Archive : Category

LA REPUBBLICA del 17 dicembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Quando fa notare che i giornali parlavano piuttosto male di lui, e adesso parlano piuttosto bene di Mario Monti, l´ex premier Berlusconi ha perfettamente ragione. Così ragione che la sua dichiarazione, espressa tra altre noterelle di colore durante l´ostensione romana del nuovo libro di Bruno Vespa, meriterebbe di essere approfondita. Ci permettiamo di fornire qualche indizio. Non sarà, per caso, che i giornali parlano bene di Monti perché non fa le corna durante i meeting mondiali? Perché non mima scherzosamente il gesto del mitra quando un giornalista osa fare una domanda a Putin, che è un paese dove ai giornalisti sparano col mitra? Perché non fa commenti quantitativi e qualitativi sui decolleté delle signore? Perché non racconta barzellette sui malati di Aids? Perché parla l´inglese? Perché non organizza cene eleganti ordinando le ragazze take-away? Perché non possiede reti televisive e non ha intestato al fratello un quotidiano? Perché non si addormenta in Parlamento? Perché non dice di essere il più grande presidente del Consiglio degli ultimi centocinquant´anni? Perché non usa il cerone, non si pettina con la pece e non si vergogna di essere un anziano signore? Perché non si sforza di piacere e, di conseguenza, non si offende se non piace? 

LA REPUBBLICA del 5 gennaio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
I controlli fiscali a Cortina, a ridosso di Capodanno, saranno anche ispirati da "una concezione ideologica del controllo fiscale", come dichiara il socialista (risate!) Cicchitto. Ma si dà il fatto che gli eventuali pregiudizi "ideologici" sono stati clamorosamente confermati dai risultati. Centinaia di auto di lusso erano intestate a persone che dichiarano 30 mila euro all´anno. A Cicchitto basterebbe fare due conticini elementari per capire che qualcosa non quadra. E che, con ogni evidenza, se la Guardia di Finanza ha gettato le reti proprio a Cortina, e non a Igea Marina, è perché ogni lavoro ben fatto punta a ottimizzare i risultati. Nei paesi civili, dove per evasione fiscale si finisce in prigione, a nessuno viene in mente di strillare contro il Fisco ideologico e lo Stato di polizia. Quanto all´ideologia, se in questo Paese esiste una politica punitiva contro chi produce reddito e contro i benestanti, questa politica vede come protagonisti incontrastati gli evasori fiscali. Posso certificarlo proprio in quanto benestante: mi vedo circondato da persone che pur dichiarando un reddito dieci volte inferiore al mio, hanno un tenore di vita dieci volte superiore. Li considero nemici dello Stato e miei personali. 

LA REPUBBLICA del 18 dicembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
L´altro giorno a Torino si è avuta l´ennesima conferma che la Lega non si considera parte della comunità nazionale. Non è all´opposizione di questo governo: è all´opposizione dell´Italia, e lo era anche quando, governandola, cercava di manometterla. È accaduto che il ministro dell´Integrazione, Riccardi, esponente di spicco del cattolicesimo sociale, ha reso visita alla comunità rom, colpita dal pogrom di pochi giorni fa, rappresaglia di un falso stupro. Il sindaco Fassino era con lui. Ma il ministro ha deciso di non passare – come previsto – dal quartiere multietnico di San Salvario, perché i militanti della Lega Nord lo attendevano per contestarlo (in quanto rom? ministro italiano? cattolico che serve il suo prossimo, e dunque tradisce le "radici cristiane" in salsa fascio-leghista?). Anche il governatore del Piemonte Cota (incredibile ma vero) gli aveva fatto sapere che la sua visita era inopportuna. A Torino, come in tutte le grandi città, la Lega conta pochissimo. Non ha alcuna parentela con la cultura urbana. Forse il ministro Riccardi ha fatto bene a evitare lo sgradevole incontro con i leghisti. Certo fa veramente impressione constatare che un ministro della Repubblica sia "sgradito" in Piemonte: a Torino, poi, che è una delle città simbolo della democrazia italiana. 

