LA REPUBBLICA del 24 novembre 2011
Con allegra perfidia, i due sindacalisti della Fiom Landini e Airaudo hanno sollecitato il governo a pretendere, per i ministeri, "auto italiane". Ben sapendo che, Maserati a parte, ben poco di ministeriale viene prodotto dalla Fiat da molti anni, e l´intera classe politica nazionale sarebbe dunque costretta a girare in Panda (o in Vespa, molto chic ma scomodo in inverno). Qualunque cosa si pensi di Marchionne e della complicata vertenza Fiat, questo è un punto decisivo: se Fiat è ancora una fabbrica di automobili, dove sono le nuove automobili? La mancanza, dopo il remake della Cinquecento, di nuovi modelli in grado di segnare il costume italiano (come Fiat ha fatto per quasi un secolo) è la prova provata di una fuga degli investimenti dalla fabbrica ad altri lidi, dal prodotto all´economia immateriale. Un ammainabandiera che rischia di far languire quel tanto o quel poco di tifo nazionalista che ancora si raccoglie attorno al glorioso marchio, e rende non solo plausibile, ma del tutto ragionevole la domanda del sindacato: scusate, ma dov´è il piano industriale? La speranza (paradossale) è che il mercato finanziario vada perfino peggio del mercato dell´auto, riportando in fabbrica almeno gli spiccioli…
LA REPUBBLICA del 20 ottobre 2011
Che cosa unisce un missionario comboniano e un vescovo lefebvriano? Una sola cosa, la fede cattolica. Ma per cultura, visione del mondo e degli uomini, pratiche sociali, idee politiche, i due sono esattamente agli antipodi. Schematizzando: estrema sinistra, estrema destra. In mezzo, ci sono milioni di cattolici che votano Berlusconi credendolo un difensore della famiglia tradizionale, e quasi altrettanti cattolici che lo spregiano come accanito profanatore dei loro convincimenti morali: segno oggettivo del fatto che i "valori cattolici", per gli uni e per gli altri, non sono assolutamente gli stessi. Chiedete a Giovanardi che cosa pensa dei diritti dei gay, e chiedetelo a un prete di strada come don Gallo, e otterrete risposte inconciliabili tra loro. Entrambe di cattolici. Dev´essere per questa totale variabilità e mutevolezza della presenza cattolica nella società e nella politica che fatico a mettere a fuoco dibattiti come quello conseguente al raduno di Todi. Rivolgersi "ai cattolici" o definirsi cattolici vale, in politica, quanto rivolgersi a tutti, e dunque a nessuno. In una società secolarizzata come la nostra, la politica, la cultura, la maniera di stare in società di ogni essere umano ne orientano i pensieri e gli atti in modo assai più determinante della confessione religiosa.
LA REPUBBLICA del 4 dicemre 2011
Pare che la circolare anti-profilattico diffusa alla Rai sia nata dall´iniziativa autonoma di una funzionaria, e dunque non sia imputabile al ministero della Sanità. Sospiro di sollievo. Ma l´episodio, benché circoscritto, è il sintomo (ennesimo) non solo di una invincibile ostilità confessionale ai rapporti sessuali protetti; ma anche della pretesa di imporre A TUTTI (maiuscolo e sottolineato) le convinzioni e gli stili di vita che sono solo di alcuni. Di questa pretesa, che è strutturalmente violenta anche quando assume forme suadenti e paternalistiche, non si discuterà mai abbastanza: perché è il punto attorno al quale ruota, in Italia assai più che altrove, l´intera questione etica. In parole semplicissime: chi usa il preservativo non impone di usarlo a chi non vuole; perché, dunque, chi non lo usa cerca di impedirne l´uso a chi vuole? Vietare o anche solo sconsigliare l´uso della parola "profilattico" nella giornata mondiale della lotta all´Aids significa voler espropriare alla comunità nazionale un pezzo rilevante del discorso, se non il discorso stesso. Ovviamente l´idea è stata all´istante denunciata e ridicolizzata da chi avrebbe dovuto subirla. Ma che quell´idea ancora alligni, è per metà incredibile, per l´altra metà insopportabile.
