LA REPUBBLICA del 1 luglio 2011
Ma quanto può durare ancora, l´agonia politica di Silvio Berlusconi? E con quali conseguenze ulteriori, in un paese che avrebbe fretta di voltare pagina e non può, non ci riesce, ne è impedito da un ex leader che non ha più una vera maggioranza, non più una credibilità, non più una prospettiva? Tra i vari scenari ipotizzati (la furia sovversiva del Caimano, il collasso del rapporto tra politica e giustizia, l´accelerazione autoritaria) si fa strada la meno berlusconiana e dunque la meno prevedibile: la mesta ostinazione del pugile suonato che non trova la forza di scendere dal ring, e ripete in modo sempre più flebile e patetico le vecchie mosse un tempo di successo, oggi mal sopportate perfino dal suo entourage. Una decadenza logora e opaca imposta ancora per mesi, magari per un paio d´anni: potrebbe essere questa la vendetta davvero atroce che l´ex dinamico imprenditore, e scoppiettante demagogo, e smodato viveur perpetra ai nostri danni, per punirci di avergli voltato le spalle. Costringerci ad annoiarci e languire al suo capezzale, e dopo averci imposto il vitalismo volgare, e le luci pacchiane del suo potente varietà, renderci spettatori obbligati del suo finale triste, e crocerossini sfiniti della sua ostinazione senile. Tutto, pur di continuare a decidere anche per nostro conto.
LA REPUBBLICA del 15 luglio 2011
Secondo i deputati leghisti Fugatti e Negro è necessario appendere il crocifisso anche all´interno della Camera dei deputati perché "sarebbe imperdonabile ignorare da dove deriva la democrazia, ovvero dalla tradizione cristiana". Di fronte a questo ridicolo tartufismo (condito di ignoranza) devo dire di preferire di gran lunga lo schietto fanatismo dell´ultradestra cattolica, i vari lefevriani e lepantisti che brandiscono la croce come un´arma propria, e della democrazia se ne infischiano. Loro, almeno, si battono apertamente per una società confessionale e papista, non laica e non separata dalla Chiesa, per la quale democrazia e pluralismo sono un insopportabile cedimento alla secolarizzazione e ai suoi vizi. La Lega, dopo avere giocherellato per anni con un paganesimo da cartoni animati, da un po´ di tempo ha scoperto le radici cristiane, che pratica con l´impaccio di un hobby troppo impegnativo. Libera di farlo, e libera, anche, di considerare la laicità dello Stato un insignificante dettaglio. Ma non vengano a raccontarci, i leghisti, queste panzane imparaticce sul nesso (inesistente) tra imposizione del crocifisso e democrazia. Siano coerentemente intolleranti e coerentemente di destra, e diano al loro istinto reazionario una congrua base culturale. Meriterebbero almeno il rispetto che si deve a chi sa quello che è e quello che vuole.
LA REPUBBLICA del 31 luglio 2011
Non sapevo proprio che Amaca scrivere, oggi su questo giornale che è in lutto, e si sente più solo e più debole perché ha perduto uno dei suoi uomini più bravi e più forti. Poi ho pensato che la cosa più giusta da dire, su Peppe e di riflesso su noi tutti, era anche la più semplice: il giornalismo, che è uno dei mestieri più ignobili del mondo (rifugio di vice-scrittori, palestra di improvvisatori, bolgia di pettegoli), può anche diventare uno dei mestieri più coraggiosi e necessari. A un patto: che il giornalista ci creda e che lo voglia. D´Avanzo ci ha creduto e lo ha voluto. Il giornalismo non esiste, esistono i giornalisti. Quelli bravi e anche quelli bravissimi non li riconosci perché sono infallibili (ogni grande firma ha in archivio i suoi errori). Li riconosci perché non sprecano mai il mestiere, non lo lasciano scolorire nella routine, non permettono alle parole di perdere significato e potere. Le parole senza significato sono quelle che occultano, coprono tutto sotto una coltre inespressiva, sono il bla-bla che ammazza la pubblica opinione e la confonde. Le parole bene assestate, scelte con fatica e a volte dissotterrate dal silenzio e dal conformismo, sono un´arma fantastica e un dono alla comunità nella quale si vive. Un dono di libertà. Il giornalismo non è all´altezza di quel dono, ma alcuni giornalisti sì.
