LA REPUBBLICA del 8 ottobre 2011
Non tutti i party dell´amico Putin rappresentano, per l´amico Silvio, un obbligo istituzionale. È dunque per puro spirito di abnegazione che il nostro premier non ne diserta uno. Ieri è volato a Mosca per la festa di compleanno del collega oligarca, e non c´è impedimento che regga: guerra mondiale, invasione marziana, meteorite in arrivo su Roma, a fare quattro salti da Putin si va sempre e comunque. Su quella linea aerea l´amico Silvio ha trascorso buona parte dei suoi numerosi mandati di governo, con qualche deviazione bielorussa e altre rapide visite a tirannidi minori ma molto pittoresche, con affari proficui da concludere sdraiati su pelli d´orso, mentre danzatrici circasse (tiro a indovinare) intrecciano vorticose coreografie. Insieme a tante altre cose, la passione orientalista di questo liberale da barzelletta è diventata un dato di fatto incontestabile: e difatti incontestato. Ci siamo abituati a considerare naturale, anzi ovvio, che Berlusconi faccia rotta quasi sempre verso Est, laddove sorge il sole e partono i gasdotti, e stringa fantastiche partnership con satrapi e dittatori assortiti. Manca – per adesso – un condottiero a cavallo, ma chissà che entro la fine della legislatura non entri in scena anche lui.
LA REPUBBLICA del 7 ottobre 2011
Non riesco a credere che sia vera, ma non posso escludere che sia falsa, la notizia secondo la quale Silvio Berlusconi vorrebbe cambiare nome al Pdl «perché si è reso conto che la sigla Pdl perde consensi nei sondaggi» (la frase, testuale, è tratta da un giornale radio Rai di ieri, in genere piuttosto zelante con il premier). Credo che neanche nei test sugli scimpanzé sia mai stata adottata una logica così offensiva per la cavia. Il test si svolgerebbe più o meno così. L´istruttore porge allo scimpanzé depresso la solita mela, ma gli dice con trascinante giovialità: da oggi, amico mio, cambia tutto, da oggi abbiamo la pera! Lui la guarda, gli sembra pur sempre una mela, l´annusa e l´odore è di mela, la assaggia e il sapore è di mela, ma il sorriso e l´entusiasmo dell´istruttore sono così travolgenti che il buon quadrumane si convince e manda giù la mela pensando, da brava bestia suggestionabile, "buona pera! viva la pera!". Ora, è pur vero che Berlusconi ebbe a dire, nei suoi lontani anni ruggenti, che «il pubblico è un bambino di otto anni». Ma non solo nessun bambino di otto anni, anche nessuno scimpanzé potrebbe partecipare a un esperimento del genere senza fare il gesto dell´ombrello all´istruttore. Forse passando dagli scimpanzé ai protozoi,
l´esperimento potrebbe avere successo. Ma per quanti protozoi vadano alle urne, basterebbero a vincere?
LA REPUBBLICA del 9 novembre 2011
Nelle lunghe dirette televisive di ieri, impressionava lo scarto pauroso tra le brevi e secche voci d´allarme che arrivavano dall´Europa a proposito del nostro debito pubblico, e l´andazzo tutto sommato attendista e prudente della politica romana. Buttiglione che spiegava le "larghe convergenze", Lupi che abbozzava un percorso politico così fumoso e incomprensibile che il microfono pareva ossidarsi, il via vai di telecamere, giornalisti, politici che sembrava formare nelle vie attorno ai Palazzi delle istituzioni, complice la pioggia, un lento gorgo limaccioso. L´ansia del telespettatore, vedendo scorrere sul video i sottotitoli con le gravi considerazioni dei cugini europei, faceva a pugni con la flemma della grande maggioranza degli onorevoli intervistati. Sapendo che oggi arrivano nella capitale i commissari europei, c´è da chiedersi se riusciranno a mettere in circolo un po´ di adrenalina, aiutando ad abbreviare i tempi mostruosamente lunghi di questa agonia politica (solo l´agonia di Hiro Hito fu più lunga di quella di Berlusconi) ; oppure se anche loro, come i cardinali di Nanni Moretti, dopo una mezza giornata a Roma avranno per unico scopo, specie se spunta il sole, di andare a bere il cappuccino a Borgo Pio.
