LA REPUBBLICA del 10 febbraio 2011
Mi chiedo se esiste un pezzettino di Italia indisponibile a darla vinta ai puritani del Palasharp". Questa frase di Giuliano Ferrara contiene un errore. È interessante rilevarlo non per il piacere (indubbio) di dare torto a Ferrara. Ma perché questo errore è paradigmatico dello spirito profondo della destra di questo paese. L’ erroreè questo: i "puritani del Palasharp" rappresentano- culturalmente e ancora di più politicamente – un’ Italia minoritaria e sconfitta. Quella della borghesia repubblicana, dell’ odiatissimo "azionismo torinese", delle assortite e impotenti consorterie intellettuali che inutilmente, da vent’ anni, si oppongono a Berlusconi. Perché mai, dunque, Ferrara non vuole "darla vinta" a chi ha perduto? Perché, pur essendo da anni parte influente del pezzettone vincente del Paese (da Craxi a Berlusconi), si accanisce contro il pezzettino nemico, e con il nemico a pezzettini? Risposta: perché a vellicare il suo amor proprio è immaginarsi "frondista" e "provocatore", così come – parecchi gradini più in basso nella scala gerarchica della destra scrivente – i Belpietro e i Feltri amano definirsi "fuori dal coro". Si rassegni Ferrara. L’ uomo che sussurrava ai premier, meritatamente ascoltatissimo a Palazzo, non può essere frondista neppure in sogno. E’ uno che vince le elezioni e ha vinto perfino un Conclave. Se vincere lo annoia, non è mica colpa nostra.
LA REPUBBLICA del 11 febbraio 2011
La confusione è tale che forse vale la pena ripassare i fondamentali. Chi accusa "i moralisti" di "prendersela con le mignotte" non ha capito, evidentemente, di cosa si sta parlando. Non si sta maledicendo il libertinaggio, non i costumi privati, non l’eros nelle sue varie mutazioni, non la prostituzione, men che meno le prostitute. Si sta maledicendo un potere che nomina le sue favorite nel Palazzo, usando le cariche pubbliche come moneta per ripagare prestazioni private. Non si sta biasimando la confusione tra i vizi privati e le pubbliche virtù (che pure qualche domanda dovrebbe sollevare, nel paese del "Family Day") ; si sta biasimando la totale, definitiva confusione tra le pulsioni private e le funzioni pubbliche, la giustapposizione tra stanze del piacere e stanze del potere. Perché se è vero che anche una prostituta può e deve poter diventare ministro, così come un avvocato o un operaio, è anche vero che né una prostituta, né un avvocato, né un operaio deve diventare ministro o deputato o consigliere regionale per concessione privata, come nei regimi. La nostra è una democrazia elettiva (nonostante la turpe legge elettorale in vigore), e come fa a riempirsi la bocca di "volontà popolare" chi sistema pupille e pupilli su poltrone delle quali solo il popolo, con il voto, dovrebbe essere padrone? Quella del "moralismo" è una fragile bugia per non parlare di politica e per non parlare di democrazia.
Michele Serra da La Repubblica del 11 maggio 2010
Se esistesse un Emilio Fede di sinistra, direbbe che Emilio Fede quello vero, con il suo pistolotto sprezzante su Roberto Saviano, ha espresso, su Saviano, un’ opinione molto simile a quella dei Casalesi. (Lo farebbe, però, storpiando il nome di Emilio Fede, perché storpiare apposta il nome di chi si odia è una delle forme retoriche preferite da Fede quello vero, che ai suoi nemici, e ai nemici del suo padrone, non riconosce neppure il diritto di avere un nome degno di essere detto). Fortunatamente un Fede di sinistra non esiste: è uno dei pochi privilegi che le rimangono, alla povera sinistra italiana. E dunque, conoscendo le profonde differenze di ruolo, di pensiero e di vita tra Fede e i Casalesi, ciò che va detto è altro, e forse, purtroppo, è ancora più grave. L’ idea che Saviano sia un vanitoso o un furbo che mette a frutto il suo successo editoriale giocando a fare l’ eroe è piuttosto diffusa negli strati meno pensosi e meno avveduti dell’ opinione pubblica. E’ un’ idea meschina e bugiarda (Saviano darebbe qualunque cosa, oggi, per riavere la vita decente che spetta a un ragazzo di trent’ anni, reo di scrittura e di niente altro, cittadino italiano e non suddito di una tirannia tribale africana), ma appartiene all’ indecente spirito servile di un Paese zeppo di morti alla ragione. Fede non ha fatto che raccoglierla da terra, e mostrarla alle telecamere.
