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LA REPUBBLICA del 10 novembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
È veramente fenomenale la faccia tosta con quale i protagonisti indiscussi dello sfascio ora vogliono chiudere la legislatura come niente fosse (cioè come se lo Stato non fosse in bancarotta) e rinverginarsi con una bella campagna elettorale. Nella quale, magari, giocarsela da vocianti innovatori dopo essere stati, per lunghi anni, l´alfa e l´omega di un potere politico tanto tracotante quanto inetto. Così è il populismo (del quale Berlusconi e Bossi sono il Gatto e la Volpe): un giorno a Palazzo, il giorno dopo a fare casino per le strade, un giorno reazionario e il giorno dopo rivoluzionario, basta non dover rendere conto ad altri che a se stessi e alla propria claque vociante, che fino a un minuto prima strillava sui suoi giornali "giù le mani dalla legislatura" e un minuto dopo strilla "evviva, tutti alle urne!". Il gioco è talmente scoperto da suscitare, per istinto più che per calcolo, una improvvisa simpatia per qualunque soluzione che il Capo dello Stato riesca a trovare, raccogliendo i cocci che il governo in fuga lascia sul pavimento. Va bene tutto, compresa una maggioranza-pateracchio che vada da Fini a Bersani a Pisanu, con dentro anche il Papa e le guardie svizzere: dopo quello che abbiamo trangugiato per vent´anni, qualche mese di quarantena non farebbe una gran differenza. 

LA REPUBBLICA del 27 ottobre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Davvero illuminante lo studio di due ricercatori di Cambridge sulla miopia, in aumento soprattutto nel mondo ricco. Dipenderebbe dal minor numero di ore trascorse all´aria aperta, con conseguente restrizione del campo visivo e peggiore qualità della luce artificiale rispetto a quella naturale. Così, quando diciamo che una catastrofe come quella occorsa a mezza Liguria è causata dalla miopia dell´uomo, diciamo una verità assai meno metaforica di quanto pensiamo. Siamo sempre più miopi anche perché non sappiamo più guardare il mondo e misurarlo davvero. Dice Marco Paolini che l´Italia, per una vera e propria turba della personalità, è un Paese di montagna convinto di essere un Paese di pianura, e anche questa non è una metafora: oltre il settanta per cento del nostro territorio è scosceso, ondulato o ripido, ma facciamo finta che non sia così. Ripulire un fosso e impedire che si otturi, mantenere pervie e sorvegliate le vie d´acqua, far respirare i boschi perché siano sani e permeabili, non cementificare da ingordi e da pazzi quali siamo, tutto questo equivarrebbe alla cura del nostro paese e di noi stessi. Ma non abbiamo più cura perché non abbiamo più sguardo, se non per le videate e i tabulati che ci scorrono a un palmo dal naso, mentre fuori vita e morte giocano la loro partita considerandoci, giustamente, appena un dettaglio. 

LA REPUBBLICA del 30 novembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Una comunità civile – strenuamente civile – come quella norvegese maneggia con comprensibile fatica lo stragista Breivik, le sue idee primitive, il suo crimine bestiale. Le leggi impediscono la vendetta, che è barbarica (e dunque familiare a Breivik, non ai suoi giudici) e addirittura costringono quel tribunale a porsi, su un uomo che ha macellato decine di ragazzi come agnelli, la fatidica domanda se sia solo un criminale o soprattutto un pazzo, dunque da curare (la diagnosi dei periti è "schizofrenia paranoica") più che da punire. La domanda, in realtà, andrebbe estesa a molti criminali di guerra, nonché a tutti o quasi i crimini innescati dall´odio razziale o religioso, tanto "folle" appare, alla nostra ragione nonché alla nostra pietà, la decisione di sopprimere qualcuno perché considerato inferiore, infetto, alieno e pericoloso. Molte idee sono malate, schizofreniche e paranoiche fino dalla loro formulazione. Il razzismo lo è certamente, benché abbia disperatamente tentato, per secoli, di darsi una struttura culturale e "scientifica". Far capire ai razzisti che sono malati non risolve certo il nostro problema (che è metterli nelle condizioni di non nuocere). Ma forse, può aiutarli a risolvere il loro. 

