LA REPUBBLICA del 23 marzo 2011
È una vera fortuna che la carta di giornale serva per pulire i vetri. Se rimanesse memoria di quanto andiamo scrivendo lungo gli anni, non basterebbe una seconda vita per ridare ordine e coerenza a quello che abbiamo messo nero su bianco nella prima. Prendete l´animosa Maria Giovanna Maglie, che ai tempi della guerra in Iraq fu accesa interventista, e praticamente invase di persona quel paese alla testa dell´esercito americano. Scrisse pochi anni fa (e un perfido giornalista del Corriere ha riesumato quell´articolo) che l´Iraq era «un paese infelice, piagato dalla tortura, dallo spionaggio, dalla negazione di qualunque libertà personale, e il denaro del petrolio serviva ad arricchire Saddam e la sua famiglia». Dunque era giusto schiacciare il dittatore come uno scarafaggio. Oggi, a proposito di Gheddafi, Maglie scrive su Libero: «Garantiva pace, sicurezza, buoni contratti, sicurezza negli sbarchi, era un interlocutore privilegiato e un avversario dei fondamentalisti». Dunque attaccarlo è un grave errore. Meno ferrato della Maglie, la sola differenza sostanziale che riesco a cogliere, tra Saddam e Gheddafi, è che il primo è stato attaccato da Bush, il secondo da Obama. Tanto deve bastare, allo sguardo acuto di Maglie, per stabilire quando una guerra è santa, quando una porcheria.
LA REPUBBLICA del 12 marzo 2011
Leggendo sui quotidiani che gli investimenti pubblici per la banda larga sono passati in due anni da un miliardo e trecento milioni di euro a 70 milioni di euro, giuro che ho pensato a un refuso. «Saranno 700 milioni», ho pensato, e già sarebbe stato gravemente significativo un dimezzamento dei quattrini destinati a dotare anche l´Italia di una rete Internet adeguata ai tempi. Ma no, non era un refuso. Sono proprio 70 milioni. È il gruzzolo che rimane dopo ripetuti dirottamenti di fondi statali verso il digitale terrestre, cioè verso la televisione. Indipendentemente da ogni sospetto, o illazione, o documentata notizia sui destinatari del lucroso (e obbligatorio) passaggio dall´analogico al digitale terrestre, rimane l´oggettiva volontà politica di favorire la televisione rispetto a Internet. La differenza tra i due media è evidente e risaputa: la televisione è controllabile dall´alto, specie in un Paese nel quale coincidono potere politico e potere televisivo. Internet è incontrollabile, come dimostrano le recenti insurrezioni giovanili e urbane nell´Africa del Nord, in buona parte nate e alimentate in rete. Avvantaggiare la prima e ostacolare il secondo è una scelta politica di enorme impatto sul presente e soprattutto sul futuro, così come decidere di costruire autostrade piuttosto che ferrovie. Rendiamocene conto: il potere berlusconiano sta giocando, quasi tutte assieme, le carte con le quali cerca di chiudere la sua partita.
LA REPUBBLICA del 29 marzo 2011
Va bene tutto. E nella vita, si sa, tocca arrangiarsi. Ma come deve sentirsi la figurante della trasmissione "Forum" (Canale 5) che per trecento euro ha accettato di fingersi una terremotata abruzzese, leggendo un copione nel quale "ringraziava il presidente Berlusconi e il governo perché non ci hanno fatto mancare niente, tutti hanno le case con i giardini e i garage"? E come si sentono la conduttrice, signora Rita Dalla Chiesa, gli autori del programma, i dirigenti che mandano in onda una roba del genere? Può anche darsi che tra finzione e realtà si siano rotti per sempre gli argini. Ma l´argine, anche piccolo, anche fragile che ognuno di noi cerca di conservare per addormentarsi la sera senza soverchi dubbi sulla propria coscienza, sotto quale oceano di indifferenza o di demenza collettiva è sprofondato? Ma si può inscenare una truce pagliacciata di quel livello, specie sapendo che è un pubblico popolare quello che stai turlupinando, quelli che ancora credono che siccome "lo hanno detto la televisione" allora è vero, e quella signora è dunque una vera terremotata, poverella, veri il suo giubilo per la splendida ricostruzione, la sua gratitudine a gettone, il suo biasimo volgare per "quelli che stanno ancora in hotel a mangiare e bere a spese dello Stato"? No, non esiste nessun giorno del Giudizio, ma un banale "giorno per giorno", che rimetta in funzione almeno un´ombra di decenza, quello sarebbe a disposizione di tutti.