LA REPUBBLICA del 10 aprile 2011
Se qualcuno mi dicesse «devi tagliarti la barba, induce diffidenza, dà l´impressione che chi la porta voglia nascondere qualche malformazione», io gli risponderei: «vada subito da uno psichiatra, ma ne trovi uno bravo perché ne ha molto bisogno». Invece il giovanotto con il pizzo che si è sentito apostrofare da Berlusconi con quella frase metà cafona, metà demente, pareva deliziato, come chi si sente immeritatamente irradiato da una luce salvifica. Lo so, ci si ripete: ma ciò che più sbalordisce, in questa parodia di regime che chiamiamo berlusconismo, è la totale mancanza di autonomia e dignità dei sottoposti. È una specie di sottomissione estatica che rimanda allo stato di soggezione degli affiliati a una setta religiosa, non certo ai rapporti politici così come si dipanano, di norma, in democrazia. Quando si assiste a liturgie e cerimonie di questo culto mortificante, il sentimento che prevale è l´imbarazzo per conto terzi. Viene voglia di prestare assistenza alle vittime, sia pure consenzienti. Da barbuto a barbuto, vorrei dire al "malformato" che esistono risposte – anche cortesi – che aiutano a rispedire ogni offesa al mittente. Ma prima bisognerebbe che lui capisse di essere stato offeso. E qui sta il vero problema. Forse insolubile.
LA REPUBBLICA del 7 aprile 2011
Bastano cinque secondi dello scorso "Ballarò" a riassumere alla perfezione la situazione italiana. Un giornalista (Mieli) dice: "Non è vero che Berlusconi ha comperato una villa a Lampedusa". Un ministro (Fitto) risponde: "Ma voi avete l´ossessione di Berlusconi!". Il giorno dopo uno dei cento avvocati di Berlusconi (Ghedini) chiosa: "Non l´ha comperata, però la comprerà". Se ne deduce: 1 – Che la realtà e la verità, per Berlusconi, sono solo un impiccio provvisorio, comunque subordinabile ai suoi desideri e al suo denaro. 2 – Che farlo notare espone alla critica non Berlusconi, ma chi lo fa notare. 3 – Che questa critica si è consolidata in una efficace formula, "ossessionati da Berlusconi" (ma anche, tout court, "antiberlusconiani") che fa ricadere sui perseguitati l´implacabilità del persecutore: se uno ti taglia ogni mattina le gomme della macchina e tu te ne lamenti, significa che vivi nell´assurda ossessione di avere una macchina con le gomme intatte. 4 – Che il sistematico ribaltamento della logica è efficace: molti di noi "ossessionati", per la grande stanchezza di sentircelo rinfacciare ogni giorno, a volte, pur di non morire di noia, cambiamo argomento. 5 – Che la realtà (Berlusconi non ha comperato una villa a Lampedusa, anche se potrebbe comprarla) è la sola vera vittima di questo patologico gioco delle parti.
LA REPUBBLICA del 12 aprile 2011
Il comizietto irato del premier all´uscita di Palazzo di Giustizia rimanda, con impressionante precisione, al finale del Caimano di Nanni Moretti. Non fosse per quei palloncini azzurri che dondolavano al sole, in un surreale anticipo di estate. Chi ha sbagliato? Moretti, che ha immaginato la scena in un notturno plumbeo, goyesco, o il Caimano, che l´ha poi realizzata in una luce smagliante, da dejeuner sur l´erbe? Diciamo che diventa decisivo lo sguardo dello spettatore. Per gli italiani angosciati e stremati dalle grida e dalle minacce di Berlusconi, appare nero qualunque esito. Per quegli altri italiani, che circondano festanti il loro Cristo da convention, anche il gesto più sovversivo, la frase più violenta appaiono un viatico di libertà e letizia, una Pasqua di resurrezione. E poiché sono stati proprio loro, fino adesso, a realizzare il copione, è ovvio che a vedere nero siamo solo noi, che dietro quei palloncini infantili scorgiamo i fantasmi dell´impunità, della rivolta anti-repubblicana e di un consenso sordo a ogni dubbio. Una spaccatura così drammatica non ha eguali se non nella guerra civile tra fascisti e antifascisti. Solo che le due Italie di oggi non sono due fazioni contrapposte, sono – peggio – due realtà inconciliabili. Una con i palloncini azzurri, l´altra che li vede neri come la pece.
Michele Serra da La Repubblica del 7 marzo 2010
Avrei bisogno anche io di un «decreto interpretativo» che mi chiarisse, finalmente, perché ho sempre pagato le tasse. Perché passo con il verde e mi fermo con il rosso. Perché pago di tasca mia viaggi, case, automobili, alberghi. Perché non ho un corista vaticano di fiducia che mi fornisca il listino aggiornato delle mignotte o dei mignotti. Perché se un tribunale mi convoca (ai giornalisti capita) non ho legittimi impedimenti da opporre. Perché pago un garage per metterci la macchina invece di lasciarla sul marciapiede in divieto di sosta come la metà dei miei vicini di casa. Perché considero ovvio rilasciare fattura se nei negozi devo insistere per avere la ricevuta fiscale. Perché devo spiegare a chi mi chiede sbalordito «ma le serve la ricevuta?» che non è che serva a me, serve alla legge. Perché non ho mai dovuto condonare un fico secco. Perché non ho mai avuto capitali all’ estero. Perché non ho un sottobanco, non ho sottofondi, non ho sottintesi, e se mi intercettano il peggio che possono dire è che sparo cazzate al telefono. Io – insieme a qualche altro milione di italiani – sono l’ incarnazione di un’ anomalia. Rappresento l’ inspiegabile. Dunque avrei bisogno di un decreto interpretativo ad personam che chiarisse perché sono così imbecille da credere ancora nelle leggi e nello Stato.