LA REPUBBLICA del 26 ottobre 2011
Nonostante gli sforzi dei media di mantenere sempre alti i toni, spasmodiche le attese, storici gli eventi, ieri l´interminabile agonia del governo risultava più mesta che drammatica. Una giornata piovosa quasi in tutta Italia, lo sgocciolio soporifero sui vetri delle case che si confondeva con il borbottio delle dichiarazioni video, tutto o quasi a bassa voce e a capo chino, compresi i soliti vaffanculo di Bossi che risuonavano familiari, quasi affettuosi. Macchine scure che entrano e escono dai palazzi e intorno la normalità tetragona di Roma che tutto assorbe e tutto dimentica, e a volte appare odiosamente cinica e a volte saggia, quasi salubre nella sua bimillenaria pratica di sopravvivenza. La verità è che non è umano restare quasi vent´anni appesi alle parole, alle mosse, alle gesta di un signore che ha cercato – con un certo successo, va detto – di giustapporre le proprie sorti a quelle di un intero popolo. Alla lunga all´ira e ai sentimenti forti subentra una stremata sazietà, e infine la tanto attesa e agognata e temuta caduta di Berlusconi finirà per assomigliare, più che al crepuscolo degli dei, al fine-corsa di un qualunque governo democristiano di qualunque precedente epoca. Da parecchio tempo, del resto, di lui si parla non più come di un uomo pericoloso, ma come di un uomo noioso.
LA REPUBBLICA del 15 ottobre 2011
In una trasmissione radio che va per la maggiore, e ama esibire i casi umani della politica italiana (il deputato razzista, quello analfabeta, quello nazista, quello mafioso) come "numeri" divertenti, l´altra sera ho sentito una lunga, incredibile intervista all´onorevole Razzi, ex dipietrista oggi reclutato da Berlusconi. Per quanto avvezzi al progressivo sfacelo del Paese, non si poteva fare a meno di rimanere sgomenti di fronte alle sgrammaticature, gli errori di sintassi, l´italiano disperato di questo signore. Non indovina un ausiliare, ha detto «non avrei andato» e il concetto più articolato espresso è stato questo: «devolgo i soldi a costruire una chiesa distrutta». Si possono immaginare gli sghignazzi di chi l´ha nominato (per puro, incontrovertibile dolo) membro della commissione Cultura della Camera: uno sfregio che deve piacere molto anche a Vittorio Sgarbi, presente in trasmissione, che ha molto lodato il Razzi ricorrendo a quel gongolante cinismo che la destra italiana confonde con l´aplomb degli uomini di mondo. Parevano molto divertiti anche i due conduttori della trasmissione. A me è venuto un buco nello stomaco per la tristezza. Dato l´ottimo umore di tutti (di Sgarbi, di Razzi, dei conduttori) ho capito che quello fuori posto ero io.
LA REPUBBLICA del 12 ottobre 2011
Credo sia da escludere che Silvio Berlusconi rimanga avvinghiato al suo traballante potere per pura tigna, come un politicante qualunque. Una persona che concepisce se stesso come il migliore, l’indispensabile, l’invidiabile, non accetterebbe mai di sentirsi appena appena sopportato, come una vecchia star sul viale del tramonto. Lo pensasse anche solo per un secondo, se ne andrebbe in una delle sue magioni tropicali a fare il brillante con le ragazzine. No, se resta ostinatamente in sella è perché, evidentemente, vede se stesso ancora e sempre come il migliore, l’indispensabile, l’invidiabile. Per lui nulla è cambiato. Non sente i fischi, e se li sente li attribuisce alle manovre organizzate di consorterie nemiche. Non coglie l’imbarazzo e lo spregio della comunità politica mondiale, ché sono tutte voci montate ad arte dalla stampa comunista. Non vede la crescente insoddisfazione dei suoi, le infedeltà patenti o latenti, perché gli pare inverosimile che qualcuno non lo ami. Per non imputargliele tutte, va detto che è difficile per chiunque cogliere il proprio declino, e accettarlo: un classico (triste) dello sport è il campione che si ostina a salire sul ring anche quando non ce la fa più. Nel suo caso, c’è una difficoltà in più: avendo comperato il ring, gli riesce ancora più difficile capire perché mai dovrebbe scenderne.
LA REPUBBLICA del 10 novembre 2011
È veramente fenomenale la faccia tosta con quale i protagonisti indiscussi dello sfascio ora vogliono chiudere la legislatura come niente fosse (cioè come se lo Stato non fosse in bancarotta) e rinverginarsi con una bella campagna elettorale. Nella quale, magari, giocarsela da vocianti innovatori dopo essere stati, per lunghi anni, l´alfa e l´omega di un potere politico tanto tracotante quanto inetto. Così è il populismo (del quale Berlusconi e Bossi sono il Gatto e la Volpe): un giorno a Palazzo, il giorno dopo a fare casino per le strade, un giorno reazionario e il giorno dopo rivoluzionario, basta non dover rendere conto ad altri che a se stessi e alla propria claque vociante, che fino a un minuto prima strillava sui suoi giornali "giù le mani dalla legislatura" e un minuto dopo strilla "evviva, tutti alle urne!". Il gioco è talmente scoperto da suscitare, per istinto più che per calcolo, una improvvisa simpatia per qualunque soluzione che il Capo dello Stato riesca a trovare, raccogliendo i cocci che il governo in fuga lascia sul pavimento. Va bene tutto, compresa una maggioranza-pateracchio che vada da Fini a Bersani a Pisanu, con dentro anche il Papa e le guardie svizzere: dopo quello che abbiamo trangugiato per vent´anni, qualche mese di quarantena non farebbe una gran differenza.
