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LA REPUBBLICA del 27 settembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Dalla tangente sui vecchietti (Mario Chiesa) al pizzo sulla pappa dei bambini delle materne (Parma, 2011) sono passati vent´anni. È come un cerchio che si chiude, e chiudendosi ci riporta al punto di partenza. Molti italiani possono lamentare l´inutilità del tempo trascorso: ci ritroviamo, una generazione dopo, a fare le stesse precise considerazioni sul tradimento etico di una classe dirigente e sulle fragilissime fondamenta della morale pubblica.
Ma per altri italiani (molti, forse moltissimi) questi vent´anni non sono affatto passati invano. Grazie alla progressiva sconfitta del cosiddetto "giustizialismo" (il solo affermarsi di quella parola segna la netta vittoria culturale degli immoralisti al potere), e allo sdoganamento politico-culturale dell´ambizione privata come giustificazione di qualunque furbata o porcheria o sopraffazione, sono diventati ricchi. Hanno fatto strada, strappato appalti, conquistato amicizie. Si sono sentiti finalmente liberi di dare gomitate, di essere sleali, di vivere "da leoni e non da pecore" come da folgorante sintesi di una delle fidanzatine del Sire. Rispetto a vent´anni fa, il ceto dei furbi e degli sgomitanti non è solo materialmente più vasto e radicato. È, soprattutto, più cosciente della propria nuova centralità politica e del proprio diritto (sì, diritto) di farsi largo con ogni mezzo. Bastò una procura, vent´anni fa, per ribaltare l´Italia. Non ne basterebbero cento, oggi, per ridarle fiato.
 

LA REPUBBLICA del 11 settembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Da vita, parole e opere dei coniugi Tarantini trapela un rapporto con i quattrini che non ha molto da spartire con la tradizionale avidità. Semplicemente, parlano della ricchezza come di un diritto naturale, di una condizione dovuta. Non il frutto del lavoro o della fortuna o delle disponibilità familiari. Un diritto, tanto evidente che a chi chiede loro ragione dei ventimila euro al mese spillati al Supercitrullo che ci governa, rispondono di avere «un tenore di vita alto». È l´etica sociale esattamente rovesciata: il tenore di vita alto non è più il punto di approdo di un lavoro proficuo o del talento premiato, come è sempre stato. No: il tenore di vita alto è la condizione pregressa che giustifica qualunque forma di scrocco o di questua o di prelievo con destrezza, perché mica vorrete che i coniugi Tarantini si vestano all´Upim o pernottino in pensioni da poco o si arrabattino come chiunque fatica a campare la vita, no? Loro hanno un tenore di vita alto, sono fatti così. Ha ragione Bauman: siamo, fondamentalmente, una società di drogati. Dipendenza da sostanze, dipendenza da consumi, dipendenza da sesso, dipendenza da denaro sono il motore del mondo che abbiamo costruito. Raramente riusciamo a ragionare sul fatto che dipendenza è il contrario di libertà. Sicuramente non è ai coniugi Tarantini che possiamo chiedere qualche consiglio terapeutico, o anche solo qualche mezza riflessione in proposito. 

LA REPUBBLICA del 28 settembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Pure se da un pulpito molto precario (sono il classico relativista etico), faccio parte del folto gruppo di italiani che avevano facilmente colto già sul nascere, nel potere berlusconiano, quei tratti smodati e quella mancanza di misura che il cardinale Bagnasco ha infine denunciato, suscitando grande fragore mediatico. È strano: almeno in teoria, il vaglio morale della Chiesa dovrebbe essere ben più ristretto e severo di quello della gente come me, che non promulga codici di comportamento sessuale né saprebbe indicare Modelli di Famiglia maiuscoli come quello vidimato dal cattolicesimo romano. Evidentemente, non essendo sospettabile che cotanta autorità morale colga lo scandalo con clamoroso ritardo rispetto a noi dilettanti dell´etica, dobbiamo dedurne che altri impedimenti hanno suggerito a Roma di tacere per tanti anni quanti ne sono bastati, a Berlusconi, per dare a bere a un sacco di italiani che lui governava nel nome dei valori della Famiglia. Sono, questi impedimenti, affare interno della Chiesa. Ma rendono difficile da capire, per quelli come me, l´entusiasmo che ha accolto le parole di Bagnasco, essendo quelle stesse parole, o parole molto simili, già state dette e scritte infinite volte da infiniti altri. Ben prima di lui.

