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LA REPUBBLICA del 31 maggio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Ieri, lunedì 30 maggio 2011, verso le quattro del pomeriggio, sono finiti per sempre gli anni Ottanta italiani, il decennio più lungo della storia del mondo. È finita la politica del cerone e delle facce rifatte, delle convention, delle escort, delle olgettine, degli spot, della tivù dei telegatti e delle cerimonie di corte, dell´edonismo finto-allegro, dell´ignoranza caciarona spacciata per genuinità popolare (ingannando atrocemente il popolo). È finita la fiction. Quello che verrà dopo, non lo sappiamo. Ma sappiamo, finalmente, che un dopo esiste, e questo bastava, a Milano e altrove, per abbracciarsi con gli occhi pieni di benedette lacrime. Voglio dedicare questo giorno di felicità e di liberazione ai due o trecento ragazzini salariati che ho incontrato in piazza del Duomo al comizio di chiusura della Moratti: facevano pensare a una vecchia canzone di Gaber: "Non sanno se ridere o piangere, batton le mani". Il set che, di qui in poi, verrà inesorabilmente smontato era anche il loro set. Vorrei tanto che anche per loro cambiasse qualcosa. Io vengo da una famiglia di destra, e non era una destra così triste. Era una destra onesta, silenziosa, sobria, borghese. È stato un bel luogo dove crescere, e un bel luogo dal quale fuggire verso la mia vita. Quello che Berlusconi ha fatto alla destra italiana è spaventoso. Non gli potrà mai essere perdonato. 

LA REPUBBLICA del 5 giugno 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il ruolo di Internet, per la formazione e l´orientamento del voto giovanile, è stato determinante. Lo aveva previsto tra i primi, parecchi anni fa, Beppe Grillo, che sul web ha poi organizzato il suo movimento politico, raccolto consensi, diffuso informazioni introvabili sui giornali, applicato una sorta di "democrazia diretta", post-partitica, bollata di "anti-politica" pur essendo attivamente politica, anche se fuori dalle griglie ideologiche note. Poi, però, è accaduto che una parte cospicua del popolo di Internet, applicando alla lettera le promesse-premesse di autonomia anti-gerarchica insite nella rete, non abbia dato retta al suo leader più popolare, che sosteneva non esservi differenze rilevanti tra destra e sinistra, e abbia votato massicciamente a sinistra. Non so che cosa pensino, questi elettori, quando Grillo chiama Pisapia "Pisapippa", dimostrando l´impressionante rifiuto di fare i conti con la realtà delle cose, con i mutamenti sociali e culturali, perfino con i numeri. Ma una cosa è certa: decine di migliaia di "grillini", a Milano e altrove, hanno potuto e voluto contare qualcosa solo come parte di una coalizione. Perché anche attraverso Internet, il contatto con altre realtà, lo scambio di idee, il dibattito, hanno deciso che tra sinistra e destra qualche differenza sostanziale c´è. Aveva ragione Grillo: il web è potentissimo. Tanto potente da dargli torto. 

LA REPUBBLICA del 15 giugno 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Tra le dichiarazioni sull´esito dei referendum, suona strepitosa (e vince il Nobel del 2011 per il dadaismo) quella del ministro per lo Sviluppo Paolo Romani: «Sul nucleare i cittadini ci hanno dato ragione, confermando la moratoria varata dal governo dopo Fukushima». Il fatto che quella moratoria sia stata abborracciata in fretta e furia per cercare di affondare il referendum (e di posticipare il nucleare) deve parere al ministro Romani un trascurabile dettaglio. Poiché Romani non è, tra i governanti, uno dei più sconnessi o caciaroni o improvvidi, ci si domanda come abbia potuto elaborare, e per giunta diffondere in pubblico, un concetto così deragliante. La sola spiegazione possibile è che perdere la testa, in aggiunta alla faccia, è tipico delle compagini in preda al panico. A un elettorato (sto parlando del loro) che mostra segni evidenti di disaffezione, specie perché è stanco di mezzucci e di frottole, rispondere con una frase che contiene una frottola (gli italiani ci hanno dato ragione) a proposito di un mezzuccio (la moratoria) è di un masochismo impressionante. Si capisce che sentirsi in bilico non è piacevole, e non favorisce la saldezza di nervi. Ma quel poco di compartecipazione, perfino di solidarietà che viene istintivo destinare ai soccombenti, francamente svanisce di fronte a un soccombente che, invece di darsi un contegno, fa il gesto dell´ombrello. 

