LA REPUBBLICA del 2 dicembre 2011
La Lega che pretende lo scontrino fiscale è un clamoroso inedito, come se Le Pen lodasse l´immigrazione e il vampiro invocasse l´aglio. È successo così: che Mario Monti è andato dal barbiere di domenica, e un manipolo di parlamentari del Carroccio ha chiesto di verificare se sia stato emesso regolare scontrino. Alla parola "scontrino" ci sono vaste zone del Nord che ammutoliscono, proprio come nella Calabria di Cetto Laqualunque: e sono zone nelle quale gli elettori leghisti, in odio allo Stato sanguisuga e a Roma ladrona, abbondano. Ma si sa com´è la politica: oggi il Carroccio è all´opposizione, per giunta dopo anni di poltrone romane e dunque con l´affannoso bisogno di riconquistare gli elettori delusi. Lo scontrino fiscale non fa parte del suo armamentario né della sua cultura politica, non è la doppietta padana già evocata da Bossi, non la quota-latte da ricacciare in gola alla porca Europa, non il dito medio da mulinare davanti alle telecamere: è un minimo, indispensabile cartiglio di Stato che funge da biglietto d´ingresso nel consesso degli italiani onesti. Forse i leghisti non se ne rendono conto, ma quando sventolano lo scontrino è come se sventolassero un mini-tricolore. Rischiano di ustionarsi i polpastrelli.
LA REPUBBLICA del 28 ottobre 2011
È difficile immaginare qualcosa di più rattristante di una folla di quasi diecimila persone che fa a botte per entrare in un megastore e accaparrarsi televisori, ferri da stiro, frullatori in offerta speciale. È accaduto ieri a Roma vicino a Ponte Milvio, la città è rimasta ingorgata per ore. C´era gente in coda dall´alba, c´era gente accampata, e non era una coda per il pane, era una coda per sentirsi in regola con l´identità del consumatore medio, degno di vivere in questo mondo senza sentirsi di troppo. Mi basterebbe che qualcuno (anche solo uno su diecimila) all´improvviso si fosse sentito umiliato, in quella ressa di schiavi, per avere qualche speranza in più sul nostro futuro. Mi basterebbe che qualcuno, anche uno solo su diecimila, avesse improvvisamente scartato di lato, respirato forte, e fosse fuggito ovunque pur di non rimanere lì a fare la comparsa a pagamento (pagare per apparire, pagare per esistere). Non riesco a credere che un tostapane con lo sconto, pure se in tempi di crisi nera, sia in grado di trasformare le persone in uno sciame di mosche disposte a schiacciarsi l´una con l´altra pur di posare le zampe sulla propria briciola.
LA REPUBBLICA del del 18 ottobre 2011
Torna alla grande zio Michele, nello splendore del 40 pollici, e non c´è difesa. O uno diserta le edicole e spegne la televisione per giorni interi, oppure deve soccombere di fronte al presepe scellerato di Avetrana che ci viene ammannito in tutti i formati e in tutte le salse. La momentanea pausa nelle procedure di indagine è stata riempita, nel frattempo, da altri provvidi orrori di stampa (per esempio Erika e Omar, costui ospite di uno studio televisivo Mediaset al quale auguro di essere centrato da un meteorite), come quando riposa il campionato e gioca la Nazionale. Esiste una continuità, e una contiguità, tra delitto e delitto, confondo Erba con Cogne, l´Olgiata con via Poma, le povere vittime con i sadici assassini. Ma zio Michele (non la persona, ovviamente, ma il pupazzo telegiornalistico) è inconfondibile, unico, una specie di mascotte vivente della degenerazione mediatica italiana. Dev´essere per via di quello "zio" che manda in vacca già sul nascere la trama finto-diabolica di un racconto che invece, specie grazie alla programmazione meridiana delle peggio trasmissioni Rai e Mediaset, odora di pasta e ceci sul fuoco, di pantofole, di banalità biascicate nei dialetti immutabili dell´Italia ieri contadina e oggi televisiva.