LA REPUBBLICA del 14 settembre 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Giovanardi che polemizza con Madonna è pura surrealtà, anche perché Madonna non lo saprà mai. Equivale a "Fanfani attacca i Beatles", per i meno anziani propongo "Cota maledice Hollywood". Si ride. Ma è una risata breve, perché un secondo dopo ci sovviene che, partita Madonna, Giovanardi rimane qui con noi, è lui il nostro convivente, lui l´espressione corrente del pensiero piccino che ci fa piccini, sempre più piccini di fronte al mondo. Gli italiani che viaggiano tornano con le mani nei capelli per gli sfottò, le allusioni sessuali, gli sguardi di compatimento. Il capo di Giovanardi è una celebrità planetaria nel campo del gallismo da barzelletta, le sue camicie di seta nera e il suo cerone ne fanno una star dell´avanspettacolo, anche se con quarant´anni di ritardo. Giovanardi ha perfettamente ragione, in questo senso, a rimproverare Madonna perché "la sua cultura non è quella della famiglia". Nella "cultura della famiglia" dell´Italietta di Giovanardi, il padre di famiglia e il puttaniere sono figure tranquillamente coesistenti, spesso coincidenti, ma l´omosessuale non può ereditare dal suo compagno di una vita, né assisterlo in ospedale. Finché quella cultura non sarà morta e sepolta l´Italia sarà eternamente bigotta e, quel che è peggio, eternamente volgare e violenta con una moltitudine di esseri umani. 

LA REPUBBLICA del 12 luglio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
In margine alla vicenda del Lodo Mondadori, ci sarebbe da ragionare su un´enormità. Talmente enorme che se ne parla poco e si fa finta di dimenticarsene, anche perché non si può vivere sempre nell´angoscia più nera (un quid di rimozione, in Italia, è indispensabile per la sopravvivenza). L´enormità è questa: che secondo le carte giudiziarie il capo del governo di questo Paese si sarebbe giovato, per costruire le sue fortune, della corruzione di un giudice. Reato più devastante, per un uomo che rappresenta le istituzioni, quasi non è concepibile. Sono le classiche e ricorrenti situazioni nelle quali ci si chiede "in quale altro Paese mai potrebbe accadere", eccetera eccetera. Pure, nella puntuta difesa che il suo esercito di avvocati e i suoi familiari, e co-intestatari dei beni, fanno di Berlusconi, lo scrupolo di negare un´accusa così infamante non appare certo al primo posto. Si fa cenno alla salute dell´azienda, alla tutela dei posti di lavoro, si mette in discussione la cifra in ballo. Quasi si sorvola su ciò che ha originato tutto, e ha portato al colossale risarcimento di un altrettanto colossale danno: la corruzione, comprovata e già giudicata, del giudice Metta da parte di Cesare Previti per favorire la Fininvest. L´idea che chi ci governa e ci rappresenta nel mondo sia un corruttore di giudici è effettivamente troppo deprimente, e vergognosa, perché se ne possa prendere atto fino in fondo. Meglio dormire. Andare al mare. Dimenticare. 

LA REPUBBLICA del 30 luglio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca

Leggo avidamente le cronache del "Trota-gate", vicenda minore ma gustosissima del sottobosco lumbard. Pare pensata da Piero Chiara e scritta, però, da un suo emulo non di vaglia, di quelli che mandano tutto in vacca fin dalle prime righe. A cominciare dal nome di battaglia della protagonista, "Monica della Valcamonica", assessore regionale lombardo. Per proseguire con la sensitiva-veggente da lei fatta assumere al Pirellone, seguace del culto di Orion (la Giunta Formigoni, si sa, è molto attenta alla religione). E poi gli immancabili dossier (chi non ne ha un paio nel cassetto?) che riguarderebbero quelle che i giornali chiamano "storie di corna", per fare fuori i rivali interni del Trota, affidato dal papà a Monica della Valcamonica e a uno staff, come dire, piuttosto composito, anzi talmente composito che ne faceva parte anche l´indimenticabile Valerio Merola detto Merolone. E finte lauree in psicologia, e un mondo di paesi, di compaesani e di millanterie paesane, di aspirazioni nate al bar e trascinate con febbrile fatica fino a Milano, la grande città che non vota Lega ma alla quale i leghisti arrivano come Renzo Tramaglino, tramortiti dallo stupore. Detestiamo i dossier: puzzano. Ma una sbirciata a un dossier a caso di quelli compilati dalla maga del Pirellone e da Monica della Valcamonica dev´essere un divertimento irresistibile.

 

LA REPUBBLICA del 1 luglio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
 Ma quanto può durare ancora, l´agonia politica di Silvio Berlusconi? E con quali conseguenze ulteriori, in un paese che avrebbe fretta di voltare pagina e non può, non ci riesce, ne è impedito da un ex leader che non ha più una vera maggioranza, non più una credibilità, non più una prospettiva? Tra i vari scenari ipotizzati (la furia sovversiva del Caimano, il collasso del rapporto tra politica e giustizia, l´accelerazione autoritaria) si fa strada la meno berlusconiana e dunque la meno prevedibile: la mesta ostinazione del pugile suonato che non trova la forza di scendere dal ring, e ripete in modo sempre più flebile e patetico le vecchie mosse un tempo di successo, oggi mal sopportate perfino dal suo entourage. Una decadenza logora e opaca imposta ancora per mesi, magari per un paio d´anni: potrebbe essere questa la vendetta davvero atroce che l´ex dinamico imprenditore, e scoppiettante demagogo, e smodato viveur perpetra ai nostri danni, per punirci di avergli voltato le spalle. Costringerci ad annoiarci e languire al suo capezzale, e dopo averci imposto il vitalismo volgare, e le luci pacchiane del suo potente varietà, renderci spettatori obbligati del suo finale triste, e crocerossini sfiniti della sua ostinazione senile. Tutto, pur di continuare a decidere anche per nostro conto.