LA REPUBBLICA del 11 novembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
I cosiddetti "poteri forti" sono, per la destra populista, una vera ossessione, e quasi una superstizione: come l´aglio per le streghe. La Lega, i pretoriani di "Silvio" e Tonino Di Pietro (che incarna ottimamente la porzione di populismo in quota alla sinistra) ne parlano come nei licei si parlava della Cia negli anni Settanta: una presenza malefica e capillare in grado di avvelenare anche i cappuccini nel bar dove ci si riuniva per scrivere i volantini. Nella realtà di davvero forte, in Italia, non c´è niente se non lo spirito di adattamento. L´influenza e il ruolo dei "poteri forti" sono ingigantiti a dismisura, a destra, dalla poca dimestichezza che i nuovi quadri dirigenti del leghismo e del berlusconismo hanno con le istituzioni, da un lato, con la borghesia dall´altro. Si teme soprattutto ciò che non si conosce. Se i poteri forti fossero davvero forti, dovrebbero dunque invitare qualche volta a cena anche Calderoli o la Michela Brambilla o Di Pietro, chiudendo un occhio sugli accostamenti di colore e cercando di piazzarli vicino a commensali disposti a sacrificarsi per la causa. Parlandosi, e sopportando vicendevolmente l´aplomb molto difforme, i nuovi capipopolo e i vecchi notabili capirebbero di avere non poco in comune: per esempio, non sapere che pesci pigliare. 

LA REPUBBLICA del 13 ottobre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Raggiunto da un giornalista che gli chiedeva ragione della sua assenza in Parlamento durante il voto sul bilancio, il famoso deputato Scilipoti si è così giustificato: "Non potevano farmi una telefonata? Sarei andato a votare". Ecco che la presenza in Parlamento, da noi ingenuamente considerata un lavoro, viene descritta dallo Scilipoti come una prestazione facoltativa, un atto di liberalità da esercitare a seconda delle circostanze. Allo stesso modo, il pompiere che non spegne l´incendio perché è andato a pescare in orario di lavoro, o il barista che lascia deserto il locale nell´ora di punta, può ben rimproverare al cittadino ustionato, o al cliente senza caffè, di non avergli fatto un colpo di telefono: sarebbe subito accorso, che diamine. Diciamolo: lo Scilipoti, in termini tecnici, è uno che prende per il culo il popolo elettore, a nome dei suoi troppi colleghi assenteisti, disertori e renitenti che rubano lo stipendio e vanno in aula solo quando gli gira, o quando qualcuno gli telefona per segnalargli che in Parlamento, ogni tanto, si vota. Per colpa dello Scilipoti, tra l´altro, siamo costretti per la prima e speriamo ultima volta della nostra vita a fare nostre le parole di Alessandra Mussolini: "Se è vero che Scilipoti non ha votato deve restituire tutto quello che ha avuto". Per farlo, dovrà affittare un camion. 

LA REPUBBLICA del 1° dicembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Le polemiche sui "tempi lenti" del governo Monti fanno abbastanza ridere se rapportate alla sensazione di consolidata immobilità che, per anni, lo ha preceduto. Non è che veniamo da un fox trot. Veniamo da un fermo immagine durato quasi vent´anni, quello che va dal Berlusconi del ´94 che scende in campo contro i comunisti al Berlusconi di tre giorni fa che scende in campo contro i comunisti. Veniamo da una palude fatta di irresolutezza, molte decisioni evitate, pochissime decisioni prese ma clamorosamente sbagliate (l´abolizione dell´Ici), e una nebbia luminescente che avvolgeva tutto e tutti e occultava la realtà della vita, del lavoro, del concreto farsi e disfarsi della nostra società. A pensarci meglio, le critiche sulla lentezza del nuovo governo, a dispetto delle intenzioni di chi le muove, sono la prova provata che abbiamo davvero e finalmente voltato pagina. Si è rimesso in moto l´orologio della realtà, e nella realtà una settimana è lunga, un mese è lunghissimo, un anno è l´eternità. Chiedere a Monti di fare in fretta equivale a dire che ci siamo svegliati da un lungo coma, e il tempo vale, il tempo pesa, il tempo è di nuovo il nostro. 

LA REPUBBLICA del 16 novembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Vuoi mettere il Parlamento Padano? Che è finto come una quinta di cartapesta, ma ti fa provare l´ebbrezza ininterrotta del cento per cento dei voti, perché non c´è opposizione e non c´è politica, c´è solo la parata celebrativa dei capi e dei sottocapi dell´unico partito rappresentato. Le legnate prese a Roma, nel campionato vero, nel Parlamento vero, si dimenticano in fretta nel rassicurante calduccio di una Heimat inventata, circondata dall´indifferenza e dall´ostilità di un territorio che in larghissima maggioranza si sente italiano, e ha già ampiamente dimostrato, nell´anno del centocinquantenario, di averne le tasche piene dell´arrogante pretesa del Carroccio di parlare a nome di un Nord che già cinquanta metri fuori da quel "Parlamento" non lo vota e non lo stima. Per colmo della misura, il frettoloso ricovero dei resti della "Lega di governo" nella sua vecchia tana posticcia ha il sapore, davvero molto sgradevole, di una doppiezza furbastra, che fino a un minuto prima consentiva di parlare a nome di uno Stato di cui si è ministri, e un minuto dopo di colpirlo alle spalle invocando la secessione. In un Paese che dovesse recuperare la propria dignità, una così esplicita e ripetuta fellonia non passerebbe impunita. 