LA REPUBBLICA del 15 aprile 2011
"Le Brigate Rosse usavano il mitra, i magistrati il potere giudiziario". Così disse il premier ai giornalisti stranieri, e perfino nel frastuono forsennato delle sue parole, e delle urla pro e contro che gli fanno cerchio, l´orribile paragone riesce a fare spicco per la sua sconcia stupidità. Uno sputo in faccia per chi in quegli anni vide magistrati cadere sotto il piombo brigatista (i giudici Galli e Alessandrini, il vicepresidente del Csm Bachelet), per i loro familiari, per gli italiani che di quel martirio hanno forte memoria. "La magistratura è un´associazione con finalità eversive", dice ancora: e di mestiere farebbe l´uomo di Stato, pensate un pò. Per quanto seduto sulla sua montagna di miliardi la sua voce ci arriva sempre dal basso. Non gli abbiamo mai sentito dire, in vent´anni, qualcosa di nobile o di esemplare. Solo la vanteria compulsiva del più bravo che sollecita l´applauso, o il ringhio pazzoide di chi va in tilt quando chiunque osi contraddirlo, non amarlo, non appartenergli. Un po´ per stanchezza, un po´ per noia, abbiamo imparato a simulare, in questi anni, indifferenza o silenzioso spregio di fronte all´offesa permanente che questo signore rappresenta non per la democrazia, che è troppa cosa da scomodare, ma per la decenza. Questa è una di quelle volte che l´aplomb va messo da parte: quella frase su brigatisti e magistrati fa schifo, e basta.
LA REPUBBLICA del 14 aprile 2011
Di fronte agli immigrati, avanguardia di un futuro sconosciuto e difficile, i leghisti danno in smanie, evocano le Brigate Rosse, alzano il tono già molto teso, sputano sull´Europa, invocano le armi. Su quella paura hanno campato, è stato il provvido concime del loro raccolto elettorale, del potere, del sottogoverno, degli stipendi pubblici (tanti) scuciti alla pur detestata Repubblica italiana. Ma di quella paura ora sembrano le prime vittime, come l´apprendista stregone che non sa governare ciò che ha evocato. Li fa straparlare, li rende poco lucidi, li espone allo spietato accostamento tra la potenza biblica di quelle immagini di mare, di morte, di destino, e la loro miseria verbale, così facile da rivendicare come un merito quando si tratta di "parlare come il popolo", così pesante da gestire quando sono la Politica e la Storia a chiedere campo, a pretendere grandezza, o comunque decenza, anche da quei piccoli uomini che siamo. Di fronte alla Storia siamo tutti goffi e impotenti, solo che lo sappiamo: a questo serve la cultura, a misurare la propria ignoranza. Della Storia abbiamo tutti paura, dell´immigrazione senza freni anche. Ma sbraitare sulla battigia è la sola cosa che non ci verrebbe mai in mente di fare, ad impedircelo è quel poco di vergogna che ci rimane, e il fiato è meglio tenerlo in serbo per raccogliere i cadaveri degli annegati. Specie se, come i leghisti, si è bravi cristiani.
LA REPUBBLICA del 8 aprile 2011
Il cima è così mefitico che uno, pur di migliorarlo, sarebbe anche disposto ad ascoltare le ragioni altrui. Per esempio si legge sul giornale che un deputato della Lega, Buonanno, vorrebbe imporre una tassa dell´uno per cento sulle rimesse degli immigrati. «Si tratta di otto miliardi di euro all´anno – spiega Buonanno – che frutterebbero ottanta milioni da destinare al volontariato». L´obiezione sarebbe che se l´immigrato (e il suo datore di lavoro italiano) sono in regola, quei soldi sono già tassati. Ma la proposta, messa così (soldi al volontariato) potrebbe anche essere discussa. Solo che, due righe sotto, lo stesso Buonanno definisce gli immigrati «furbi che piangono miseria qui e poi magari si fanno la casa nel loro paese». E subito si chiude lo stretto varco dell´ascolto, perché anche la migliore proposta del mondo, se servita in una salsa così guasta, condita dalla solita dose di razzismo, ha un sapore ripugnante. Nessun dialogo, nessuna collaborazione è possibile con chi fonda la sua prassi sul disprezzo sociale e sul pregiudizio etnico. Imparino a parlare la lingua della civiltà e della res publica, questi signori, e vedranno che improvvisamente le loro parole assumeranno un altro peso politico. Sono sotto esame tanto quanto gli immigrati. Ci facciano capire se hanno capito che abbiamo regole, qui in Italia, che non consentono deroghe per nessuna tribù: neanche la loro.