LA REPUBBLICA del 22 giugno 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Al netto della sua complicatissima lettura giudiziaria (è duro, in quel pappa e ciccia, distinguere tra i reati e le "normali" scorrettezze), il caso Bisignani conferma, purtroppo, la grave incompiutezza della nostra democrazia. L´idea che si faccia carriera e si concludano affari non per merito, ma perché si conosce qualcuno, si è amici di qualcun altro, si è bene introdotti nelle stanze che contano, è semplicemente anti-democratica. È un insopportabile affronto al talento dei solitari, al sudore e al lavoro dei non affiliati e dei non arruolati, alla speranza di farcela con le proprie forze e il proprio valore. È il contrario esatto dell´American Dream, è una cappa illiberale, mafioseggiante, è il potere dei soliti che se lo amministrano al riparo da ogni trasparenza. Sono nato a Roma e ne sono orgoglioso, ma quella Roma lì è terribile. Ingoia e digerisce qualunque cambio di regime, amministra poltrone e somministra veleni, gestisce perfino il lavoro parlamentare con intenzioni e metodi extraparlamentari. Danneggia ed esclude chi non ne fa parte, ma invischia e compromette chi ne fa parte fino a fargli perdere autonomia politica e indipendenza personale. Blandisce e ricatta. Quella Roma lì è la vera antipolitica, il vero anti-Stato, la vera falla nello scafo del Paese. Ce ne libereremo mai? Generazioni e governi sono trascorsi a frotte senza che accadesse. Sperare è obbligatorio. Illudersi, pericoloso. 

LA REPUBBLICA del 8 giugno 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La piazzata delle cameriere d´albergo (in alta uniforme) contro Strauss-Kahn non è certo un esempio edificante: non sono le urla di strada, è la legge a dover giudicare. Eppure, l´umiltà sociale delle manifestanti (in larga parte afroamericane), di contro all´altissimo rango di un imputato che attende la sentenza in una dimora stellare, ci dice qualcosa che va ben oltre le intemperanze forcaiole. Ci dice che il nervo della diseguaglianza (qui doppia: il ricco e le povere, il maschio di potere e le femmine senza status) è scoperto, e duole forse più di sempre. La lunga rimozione degli ultimi anni non riesce più a occultare una divaricazione di censo, e di potere, che confligge non solamente con la perduta speranza socialista, ma anche con le promesse abortite del libero mercato. Per giunta, la malevola regia del Caso ha voluto che il ricchissimo accusato sia leader di una delle sinistre più forti e nobili del mondo, quella francese. Quasi a dirci che la confusione, sotto il cielo, dev´essere grandissima se un leader della gauche planetaria, ostentatamente facoltoso, si ritrova a essere detestato come simbolo dell´arroganza del denaro. Forse gli arresti domiciliari in un bilocale con vista sui bidoni della spazzatura non sarebbero bastati a rimettere le cose a posto. Di certo, la magione da 50mila dollari al mese le ha messe ancora più in disordine. 

LA REPUBBLICA del 18 maggio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
«Guardi che il popolo ce l´abbiamo anche noi», disse tempo fa Bersani in tivù replicando al solito tribuno di destra che parlava «in nome del popolo». Chissà se, dopo queste elezioni benedette, la sinistra si ricorderà di avercela davvero, una gran fetta di popolo, tanto per chiarire come stanno le cose, carte alla mano. 
L´unica zona di Milano nella quale Moratti ha superato Pisapia è quel centro storico che la destra populista dipinge come il covo della "gauche caviar", l´odiata schiera dei ricchi di sinistra. Le cifre dicono che lì, tra i bei palazzi e gli struggenti giardini interni dove abita la Milano abbiente, la destra ha sempre vinto, e ancora vince. Scriveva Fortebraccio, manicheo ma dallo sguardo acuto, che si votava, in quelle case onorate, soprattutto per difendere l´argenteria. Il mito della "borghesia rossa" e delle contesse annoiate che trescavano con i rivoluzionari barbuti è sempre servito alla destra più becera (dai tempi della Notte di Nino Nutrizio) per accreditare il nemico politico di ipocrisia e incoerenza. Ma chi avesse la pazienza di rileggersi gli spogli elettorali degli ultimi cinquemila anni, non trova tracce rilevanti di questo mito. I borghesi di sinistra sono sempre stati una minoranza. Colta e combattiva, ma minoranza. E nelle strette strade dai portoni antichi, e dai negozi civettuoli, i padronal-chic presidiano il quartiere con immutata, eterna diffidenza per i "rossi". 

LA REPUBBLICA del 3 maggio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La vulgata marxista dava troppo poco peso ai "personaggi" e molto alla società e ai conflitti di massa. Il racconto mediatico fa l´esatto contrario, è uno star-system fondato sul racconto di gesta e malefatte di un mutevole cast di "vip", appena mitigato da approfondimenti che al cospetto della chanson de geste dei telegiornali diventano subito pallosi. Tipicamente palloso – dev´essere per colpa della mia formazione – è il primo pensiero che mi è venuto in mente bevendo il caffè del mattino al cospetto del fu Osama. Il tempo di un piccolo, emozionato brindisi in memoria dei tanti ammazzati per colpa sua, e subito dopo l´idea che morto un capo se ne fa un altro. Non è come nei film e nei fumetti, che la morte del Cattivo chiude in bellezza. Il groviglio del mondo è ben più intricato e doloroso. L´umanità che a Times Square festeggiava l´happy end faceva tenerezza per la condivisibile esultanza quanto per l´inconsapevolezza di essere appena una delle parti in causa. Per altre piazze, più povere e turbolente, Osama era un eroe o al massimo un "fratello che sbaglia", e all´Occidente riservano lo stesso ruolo di Carnefice che noi, fin qui, abbiamo destinato a Bin Laden. E le masse dell´una e dell´altra parte, che la televisione usa solo per suggestive scene di contorno, sopravvivono alle star, e sono loro a fabbricare, oggi come ieri e domani, il nostro destino. 