LA REPUBBLICA del 27 ottobre 2011
Davvero illuminante lo studio di due ricercatori di Cambridge sulla miopia, in aumento soprattutto nel mondo ricco. Dipenderebbe dal minor numero di ore trascorse all´aria aperta, con conseguente restrizione del campo visivo e peggiore qualità della luce artificiale rispetto a quella naturale. Così, quando diciamo che una catastrofe come quella occorsa a mezza Liguria è causata dalla miopia dell´uomo, diciamo una verità assai meno metaforica di quanto pensiamo. Siamo sempre più miopi anche perché non sappiamo più guardare il mondo e misurarlo davvero. Dice Marco Paolini che l´Italia, per una vera e propria turba della personalità, è un Paese di montagna convinto di essere un Paese di pianura, e anche questa non è una metafora: oltre il settanta per cento del nostro territorio è scosceso, ondulato o ripido, ma facciamo finta che non sia così. Ripulire un fosso e impedire che si otturi, mantenere pervie e sorvegliate le vie d´acqua, far respirare i boschi perché siano sani e permeabili, non cementificare da ingordi e da pazzi quali siamo, tutto questo equivarrebbe alla cura del nostro paese e di noi stessi. Ma non abbiamo più cura perché non abbiamo più sguardo, se non per le videate e i tabulati che ci scorrono a un palmo dal naso, mentre fuori vita e morte giocano la loro partita considerandoci, giustamente, appena un dettaglio.
LA REPUBBLICA del 30 novembre 2011
Una comunità civile – strenuamente civile – come quella norvegese maneggia con comprensibile fatica lo stragista Breivik, le sue idee primitive, il suo crimine bestiale. Le leggi impediscono la vendetta, che è barbarica (e dunque familiare a Breivik, non ai suoi giudici) e addirittura costringono quel tribunale a porsi, su un uomo che ha macellato decine di ragazzi come agnelli, la fatidica domanda se sia solo un criminale o soprattutto un pazzo, dunque da curare (la diagnosi dei periti è "schizofrenia paranoica") più che da punire. La domanda, in realtà, andrebbe estesa a molti criminali di guerra, nonché a tutti o quasi i crimini innescati dall´odio razziale o religioso, tanto "folle" appare, alla nostra ragione nonché alla nostra pietà, la decisione di sopprimere qualcuno perché considerato inferiore, infetto, alieno e pericoloso. Molte idee sono malate, schizofreniche e paranoiche fino dalla loro formulazione. Il razzismo lo è certamente, benché abbia disperatamente tentato, per secoli, di darsi una struttura culturale e "scientifica". Far capire ai razzisti che sono malati non risolve certo il nostro problema (che è metterli nelle condizioni di non nuocere). Ma forse, può aiutarli a risolvere il loro.
LA REPUBBLICA del 11 novembre 2011
I cosiddetti "poteri forti" sono, per la destra populista, una vera ossessione, e quasi una superstizione: come l´aglio per le streghe. La Lega, i pretoriani di "Silvio" e Tonino Di Pietro (che incarna ottimamente la porzione di populismo in quota alla sinistra) ne parlano come nei licei si parlava della Cia negli anni Settanta: una presenza malefica e capillare in grado di avvelenare anche i cappuccini nel bar dove ci si riuniva per scrivere i volantini. Nella realtà di davvero forte, in Italia, non c´è niente se non lo spirito di adattamento. L´influenza e il ruolo dei "poteri forti" sono ingigantiti a dismisura, a destra, dalla poca dimestichezza che i nuovi quadri dirigenti del leghismo e del berlusconismo hanno con le istituzioni, da un lato, con la borghesia dall´altro. Si teme soprattutto ciò che non si conosce. Se i poteri forti fossero davvero forti, dovrebbero dunque invitare qualche volta a cena anche Calderoli o la Michela Brambilla o Di Pietro, chiudendo un occhio sugli accostamenti di colore e cercando di piazzarli vicino a commensali disposti a sacrificarsi per la causa. Parlandosi, e sopportando vicendevolmente l´aplomb molto difforme, i nuovi capipopolo e i vecchi notabili capirebbero di avere non poco in comune: per esempio, non sapere che pesci pigliare.