LA REPUBBLICA del 20 gennaio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La giornalista del tigì che insegue trafelata il comandante De Falco e gli chiede (gridando per farsi sentire): «lei è un eroe? », mentre quello, giustamente, fugge e preferirebbe sprofondare piuttosto che risponderle (perché quale persona al mondo accetterebbe di rispondere a una domanda del genere senza sentirsi ridicolo o stupido?) ; quella giornalista, dicevo, è a sua volta un´eroina, perché accetta di incarnare fino in fondo, fino allo stremo, il ruolo assurdo che il dovere le assegna. Che è quello di confezionare la realtà come uno spettacolo facile facile, commestibile per tutte le bocche, uno spettacolo con i buoni e i cattivi, gli eroi e gli infami, i vincitori e i vinti. Senza le sfumature, le ambiguità, i margini di dubbio, uno spettacolo fatto solo di chiari e di scuri, che lo capiscano anche i bambini, oppure quegli adulti ridotti a bambini che la tivù amerebbe noi fossimo. Una volta vidi Benigni sistemare le luci prima di una sua apparizione televisiva. Tenne ai tecnici una breve lezione: «Mi raccomando levatemi ogni ombra. Il comico deve apparire sempre in piena luce o nel buio fondo, perché il comico è come un cartoon: non ha psicologia, dunque non ha sfumature». È esattamente per questo che la domanda «lei è un eroe? » suona, alle nostre orecchie, come una domanda comica. 

LA REPUBBLICA del 6 gennaio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Calderoli che critica Mario Monti per la sua condotta a Palazzo Chigi riporta implacabilmente al vecchio detto "raglio d´asino non sale al cielo". Palazzo Chigi, oltre che sede della presidenza del Consiglio, è residenza privata del capo del governo in carica. Che quest´ultimo ci dorma, ci faccia la doccia e ci mangi, anche ospitando (per giunta a spese proprie) chi gli aggrada, è dunque la più lecita delle cose. Formidabile, poi, è che Calderoli e i suoi osino accusare Monti di uso privato della cosa pubblica essendo loro per primi ampiamente colpevoli proprio di quel misfatto. A spese dei contribuenti hanno fatto aprire a Monza un ridicolo pseudo-distaccamento ministeriale usandolo, in sostanza, come una sede di partito: se ne è occupata anche la magistratura. La mancanza di stile (istituzionale e personale) dei capoccia leghisti è così conclamata che promette di finire sulle antologie. Scelgano altri terreni, dunque, sui quali attaccare Monti, che per il generale sollievo degli italiani (anche di chi ne osteggia le scelte politiche) è un signore, e succede a un governo ampiamente popolato da cafoni e vice-cafoni. Di quel governo Berlusconi era l´anima, la Lega il dito medio. 

LA REPUBBLICA del 20 dicembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Si intende a fatica (la materia è complicata) che l´antipatia per il famoso articolo 18, quello che limita la libertà di licenziare, è motivata dal desiderio di rendere più fluido e più "moderno" il mercato del lavoro. Meno obblighi e meno regole, e tutto funzionerà meglio. Ora, a parte che precedenti deregulation promisero prosperità diffusa e finirono invece per approfondire le differenze di classe; e dunque si è legittimati a drizzare le antenne ogni volta che risuona la formula "meno regole"; viene da osservare che la libertà di licenziare può funzionare da frustata benefica a patto che l´offerta di posti di lavoro sia brillante e magari in aumento, tanto che il licenziato, appena uscito dal portone della sua azienda, possa bussare al portone di fronte per trovare un nuovo impiego. Ma in recessione, e con una lunga coda di ragazzi che aspettano lavoro, che risultato può mai dare la libertà di licenziare, se non quello di ingrossare l´esercito dei disoccupati? E in un momento in cui il principale problema, per il governo, è cercare di tenere fede almeno in parte alle promesse di equità, o almeno di non eccessiva iniquità, c´era proprio bisogno di tirare in ballo il povero articolo 18, che è uno dei pochi drappi laceri e gloriosi che il mondo dei salariati può ancora sventolare sopra le macerie della propria sconfitta? 

LA REPUBBLICA del 21 gennaio 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
I tassisti hanno qualche buona ragione (una licenza pagata a caro prezzo), ma toni e modi della loro lotta sono molto controproducenti, specialmente agli occhi di chi ha memoria di altre lotte, e di ben altra compostezza. Non si tratta di fare l´elogio del Quarto Stato, di quell´incedere severo e compatto che discendeva dall´idea che il passo dei contadini e degli operai coincidesse con il passo della Storia. Sono cose passate, e quel magnifico e imponente corteo, per altro, è stato sconfitto e disperso. Si tratta, però, di giudicare un linguaggio, una cultura, una visione dello stare in società che paiono mutuati pari pari dalle curve di stadio, come se a competere sulla scena sociale non fossero più le classi, ma tribù ingaglioffite dall´astio e dalla paura. La fatica di chi lavora in mezzo al traffico per molte ore va rispettata, e non deve accadere che intere vite lavorative rischino la rottamazione. Ma se una lotta sindacale viene vissuta come un regolamento di conti da risolvere a urla e mazzate, diventa automaticamente impopolare. I tassisti con la testa sulle spalle spieghino ai loro colleghi ultras che in questi giorni noi clienti appiedati siamo molto contenti di prendere il tram. 