LA REPUBBLICA del 25 novembre 2011
Le facce e le voci, dalla Fiat di Termini Imerese che chiude e se ne va, sono di desolazione e di impotenza, quasi che perdere il lavoro sia una catastrofe naturale. C´è più rabbia tra gli alluvionati che tra i licenziati, e questo è un portato dei tempi, un segno di quanto profonda sia stata la disfatta politica e culturale della sinistra, che voleva mettere la produzione al servizio degli uomini e non viceversa. È viceversa che ha vinto. Gli esseri umani, esattamente come scriveva Marx quasi duecento anni fa, sono una variabile del capitale. Tutti o quasi hanno coscienza, anche nel sindacato, anche tra gli operai, che l´alternativa sperimentata (il socialismo reale, l´economia statalizzata) è stata perfino peggiore, non solo più inefficiente, anche più inumana e oppressiva. Ma il problema resta: gigantesco, incombente, irrisolto. Uomini come ingranaggi, come pezzi da usare se servono, da accantonare quando non rendono abbastanza, come in "Tempi moderni" di Chaplin. Due secoli di lotte hanno strappato orari più umani, salari meno miseri, diritti in fabbrica, ma non hanno potuto inventare o suggerire o imporre un modo di produzione in cui siano padroni gli esseri umani e non il capitale.
LA REPUBBLICA del 21 ottobre 2011
Silvio Berlusconi ha detto ieri pomeriggio: «L´acronimo Pdl non comunica niente, non emoziona, non commuove». Uno ne prende atto e pensa: non vorrei essere nei panni di quel poveretto che ha inventato il Pdl. Adesso gli faranno un mazzo così. Pochi istanti dopo – giusto il tempo di rimettere in asse il cervello, operazione non facile e non immediata per un italiano di oggidì – torna in mente che è stato lui, Silvio Berlusconi, l´inventore di quell´acronimo che, parole sue, «non comunica niente, non emoziona, non commuove». E così, sempre cercando di rimanere aggrappati all´esile filo della logica, si cerca a tentoni una spiegazione. Si dà del pirla per far ridere gli amici? Quando decise il nome Pdl era sotto ipnosi? Venne rapito da bambino dagli alieni che lo usano come cavia per un raffinato esperimento politico, conquistare il pianeta Terra dicendo solo cazzate? Crede di non essere Silvio Berlusconi? Crede di esserlo stato, ma solo per alcuni periodi? Crede di esserlo così intensamente da potersi incarnare in più individui, tutti di così spiccata personalità da potersi dare del cretino a vicenda? È fuggito ai Caraibi già da parecchi mesi, e al suo posto ha lasciato un ologramma fuori controllo? Beve?
LA REPUBBLICA del 6 dicembre 2011
Si deve essere grati al capogruppo del Pdl, il socialista Cicchitto, per averci solennemente ricordato in Parlamento che il governo Berlusconi aveva abolito l´Ici. È anche da misure demagogiche come quella che sono nati lo sfascio dei conti pubblici, la prostrazione economica degli enti locali, il conseguente ritrarsi dei servizi sociali. Niente di quanto ci sta accadendo ora – compresa una manovra economica aspra con tutti ma inclemente soprattutto con chi ha faticato di più e ha evaso di meno – è spiegabile senza la catastrofe politica che lo ha preceduto. Si vorrebbe che gli esponenti di punta del precedente governo, che di questa crisi sono la quintessenza, e ne incarnano il volto, ne parlassero, se non con umiltà, almeno con accenti di incertezza, come accade, in genere, agli sconfitti. Ne parlano, invece, con boria immutata, come se la ricetta dell´abbondanza e del bel vivere fosse una specialità della casa, e l´abolizione dell´Ici, anziché una smargiassata senza copertura economica, fosse stata il do di petto di una maggioranza in stato di grazia, che stava trascinando il Paese a un trionfale benessere. Poi, come accade ai Grandi della Storia, è stato il destino cinico e baro a rispedirli a casa e a reintrodurre l´Ici.
LA REPUBBLICA del 29 novembre 2011
Sapere chi abbia ragione e chi torto, tra il sindaco Pisapia e il suo ex assessore Stefano Boeri, è importante ma non decisivo. Decisivo è capire che i soli veri sconfitti sono gli elettori milanesi che pochi mesi fa, per mandare Pisapia a Palazzo Marino con una maggioranza schiacciante, avevano messo da parte differenze e diffidenze ben più cospicue di quelle che oggi lacerano il governo di Milano. A festeggiare in piazza del Duomo c´erano la borghesia che vota al centro e i ragazzi dei centri sociali, i vecchi militanti dei partiti di sinistra e la nuova leva di cani sciolti internettari, i referendari senza tessera che si mobilitano di volta in volta e i funzionari di partito che sono mobilitati per mestiere. Pur di costituirsi in una nuova maggioranza, ognuno di questi elettori aveva rinunciato a qualcosa e aveva accettato di fidarsi degli altri. Ovvio che, dentro il potere, le ragioni di discussione e di lite sono molto solide e molto ingombranti. Ma come è possibile che lo spirito di quei giorni, che concedeva così poco al puntiglio individuale e alla vanità personale, faccia già parte del passato?