LA REPUBBLICA del 3 dicembre 2011
Nella gravità del momento, siamo debitori alla Lega del dettaglio esilarante, quello che scioglie la tensione in una risata tra amici. Il Carroccio accusa il governo Monti di "sgarbo istituzionale" per avere indetto una importante riunione a Roma in concomitanza con la festosa riapertura del Parlamento Padano. Ora, detto che se il Parlamento Padano fosse una cosa seria sarebbe già stato sgomberato dai bersaglieri e sigillato dalla magistratura, ci si domanda come può mai venire in mente che il calendario di questa bizzarra kermesse possa in alcun modo interferire con il governo del Paese (lo stesso Paese che, tra l´altro, paga lo stipendio agli eletti leghisti, anche quando invece di lavorare giocano agli omini verdi). Il solo riferimento storico che mi viene da fare è a una mia vecchia prozia, da tempo defunta: sosteneva che la Seconda guerra mondiale non avrebbe mai dovuto essere dichiarata perché l´aveva costretta a rimandare le nozze. Per non essere troppo severo, aggiungo che il Parlamento Padano (nei fatti, la riunione neanche plenaria di un partito di proporzioni medio-piccole) ha un rilievo leggermente maggiore rispetto alle nozze di mia prozia. Ma non tanto maggiore.
LA REPUBBLICA del 3 novembre 2011
Prego amici e conoscenti di sospendere telefonate e mail contenenti, da mesi, sempre la stessa domanda: ma quando cade, quand´è che si leva di torno? Perché questo mi costringe a ripetere sempre la stessa risposta: e come faccio a saperlo? Propongo di ribellarci a questa ossessione affidandoci alla famosa, più volte sperimentata e mai smentita legge della moka, secondo la quale se uno fissa la moka in attesa che il caffé salga, il caffé non sale. Mentre se uno si distrae e pensa ad altro, allora il caffé erompe con il suo allegro borbottio. Oltrettutto restare qui (per quanto ancora, poi?) a fissare in crocchio la stessa vecchia moka, continuando a darci di gomito e dirci, ogni giorno, "ecco, vedrai che ci siamo", è piuttosto umiliante, e dà l´idea che non si abbia di meglio da fare, nella vita. Che siamo un vecchio branco (vecchio come la moka) di maniaci ossessivi rassegnati a passare la vita nell´attesa che l´attesa finisca. Come terapia, ognuno pensi al tanto di bello e di utile che ha continuato a fare in tutti questi anni, e ancora deve fare. Persone e cose da amare, viaggi, libri, fiori, cassetti, lavori, progetti, fango da spalare, castagne da raccogliere (è stagione). è anche per la deplorevole trascuratezza di noi stessi e della vita vera che ci siamo fatti sequestrare, per tutti questi anni, da quel signore.
LA REPUBBLICA del 19 ottobre 2011
Con l´arresto di "er Pelliccia" anche i Moti Romani di sabato scorso perdono quel poco o quel tanto di demoniaco (fuoco e fiamme) che si erano guadagnati sul campo. Già i calzoni a fior di mutanda, molto di moda tra i teenagers, conferivano alle immagini del giovane rivoltoso qualcosa di mestamente conformista, più da Upim che da Bastiglia. Si è poi saputo che il teenager è piuttosto maturo (24 anni), e maturissimo come matricola (primo anno di università), per dire che anche i movimenti più duri e più sinistri hanno i loro Trota. Quanto alle indagini, si dice che il povero Pelliccia, vistosi incastrato, abbia giustificato il lancio dell´estintore con la volontà di "spegnere un incendio", comicissima scusa, e qui si arriva, anzi si ritorna, a quell´eterno Alberto Sordi che siamo, alla piagnoneria ipocrita di "Un giorno in Pretura" e "a me m´ha rovinato la guera", e di nuovo si capisce perché il narratore dei nostri mali non è Dostoevskij, sono Age e Scarpelli. E viene una pena tremenda per quei genitori e anche per quel figlio, sbatacchiato tra le spire della storia senza nemmeno sospettarne la durezza e la cattiveria, rivoluzionario del sabato pomeriggio, già al lunedì ridotto al suo soprannome da macchietta di quartiere.
LA REPUBBLICA del 22 novembre 2011
Detto tutto il bene possibile dello stile, dei toni bassi, del ritrovato aplomb di Stato, perfino del trolley che il professor Monti traina di persona, come se fosse un essere umano par nostro, non ha per niente torto Vendola quando dice di aspettare il nuovo governo al varco dell´equità sociale. Perché se è vero, come si mormora, che esiste un veto della destra sulla patrimoniale (la destra ha pur sempre in viva simpatia i ricchi, specie se il suo dominus è uno straricco) allora non si capisce bene con quali quattrini dev´essere tessuta la toppa che serve a riparare il Grande Sbrego. Viene un momento (per fortuna) che la politica, dopo avere tanto complicato, è la sola che può semplificare, e chiarire da che parte si deve e si può andare. In un paese dove le dichiarazioni dei redditi sono una fotografia pallida e mendace della ricchezza vera, ci sarà pure il modo di spillare qualcosa dai patrimoni (immobili, depositi bancari, portafogli azionari, titoli). Anche perché "chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato" è il detto più italianamente rassegnato, conservatore e vigliacco: chi ha avuto è ora che dia qualcosa, chi ha dato è ora che abbia un poco di tregua. E tutto il resto è solo parlare d´altro.