LA REPUBBLICA del 28 ottobre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
È difficile immaginare qualcosa di più rattristante di una folla di quasi diecimila persone che fa a botte per entrare in un megastore e accaparrarsi televisori, ferri da stiro, frullatori in offerta speciale. È accaduto ieri a Roma vicino a Ponte Milvio, la città è rimasta ingorgata per ore. C´era gente in coda dall´alba, c´era gente accampata, e non era una coda per il pane, era una coda per sentirsi in regola con l´identità del consumatore medio, degno di vivere in questo mondo senza sentirsi di troppo. Mi basterebbe che qualcuno (anche solo uno su diecimila) all´improvviso si fosse sentito umiliato, in quella ressa di schiavi, per avere qualche speranza in più sul nostro futuro. Mi basterebbe che qualcuno, anche uno solo su diecimila, avesse improvvisamente scartato di lato, respirato forte, e fosse fuggito ovunque pur di non rimanere lì a fare la comparsa a pagamento (pagare per apparire, pagare per esistere). Non riesco a credere che un tostapane con lo sconto, pure se in tempi di crisi nera, sia in grado di trasformare le persone in uno sciame di mosche disposte a schiacciarsi l´una con l´altra pur di posare le zampe sulla propria briciola. 

LA REPUBBLICA del del 18 ottobre 2011  

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Torna alla grande zio Michele, nello splendore del 40 pollici, e non c´è difesa. O uno diserta le edicole e spegne la televisione per giorni interi, oppure deve soccombere di fronte al presepe scellerato di Avetrana che ci viene ammannito in tutti i formati e in tutte le salse. La momentanea pausa nelle procedure di indagine è stata riempita, nel frattempo, da altri provvidi orrori di stampa (per esempio Erika e Omar, costui ospite di uno studio televisivo Mediaset al quale auguro di essere centrato da un meteorite), come quando riposa il campionato e gioca la Nazionale. Esiste una continuità, e una contiguità, tra delitto e delitto, confondo Erba con Cogne, l´Olgiata con via Poma, le povere vittime con i sadici assassini. Ma zio Michele (non la persona, ovviamente, ma il pupazzo telegiornalistico) è inconfondibile, unico, una specie di mascotte vivente della degenerazione mediatica italiana. Dev´essere per via di quello "zio" che manda in vacca già sul nascere la trama finto-diabolica di un racconto che invece, specie grazie alla programmazione meridiana delle peggio trasmissioni Rai e Mediaset, odora di pasta e ceci sul fuoco, di pantofole, di banalità biascicate nei dialetti immutabili dell´Italia ieri contadina e oggi televisiva.

LA REPUBBLICA del 3 dicembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Nella gravità del momento, siamo debitori alla Lega del dettaglio esilarante, quello che scioglie la tensione in una risata tra amici. Il Carroccio accusa il governo Monti di "sgarbo istituzionale" per avere indetto una importante riunione a Roma in concomitanza con la festosa riapertura del Parlamento Padano. Ora, detto che se il Parlamento Padano fosse una cosa seria sarebbe già stato sgomberato dai bersaglieri e sigillato dalla magistratura, ci si domanda come può mai venire in mente che il calendario di questa bizzarra kermesse possa in alcun modo interferire con il governo del Paese (lo stesso Paese che, tra l´altro, paga lo stipendio agli eletti leghisti, anche quando invece di lavorare giocano agli omini verdi). Il solo riferimento storico che mi viene da fare è a una mia vecchia prozia, da tempo defunta: sosteneva che la Seconda guerra mondiale non avrebbe mai dovuto essere dichiarata perché l´aveva costretta a rimandare le nozze. Per non essere troppo severo, aggiungo che il Parlamento Padano (nei fatti, la riunione neanche plenaria di un partito di proporzioni medio-piccole) ha un rilievo leggermente maggiore rispetto alle nozze di mia prozia. Ma non tanto maggiore. 
Torna all'inizio