LA REPUBBLICA del 2 agosto 2011
Dalle inchieste sui diversi scandali politico-affaristici, in particolare quella sulla cosiddetta P4, emerge un giro vorticoso di quattrini, con gente di non conclamato talento professionale che intasca per una "mediazione" quanto una persona onesta guadagna in un paio d´anni. E già questo è uno schiaffo non solamente alla legge, ma anche all´economia, perché sovverte ogni rapporto tra merito individuale e reddito: il complice o il servente di un politico disonesto può diventare ricco in poco tempo anche se è un fior di coglione. Di quasi peggio c´è il traffico di posti pubblici, incarichi di para-governo, consulenze dorate pagate con il denaro della comunità. Spicchi dello Stato usati per premiare i complici, i famigli o gli amiconi. E questo è un delitto contro la democrazia, perché mina alla base il concetto stesso di classe dirigente. Quei posti, nei paesi civili, sono l´approdo dei migliori, sono i luoghi dove si formano gli alti burocrati e i civil servant sulle cui spalle caricare le decisioni difficili, le responsabilità gravi. Sono posti importanti, ambiti, prestigiosi, che in Italia rischiano di diventare, agli occhi di un´opinione pubblica disgustata, il bottino maleodorante di una guerra per bande. Dire "consulente del Ministro" non può significare automaticamente genio da riverire. Ma non può diventare neanche sinonimo di losco intrallazzone.
LA REPUBBLICA del 16 luglio 2011
Da qualche giorno l´ipotesi più accreditata sul silenzio del premier è che "tace per non turbare i mercati". Non ho mai capito bene come funzionano i mercati, ma che il silenzio di un capo di governo sia giovevole alla salute dell´economia mondiale è una circostanza davvero curiosa, e quanto meno incongrua rispetto alle sue funzioni. È come dire che il successo di un´opera lirica è legato all´afonia del tenore, che un autista d´autobus è meglio che non guidi, che uno slalomista fortunatamente ha dimenticato a casa gli sci, che una pornostar ha tutte le cerniere lampo inceppate. Qualcosa non quadra nel profilo professionale di questi signori.
Lui, poi, ha sempre "fatto il fenomeno", come si dice a Roma. Loquacissimo, socievolissimo, spiritosissimo, non c´è occasione che non gli abbia dato il destro di una battuta, di un frizzo, di una sortita brillante. Nel caso di un leader pensoso e riflessivo, un eventuale silenzio potrebbe ammantarsi di un qualche significato recondito: chissà cosa starà pensando… Nel suo caso, nessuno può sospettare pause di riflessione. Ci ha talmente abituati all´invasività delle sue parole, sorrisi, discorsi, videoclip, che quando tace fa lo stesso effetto di un orologio a cucù quando il tempo passa, ma il cucù non esce. Vuol dire che è rotto.
LA REPUBBLICA del 24 giugno 2011
Nella Milano di Pisapia, il nuovo consiglio d´amministrazione della nettezza urbana, appena eletto, non conta la presenza di politici, ma solo di tecnici espressi dall´azienda medesima. Sembra incredibile, ma si tratta di una rivoluzione: la giunta Moratti, prevedendo di rivincere le elezioni, aveva già in animo di destinare quelle poltrone a un paio di assessori, secondo la tradizione (ovviamente non solo milanese, e non solo di destra) che intende le aziende pubbliche come indotto della politica e dei partiti politici. Siamo di fronte, dunque, a una notizia cattiva e a una buona. Quella cattiva è che il nostro Paese è così malridotto, specie sotto il profilo dei rapporti tra eletti ed elettori, e della trasparenza degli scopi e dei mezzi della politica, che la normalissima scelta di affidare un´azienda pubblica ai tecnici (dunque a sé stessa) sottraendola al poltronificio dei partiti, è un fatto di per sé clamoroso. La notizia buona è che in un Paese così incrostato, vecchio, malgovernato e immobile, bastano un gesto pulito, una scelta indipendente, un segno di novità per dare l´impressione che tutto possa cambiare. Anche se è cambiata solo l´azienda di nettezza urbana di Milano. Fino a un paio di mesi fa, eravamo sicuri che non sarebbe mai cambiata nemmeno quella.
LA REPUBBLICA del 17 giugno 2011
Cerco di immaginare la vita di questo signor Luigi Bisignani, le mosse, le contromosse, gli abboccamenti, gli incontri, le raccomandazioni, i calcoli a breve medio e lungo periodo, i dossier da tenere curati come le ortensie, una rubrica del telefono grossa come la Treccani, l´agenda personale senza mezza giornata vuota, una rete di conoscenze infinita e guai a rispondere picche a un amico confondendolo con un nemico e viceversa, le trame e l´ordito, gli azzardi e gli errori, le false piste (tempo perso!) e quelle giuste, le vecchie manfrine lasciate a mezza via a causa delle nuove manfrine intraprese e l´ansia di trovare il tempo per non trascurare qualcosa o qualcuno, e presumibilmente il tutto essendo sempre in ordine, lavato, stirato, vestito bene, con l´alito leggero e il sorriso in resta. Potere e denaro, e va bene. Ma la libertà? Che vita devono fare, questi moltiplicatori di occasioni, questi servi della fortuna? Di tutti i vizi, quello della libertà è davvero il più raro. Scriveva Orazio in una delle sue epistole a un Bisignani della sua epoca: ma quand´è che molli Roma e i tuoi trafelati uffici, e tutti quegli isterici e isteriche (oggi si direbbe: stressati e stressate) che ogni minuto ti chiedono qualcosa, e mi raggiungi in campagna a bere il vino nuovo, e far nulla in mia compagnia? Già: quando è che?