LA REPUBBLICA del 19 maggio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Uno dei problemi (atavici) della sinistra è l´eccesso di intelligenza, frutto di un sovraffollamento di intelligenti non sempre in buona armonia tra loro. Ne è esempio preclaro Massimo Cacciari, che trenta secondi dopo la vittoria di Pisapia scuoteva il capo dicendo che se il candidato fosse stato Gabriele Albertini, la sinistra avrebbe vinto al primo turno. Il fatto che Gabriele Albertini sia un ex sindaco di centrodestra dev´essere, evidentemente, un trascurabile dettaglio, buono a scoraggiare le anime semplici come me, non un grande intellettuale come Cacciari. Personalmente avrei puntato su Lady Gaga (con Albertini vicesindaco, naturalmente), ma non ho osato dirlo perché, avendo Pisapia appena ottenuto il miglior risultato della sinistra milanese negli ultimi vent´anni, meritava – mi sembra – un ammirato applauso o, perlomeno, un rispettoso silenzio. Del resto, anche i fatti hanno il loro peso. A Milano e a Cagliari (della quale si parla pochissimo, e a torto) il tentativo di restituire alla sinistra i voti di sinistra (gli astenuti e i delusi, negli ultimi anni, sono una marea) e di riconquistare un minimo di appeal tra gli elettori più giovani, ha dato ottimi frutti. Non è colpa di nessuno se questo successo è stato ottenuto candidando (con le primarie) due di sinistra. Con Albertini, anche per fare piacere a Cacciari, ci si metterà d´accordo in un secondo tempo. 

LA REPUBBLICA del 4 maggio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
L´orrido elettorale è una categoria antica, di manifesti e gadgets ridicoli i giornali fanno incetta da molti lustri, e fin dai tempi del "Votantonio" di Totò la vanità (e dunque la fragilità) del candidato è un classico del costume politico nazionale. Ma si trattava, sempre, di incidenti dovuti a goffaggine o ignoranza, del tutto preterintenzionali. Cioè: non lo facevano apposta. Oggi colpisce l´orgogliosa intenzionalità con la quale alcuni candidati (in genere giovani, sia detto fuor di polemica) adoperano l´allusione triviale o la battuta pacchiana, per esempio il tizio che si candida solo perché di cognome fa Pilu e dunque può scippare a Laqualunque lo slogan "Pilu per tutti", o quello che scrive a caratteri cubitali "scopiamo" sul suo manifesto, e di sotto, molto in piccolo, chiarisce che si tratta di scopare via la vecchia politica. Chi pensa che l´Italia è sempre la stessa probabilmente non ha tutti i torti, ma dimentica di dire che prima se ne vergognava, oggi impugna tutte o quasi le sue menomazioni civili e culturali con ridente sollievo. Il successo di Berlusconi non ha niente di arcano o di inspiegabile, molti italiani gli sono grati per avere innescato un irresistibile processo di autoassoluzione nazionale, se è il premier a pronunciare la battuta sconcia, e a fare le corna nelle foto ufficiali come un goliardo, anche il candidato Pilu si sente finalmente libero di scendere in campo. 

LA REPUBBLICA del 27 aprile 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il pazzesco pestaggio dei due carabinieri in Toscana innesca l´inevitabile, angoscioso dibattito sulle "responsabilità degli adulti". Genitori sconvolti, autorità sbigottite, e chiunque abbia un figlio di quell´età che si chiede quanto lo conosce, e se davvero lo conosce. Tutto dolorosamente giusto, ma forse manca, e manca da troppo tempo, anche un bel dibattito sulle responsabilità dei ragazzi. La responsabilità è un peso dell´individuo: di ogni singolo individuo. Ambiente, società, educazione, modelli di comportamento hanno il loro peso, ma a guidare i pensieri, la testa, le mani è ciascun essere umano. Né la migliore società né il miglior genitore né la migliore scuola possono governare fino in fondo le azioni di un ragazzo e determinarne il destino. Forse gli adulti dovrebbero parlare meno delle loro responsabilità, e di più delle responsabilità dei loro figli. Riusciamo a essere invadenti perfino rispetto alla colpa e al dolore, parliamo dei figli come fossero sacchi vuoti che solo le nostre virtù e i nostri vizi possono riempire. Ci rimproveriamo di "parlare poco ai figli", ma i nostri genitori con noi parlavano anche meno. Era scontato che toccasse a noi (a scuola, con gli amici, poi nel lavoro) essere ciò che eravamo, diventare ciò che eravamo capaci (o no) di diventare. Anche per questo, forse, siamo diventati adulti più in fretta. In grado di affrontare una ramanzina dei carabinieri senza uscire di senno. 
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