Kkipga in un cavallo fosforescente. E invitano i fedeli a visitare il monastero virtuale di Hammon, nella galassia di Popelin, dove è possibile vedere lacrimare una statua della Beata Kattarinetta, figlia di Ponk, re di Ork, destinata a redimere la Via Lattea prima che si avveri il Grande Malefizio".
LA REPUBBLICA del 19 gennaio 2012
Sono molti gli spettacoli che urtano nel profondo la mia sensibilità, e contravvengono regole e princìpi che mi sono cari. Ma non mi sognerei mai di chiederne la soppressione, o di contestarne il diritto alla messa in scena. E´ questo – tra l´altro – che distingue nel profondo quelli come me dalle centurie di ultras cattolici, furibondi perché il Teatro Franco Parenti, a Milano, sta per mettere in scena un dramma che ritengono blasfemo, "Sul concetto di volto nel figlio di Dio", di Romeo Castellucci. Siamo abituati a chiamare tolleranza ciò che è, più semplicemente, fiducia nelle proprie convinzioni. Che possano essere messe a repentaglio da uno spettacolo, o da un´opinione altrui, è cosa che può pensare solo chi abbia un impianto culturale scarso, e una psicologia fragile. Ed è perlomeno curioso che i cosiddetti "relativisti etici" siano dotati, in questo senso, di un impianto ideologico evidentemente assai più solido di quello degli integralisti dogmatici, in apparenza muniti di un castello ideologico fortificato e inespugnabile. Le grida isteriche dei fanatici religiosi, la loro miserabile violenza verbale, sono la dimostrazione lampante della debolezza estrema del loro credo. Per primi sanno, e non osano dirselo, di avere una fede carente tanto in se medesimi quanto nel loro Dio.
LA REPUBBLICA del 20 ottobre 2011
Che cosa unisce un missionario comboniano e un vescovo lefebvriano? Una sola cosa, la fede cattolica. Ma per cultura, visione del mondo e degli uomini, pratiche sociali, idee politiche, i due sono esattamente agli antipodi. Schematizzando: estrema sinistra, estrema destra. In mezzo, ci sono milioni di cattolici che votano Berlusconi credendolo un difensore della famiglia tradizionale, e quasi altrettanti cattolici che lo spregiano come accanito profanatore dei loro convincimenti morali: segno oggettivo del fatto che i "valori cattolici", per gli uni e per gli altri, non sono assolutamente gli stessi. Chiedete a Giovanardi che cosa pensa dei diritti dei gay, e chiedetelo a un prete di strada come don Gallo, e otterrete risposte inconciliabili tra loro. Entrambe di cattolici. Dev´essere per questa totale variabilità e mutevolezza della presenza cattolica nella società e nella politica che fatico a mettere a fuoco dibattiti come quello conseguente al raduno di Todi. Rivolgersi "ai cattolici" o definirsi cattolici vale, in politica, quanto rivolgersi a tutti, e dunque a nessuno. In una società secolarizzata come la nostra, la politica, la cultura, la maniera di stare in società di ogni essere umano ne orientano i pensieri e gli atti in modo assai più determinante della confessione religiosa.
LA REPUBBLICA del 4 dicemre 2011
Pare che la circolare anti-profilattico diffusa alla Rai sia nata dall´iniziativa autonoma di una funzionaria, e dunque non sia imputabile al ministero della Sanità. Sospiro di sollievo. Ma l´episodio, benché circoscritto, è il sintomo (ennesimo) non solo di una invincibile ostilità confessionale ai rapporti sessuali protetti; ma anche della pretesa di imporre A TUTTI (maiuscolo e sottolineato) le convinzioni e gli stili di vita che sono solo di alcuni. Di questa pretesa, che è strutturalmente violenta anche quando assume forme suadenti e paternalistiche, non si discuterà mai abbastanza: perché è il punto attorno al quale ruota, in Italia assai più che altrove, l´intera questione etica. In parole semplicissime: chi usa il preservativo non impone di usarlo a chi non vuole; perché, dunque, chi non lo usa cerca di impedirne l´uso a chi vuole? Vietare o anche solo sconsigliare l´uso della parola "profilattico" nella giornata mondiale della lotta all´Aids significa voler espropriare alla comunità nazionale un pezzo rilevante del discorso, se non il discorso stesso. Ovviamente l´idea è stata all´istante denunciata e ridicolizzata da chi avrebbe dovuto subirla. Ma che quell´idea ancora alligni, è per metà incredibile, per l´altra metà insopportabile.
LA REPUBBLICA del 25 novembre 2011
Le facce e le voci, dalla Fiat di Termini Imerese che chiude e se ne va, sono di desolazione e di impotenza, quasi che perdere il lavoro sia una catastrofe naturale. C´è più rabbia tra gli alluvionati che tra i licenziati, e questo è un portato dei tempi, un segno di quanto profonda sia stata la disfatta politica e culturale della sinistra, che voleva mettere la produzione al servizio degli uomini e non viceversa. È viceversa che ha vinto. Gli esseri umani, esattamente come scriveva Marx quasi duecento anni fa, sono una variabile del capitale. Tutti o quasi hanno coscienza, anche nel sindacato, anche tra gli operai, che l´alternativa sperimentata (il socialismo reale, l´economia statalizzata) è stata perfino peggiore, non solo più inefficiente, anche più inumana e oppressiva. Ma il problema resta: gigantesco, incombente, irrisolto. Uomini come ingranaggi, come pezzi da usare se servono, da accantonare quando non rendono abbastanza, come in "Tempi moderni" di Chaplin. Due secoli di lotte hanno strappato orari più umani, salari meno miseri, diritti in fabbrica, ma non hanno potuto inventare o suggerire o imporre un modo di produzione in cui siano padroni gli esseri umani e non il capitale.