LA REPUBBLICA del 9 giugno 2011
Non si capisce se sia più ingenuo o più sadico chiedere a Berlusconi "di cambiare", come fanno molti degli uomini del centrodestra più preoccupati dal rapido declino del loro leader. Come può credere nelle primarie, cioè nel conflitto democratico aperto, un autocrate che vive di applausi ed ovazioni? Come può imporre sacrifici economici, piegandosi ai conti tremontiani e agli obblighi europei, l´uomo che dipinge il mondo come una cornucopia che erutta quattrini, donnine e sorrisi? La verità è che la destra esce non solo scassata ma profondamente snaturata dal berlusconismo. La destra austera che anteponeva i doveri ai diritti, la destra legalitaria che detestava i furbi, la destra nazionalista che sarebbe inorridita di fronte a Bossi, la destra borghese che amava il basso profilo: che ne resta, dopo vent´anni di populismo, telecrazia, feste di corte, leggi ad personam? Ci vorrebbe un capolavoro politico, per restituire al paese una destra forte e rispettata. Ci ha provato Fini, sbeffeggiato dai cortigiani di Silvio e massacrato dai giornali maneschi e ottusi che vedono il tradimento in ogni manifestazione di autonomia. Perché ci possa provare anche qualcun altro, bisognerebbe che il beneamato Cav si levasse di torno. Chiedergli un altro lifting, alla sua età, non è neanche generoso nei suoi confronti. Ha già dato tanto e tolto tanto. Ancora non basta?
LA REPUBBLICA del 27 maggio 2011
Non vorrei che, dopo avere monopolizzato per vent´anni i nostri sentimenti pubblici (ira, vergogna, e quella forma definitiva di avvilimento che è la noia), il nostro premier riuscisse a strapparci anche qualche stilla di commiserazione. Quello che è andato a disturbare Obama per metterlo a parte di certe sue manie (i giudici cattivi, eccetera) non è il Caimano, è un signore anziano, stanco, preoccupato, che riceve in cambio solo lo sguardo assente di chi ha ben altro per la testa. Il Berlusconi di Deuville, per la prima volta, fa più pena che rabbia, ed è anche questo un segno dei tempi che cambiano. D´improvviso ci sembra un caratterista, una figuretta marginale che si intrufola in un vertice mondiale per rubare all´ordine del giorno uno spicchio di attenzione, e per chiedere udienza (non concessa) al più potente tra i potenti. Non avendo altra misura delle cose che se medesimo, è un uomo in balia del proprio umore e dei propri casi privati. Quando era allegro il suo contributo alla politica mondiale erano le barzellette e le pose spiritose per i fotografi. Oggi che è triste lo si vede vagare attorno al tavolo del mondo, indifferente all´ordine del giorno, al protocollo, al suo ruolo pubblico, e attaccare la solita pippa della persecuzione giudiziaria al povero Obama. In parole semplici: è uno che non sa fare il proprio lavoro. Quando perderà, è solo per questo che avrà perso.
LA REPUBBLICA del 7 giugno 2011
È difficile, ma non impossibile, che si arrivi al quorum per i quattro referendum del 12 giugno. Dei referendum, in passato, si è abusato fino a svilirne il valore: non per caso è dal ´95 che il fatidico quorum non viene raggiunto. Ma i meno giovani ricordano perfettamente la portata storica di almeno tre referendum (legalizzazione di divorzio e aborto, referendum elettorale di Mario Segni) che sconquassarono il quadro politico e soprattutto diedero il segno di una maturazione profonda, e inattesa, dell´opinione pubblica. Nel clima di riscossa civile aperto dalle amministrative, i quattro quesiti di domenica prossima potrebbero sortire un effetto analogo: ridare alla politica quel significato di cambiamento, di salto di qualità, che la politica riveste nonostante (e contro) il deperimento degli ultimi anni. Chiedete a tutti di andare a votare, discutere con gli incerti e con gli indifferenti, non vergognatevi di sentirvi propagandisti importuni, così come non mi vergogno di scrivere queste righe di smaccata propaganda politica. La posta è alta, il contenuto dei quesiti molto rilevante. Specie i due referendum sull´acqua chiedono di rimettere l´accento sulla dimensione pubblica della nostra convivenza. La politica è tornata. Dite a tutti di tornare alla politica.