LA REPUBBLICA del 4 novembre 2011
L´incendio "purificatore" del glorioso giornale satirico parigino Charlie Hebdo da parte di fanatici islamisti costringe a rifare i conti (non fatti) con la mano omicida dell´integralismo musulmano. La stessa che ha ucciso il regista Theo Van Gogh, condannato a morte Salman Rushdie, accoltellato il suo traduttore italiano, assassinato il suo traduttore giapponese. Gli italiani a Parigi sono di casa, ma di quelle fiamme, qui da noi, è arrivato appena un remoto riverbero. Mentre Le Monde dedicava al rogo di Charlie un severo editoriale di prima pagina, i commenti italiani sono stati in genere blandi, prudenti e molto confusi. Molti imputano al giornale francese la "colpa" di avere "scherzato con la religione". Altri definiscono assurdamente "una provocazione" la scelta di una tivù tunisina (anche lei assaltata dagli islamisti) di mandare in onda un capolavoro della tolleranza laica come il film d´animazione Persepolis. Se siamo così incerti e così impreparati quando si tratta di difendere la libertà di espressione e la tolleranza, non ci dobbiamo meravigliare, poi, se hanno campo libero, e un successo travolgente, le reazioni intolleranti e razziste, alla Oriana Fallaci. È sempre la viltà dei pacifici che dà spazio (immeritato) ai fanatici.
LA REPUBBLICA del 23 novembre 2011
I MOLTI MODI POSSIBILI DI FARE CULTURA
Se (come giustamente sollecita il Capo dello Stato) verrà concessa la cittadinanza ai figli di migranti che nascono in Italia, e che sono italiani per logica, per crescita e per educazione, ma non per la legge, dice il Calderoli che la Lega "farà le barricate". Credo che ci sia un errore, annoso, al quale rimediare. Un peccato di omissione del quale rischiamo, presto o tardi, di doverci vergognare non solo di fronte ai figli di migranti che nascono in Italia, ma anche di fronte ai nostri figli. L´errore è questo: che ogni volta che Calderoli o un altro gerarca verde ha aperto la bocca per minacciare barricate, o schioppettate, o forconate, e sempre per qualche causa ripugnante o qualche ragione tirchia, e sempre con quel ghigno gongolante e quei toni da taverna di chi si sente popolo in mezzo ai fighetti; avremmo dovuto rispondergli, metafora per metafora, che le loro barricate, se prima non arrivano l´esercito o i carabinieri a spianarle, gliele tiriamo giù noi con la ruspa e poi ci piantiamo sopra il Tricolore repubblicano, perché di vent´anni di razzismo organizzato ne abbiamo le balle piene, e di ruspisti ne conosciamo a gogò. La Lega crede di avere il monopolio dei modi bruschi, ma sbaglia. Nelle taverne del Nord che frequentiamo il dito medio lo mostrano a chi odia l´Italia, non a chi arriva da lontano per nascerci.
LA REPUBBLICA del 5 novembre 2011
«Dicono tutti che c´è la crisi ma i ristoranti sono pieni» è un classico dell´uomo della strada. Lo dice il tassista, lo dice l´avventore del bar, probabile che lo abbia detto ciascuno di noi in uno di quei momenti di spensierata dabbenaggine che costellano la vita di ogni persona qualunque. Sentire per la prima volta pronunciare quella frase al G20, da un capo di governo, è una svolta storica: vuol dire che l´uomo della strada, con tutta la sua spensierata dabbenaggine, è arrivato al vertice. Ci ritroviamo dunque a essere governati da uno qualunque, che quando pensa una fesseria qualunque la dice a tutti. Probabile che alcuni italiani ne siano soddisfatti: "che bello, finalmente un pirla come me è al potere, questa sì che è democrazia". Ma è probabile, anche, che altri italiani, tra i quali mi annovero, ne siano invece desolati. Forse suggestionati da vecchie letture scolastiche (Pericle, per esempio) pensavano che la democrazia fosse una selezione dei migliori. Aperta a tutti, ma destinata a individuare i migliori. Il vecchio concetto di classe dirigente, insomma. Ritrovarsi rappresentati nel mondo da uno che pensa e parla come l´ultimo di noi è un bruciante fallimento. Votare per uno "come noi" significa sprecare il voto e sprecare la democrazia. Vogliamo votare per uno che sia migliore di noi. Per questo – soprattutto – non abbiamo mai votato Berlusconi.