LA REPUBBLICA del 25 ottobre 2011
Certo che duole, la risatina franco-tedesca di scherno all´indirizzo del nostro (ridicolo) capo del governo. Ma ce la siamo meritata, no? Come italiani, voglio dire, come comunità di persone che non è stata in grado, in quasi vent´anni, prima di evitare e poi di far cessare una tragica farsa che si configurava esattamente tale già in partenza, con tutto quel cerone, quelle promesse assurde, quelle smargiassate da guitto, quella ricchezza smodata, quel reclutamento di mediocri purché obbedienti. E se per questo fallimento storico portiamo tutti almeno una briciola di colpa, l´onorevole Casini, che oggi fa le sue rimostranze da italiano offeso e reclama maggiore rispetto per il nostro Paese, ha invece colpe grandi come una montagna. Insieme a coloro che per anni hanno appoggiato Berlusconi per trarne vantaggi politici e visibilità personale. Non bisognava essere dei geni, e neanche essere di sinistra, per intuire il calibro di quell´uomo e la precarietà di quell´avventura. Se oggi il mondo ride di noi, l´onorevole Casini e l´intero novero degli alleati di Berlusconi, per primi i tanti confindustriali oggi preoccupati ma ieri plaudenti, devono considerarsi, a buon diritto, cointestatari di quelle risate. Ne hanno il diritto, se le sono conquistate sul campo.
LA REPUBBLICA del 8 ottobre 2011
Non tutti i party dell´amico Putin rappresentano, per l´amico Silvio, un obbligo istituzionale. È dunque per puro spirito di abnegazione che il nostro premier non ne diserta uno. Ieri è volato a Mosca per la festa di compleanno del collega oligarca, e non c´è impedimento che regga: guerra mondiale, invasione marziana, meteorite in arrivo su Roma, a fare quattro salti da Putin si va sempre e comunque. Su quella linea aerea l´amico Silvio ha trascorso buona parte dei suoi numerosi mandati di governo, con qualche deviazione bielorussa e altre rapide visite a tirannidi minori ma molto pittoresche, con affari proficui da concludere sdraiati su pelli d´orso, mentre danzatrici circasse (tiro a indovinare) intrecciano vorticose coreografie. Insieme a tante altre cose, la passione orientalista di questo liberale da barzelletta è diventata un dato di fatto incontestabile: e difatti incontestato. Ci siamo abituati a considerare naturale, anzi ovvio, che Berlusconi faccia rotta quasi sempre verso Est, laddove sorge il sole e partono i gasdotti, e stringa fantastiche partnership con satrapi e dittatori assortiti. Manca – per adesso – un condottiero a cavallo, ma chissà che entro la fine della legislatura non entri in scena anche lui.
LA REPUBBLICA del 7 ottobre 2011
Non riesco a credere che sia vera, ma non posso escludere che sia falsa, la notizia secondo la quale Silvio Berlusconi vorrebbe cambiare nome al Pdl «perché si è reso conto che la sigla Pdl perde consensi nei sondaggi» (la frase, testuale, è tratta da un giornale radio Rai di ieri, in genere piuttosto zelante con il premier). Credo che neanche nei test sugli scimpanzé sia mai stata adottata una logica così offensiva per la cavia. Il test si svolgerebbe più o meno così. L´istruttore porge allo scimpanzé depresso la solita mela, ma gli dice con trascinante giovialità: da oggi, amico mio, cambia tutto, da oggi abbiamo la pera! Lui la guarda, gli sembra pur sempre una mela, l´annusa e l´odore è di mela, la assaggia e il sapore è di mela, ma il sorriso e l´entusiasmo dell´istruttore sono così travolgenti che il buon quadrumane si convince e manda giù la mela pensando, da brava bestia suggestionabile, "buona pera! viva la pera!". Ora, è pur vero che Berlusconi ebbe a dire, nei suoi lontani anni ruggenti, che «il pubblico è un bambino di otto anni». Ma non solo nessun bambino di otto anni, anche nessuno scimpanzé potrebbe partecipare a un esperimento del genere senza fare il gesto dell´ombrello all´istruttore. Forse passando dagli scimpanzé ai protozoi,
l´esperimento potrebbe avere successo. Ma per quanti protozoi vadano alle urne, basterebbero a vincere?