LA REPUBBLICA del 16 ottobre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
I black bloc farebbero una splendida carriera a Wall Street. Sono una piccola cricca di speculatori, del tutto indifferenti alla ricaduta delle loro gesta sulla società. Se ne fregano delle conseguenze, del prezzo che fanno pagare agli altri, vivono per il brivido di sentirsi un´avanguardia, disprezzano la massa disarmata, considerano il mondo il palcoscenico delle loro scorrerie. La politica, per loro, è come l´economia per i peggiori gangster della Borsa: qualcosa da privatizzare, da usare per i propri comodi, da piegare alla propria supremazia. Sono quasi tutti giovani maschi. Rarissime, quasi introvabili le donne. Come nella finanza, come in ogni campo di battaglia dove si menano le mani per mostrarsi vincenti, dove si fa male agli altri, dove si frega il prossimo. Difficile, per i pacifici e gli inermi, difendersi, specie in un periodo storico come questo che è fatto di guerre per bande, con le grandi organizzazioni politiche in affanno, e i movimenti di massa facili da scalare, da strumentalizzare, da dirottare. Ci vorranno molto coraggio e molta fantasia, in futuro, per inventare forme di lotta politica che non offrano a questi giovani pescecani la trippa, troppo facile, dove affondare le zanne. 

LA REPUBBLICA del 2 dicembre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La Lega che pretende lo scontrino fiscale è un clamoroso inedito, come se Le Pen lodasse l´immigrazione e il vampiro invocasse l´aglio. È successo così: che Mario Monti è andato dal barbiere di domenica, e un manipolo di parlamentari del Carroccio ha chiesto di verificare se sia stato emesso regolare scontrino. Alla parola "scontrino" ci sono vaste zone del Nord che ammutoliscono, proprio come nella Calabria di Cetto Laqualunque: e sono zone nelle quale gli elettori leghisti, in odio allo Stato sanguisuga e a Roma ladrona, abbondano. Ma si sa com´è la politica: oggi il Carroccio è all´opposizione, per giunta dopo anni di poltrone romane e dunque con l´affannoso bisogno di riconquistare gli elettori delusi. Lo scontrino fiscale non fa parte del suo armamentario né della sua cultura politica, non è la doppietta padana già evocata da Bossi, non la quota-latte da ricacciare in gola alla porca Europa, non il dito medio da mulinare davanti alle telecamere: è un minimo, indispensabile cartiglio di Stato che funge da biglietto d´ingresso nel consesso degli italiani onesti. Forse i leghisti non se ne rendono conto, ma quando sventolano lo scontrino è come se sventolassero un mini-tricolore. Rischiano di ustionarsi i polpastrelli. 

LA REPUBBLICA del 28 ottobre 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
È difficile immaginare qualcosa di più rattristante di una folla di quasi diecimila persone che fa a botte per entrare in un megastore e accaparrarsi televisori, ferri da stiro, frullatori in offerta speciale. È accaduto ieri a Roma vicino a Ponte Milvio, la città è rimasta ingorgata per ore. C´era gente in coda dall´alba, c´era gente accampata, e non era una coda per il pane, era una coda per sentirsi in regola con l´identità del consumatore medio, degno di vivere in questo mondo senza sentirsi di troppo. Mi basterebbe che qualcuno (anche solo uno su diecimila) all´improvviso si fosse sentito umiliato, in quella ressa di schiavi, per avere qualche speranza in più sul nostro futuro. Mi basterebbe che qualcuno, anche uno solo su diecimila, avesse improvvisamente scartato di lato, respirato forte, e fosse fuggito ovunque pur di non rimanere lì a fare la comparsa a pagamento (pagare per apparire, pagare per esistere). Non riesco a credere che un tostapane con lo sconto, pure se in tempi di crisi nera, sia in grado di trasformare le persone in uno sciame di mosche disposte a schiacciarsi l´una con l´altra pur di posare le zampe sulla propria briciola. 
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