LA REPUBBLICA del 15 luglio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Secondo i deputati leghisti Fugatti e Negro è necessario appendere il crocifisso anche all´interno della Camera dei deputati perché "sarebbe imperdonabile ignorare da dove deriva la democrazia, ovvero dalla tradizione cristiana". Di fronte a questo ridicolo tartufismo (condito di ignoranza) devo dire di preferire di gran lunga lo schietto fanatismo dell´ultradestra cattolica, i vari lefevriani e lepantisti che brandiscono la croce come un´arma propria, e della democrazia se ne infischiano. Loro, almeno, si battono apertamente per una società confessionale e papista, non laica e non separata dalla Chiesa, per la quale democrazia e pluralismo sono un insopportabile cedimento alla secolarizzazione e ai suoi vizi. La Lega, dopo avere giocherellato per anni con un paganesimo da cartoni animati, da un po´ di tempo ha scoperto le radici cristiane, che pratica con l´impaccio di un hobby troppo impegnativo. Libera di farlo, e libera, anche, di considerare la laicità dello Stato un insignificante dettaglio. Ma non vengano a raccontarci, i leghisti, queste panzane imparaticce sul nesso (inesistente) tra imposizione del crocifisso e democrazia. Siano coerentemente intolleranti e coerentemente di destra, e diano al loro istinto reazionario una congrua base culturale. Meriterebbero almeno il rispetto che si deve a chi sa quello che è e quello che vuole. 

LA REPUBBLICA del 31 luglio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Non sapevo proprio che Amaca scrivere, oggi su questo giornale che è in lutto, e si sente più solo e più debole perché ha perduto uno dei suoi uomini più bravi e più forti. Poi ho pensato che la cosa più giusta da dire, su Peppe e di riflesso su noi tutti, era anche la più semplice: il giornalismo, che è uno dei mestieri più ignobili del mondo (rifugio di vice-scrittori, palestra di improvvisatori, bolgia di pettegoli), può anche diventare uno dei mestieri più coraggiosi e necessari. A un patto: che il giornalista ci creda e che lo voglia. D´Avanzo ci ha creduto e lo ha voluto. Il giornalismo non esiste, esistono i giornalisti. Quelli bravi e anche quelli bravissimi non li riconosci perché sono infallibili (ogni grande firma ha in archivio i suoi errori). Li riconosci perché non sprecano mai il mestiere, non lo lasciano scolorire nella routine, non permettono alle parole di perdere significato e potere. Le parole senza significato sono quelle che occultano, coprono tutto sotto una coltre inespressiva, sono il bla-bla che ammazza la pubblica opinione e la confonde. Le parole bene assestate, scelte con fatica e a volte dissotterrate dal silenzio e dal conformismo, sono un´arma fantastica e un dono alla comunità nella quale si vive. Un dono di libertà. Il giornalismo non è all´altezza di quel dono, ma alcuni giornalisti sì. 

LA REPUBBLICA del 2 agosto 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Dalle inchieste sui diversi scandali politico-affaristici, in particolare quella sulla cosiddetta P4, emerge un giro vorticoso di quattrini, con gente di non conclamato talento professionale che intasca per una "mediazione" quanto una persona onesta guadagna in un paio d´anni. E già questo è uno schiaffo non solamente alla legge, ma anche all´economia, perché sovverte ogni rapporto tra merito individuale e reddito: il complice o il servente di un politico disonesto può diventare ricco in poco tempo anche se è un fior di coglione. Di quasi peggio c´è il traffico di posti pubblici, incarichi di para-governo, consulenze dorate pagate con il denaro della comunità. Spicchi dello Stato usati per premiare i complici, i famigli o gli amiconi. E questo è un delitto contro la democrazia, perché mina alla base il concetto stesso di classe dirigente. Quei posti, nei paesi civili, sono l´approdo dei migliori, sono i luoghi dove si formano gli alti burocrati e i civil servant sulle cui spalle caricare le decisioni difficili, le responsabilità gravi. Sono posti importanti, ambiti, prestigiosi, che in Italia rischiano di diventare, agli occhi di un´opinione pubblica disgustata, il bottino maleodorante di una guerra per bande. Dire "consulente del Ministro" non può significare automaticamente genio da riverire. Ma non può diventare neanche sinonimo di losco intrallazzone. 
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