LA REPUBBLICA del 23 giugno 2011
Giornali, radio e tivù pullulano di analisi e riflessioni sulla Lega e della Lega, quasi tutte tendenti a individuare nel "tradimento" della spinta originaria, e nella contaminazione con il berlusconismo, il potere e altre mollezze romane la causa della crisi. Sarà pure. Ma basta sentir parlare Borghezio o Boso (l´altra sera a Radio 24), e udire alcune delle loro ripugnanti digressioni razziste, per capire che forse "tornare alle origini" non basterebbe, ove quelle origini fossero incarnate da quella bruta espressione di grettezza umana e aggressività politica che hanno contribuito in buona parte a disgustare elettori potenziali e moderati. Allo stesso modo rifletterei sulla scuola (pubblica) di Adro usata come zerbino di partito, e su quanto la parola "secessione", rispolverata a Pontida come una panacea, abbia contribuito a costruire, negli anni, la reazione di massa dell´opinione pubblica del Nord, e lo straordinario successo delle celebrazioni del centocinquantenario, che si sono trasformate in una vera festa di popolo. La Lega è minoranza anche "a casa sua", e lo è diventata perché il suo obiettivo fondante (la secessione) è animosamente osteggiato dalla grande maggioranza dei settentrionali. Questa è la durissima realtà sulla quale ugualmente dura è la riflessione. Molti auguri.
LA REPUBBLICA del 6 aprile 2011
Il dibattito giornalistico di questi ultimi giorni registra parole giudiziose contro l´animosità piazzaiola e i suoi eccessi retorici. Però bisognerebbe che queste premure arrivassero alle orecchie di una maggioranza parlamentare (non di piazza, dunque: di poltrona e di potere) che per la seconda volta vota in favore di una "verità" sconciamente falsa, controfirmando l´ipotesi che fossero davvero urgenze istituzionali quelle che hanno spinto il premier a telefonare a una Questura per tutelare "la nipote di Mubarak". È una posizione, questa, al tempo stesso tartufa ed estremista, ipocrita e violenta, che non tiene in alcun conto la tutela della verità, la dignità del Parlamento, il rispetto per gli elettori. C´è, evidentemente, un estremismo del potere che non contempla requie e ha, all´interno della maggioranza, nessun censore e zero calmieri. A tutti fa paura una piazza infurentita, e la radicalizzazione dello scontro tra italiani non sembra in grado di migliorare parole e pensieri dell´una come dell´altra parte. Ma, insomma: un voto come quello di ieri (non il primo) pesa o non pesa, nel computo delle parole e degli atti fuori posto, molte tonnellate più del più becero dei cortei? E se "indignazione" è una parola logora, e abusata, c´è qualcuno in grado di suggerirci, in presenza di porcherie come questa, un sinonimo meno retorico, e una postura più moderata?
LA REPUBBLICA del 2 aprile 2011
Mi chiedo che cosa può avere pensato un ragazzo di vent´anni udendo l´onorevole Cicchitto, l´altra sera da Santoro, che spiegava gli ultimi vent´anni di storia italiana come una specie di regolamento di conti tra inquisiti e inquisitori. Una coda interminabile di Tangentopoli (1992), con il berlusconismo eletto a riorganizzazione vittoriosa dei partiti democratici distrutti dall´infame golpe Pci-magistratura. Il ragazzo di vent´anni si sarà chiesto, intanto, perché il suo presente e il suo futuro sono sotto sequestro, da quando è nato, a causa di un gruppo di rissanti, ormai tutti con i capelli bianchi, che ingombrano tutta intera la scena italiana per regolare i loro conti personali di vent´anni fa. Poi si sarà chiesto come mai un uomo di potere (una lunga vita di potere) parli con lo spirito di vendetta dello sconfitto, e con l´animosità della vittima, pur avendo stravinto, lui e i suoi amici, il lungo derby contro la "giustizia liberticida". Si consoli, il ragazzo di vent´anni: neanche io, che nel ´92 ero già adulto da un pezzo, conosco la risposta a queste due domande. So solo che un pezzo rilevante del potere italiano – quello che è arrivato a Berlusconi via Craxi, anzi meglio, quello che ha dato l´abbrivio a Berlusconi grazie a Craxi – neppure concepisce che esistano ragioni e torti più consistenti e più urgenti ai quali riconsegnare la scena.
LA REPUBBLICA del 18 marzo 2011
La festa tricolore è stata istituzionale ma anche popolare. Nessuno, qualche mese fa, poteva prevedere che il Centocinquantenario sarebbe diventato un´occasione così profonda e sentita di riflessione sull´identità e la storia del nostro paese. Gran parte del merito va alla Lega. È soprattutto come reazione a vent´anni di attacco frontale contro l´identità italiana che milioni di cittadini, soprattutto al Nord, hanno sentito l´urgenza di far sentire la propria voce, di esporre il tricolore, di manifestare anche visivamente la propria presenza di italiani in Italia. Sentire continuamente parlare "a nome del Nord" una minoranza aggressiva, un partito-nazione tendenzialmentre totalitario (vedi Adro, vedi la continua confusione tra identità di partito e identità "etnica") è stata un´offesa prolungata e, alla lunga, insopportabile. È anche per il bisogno di rimediare a questa offesa che il 17 marzo ha potuto avere un impatto popolare così forte. Di qui in poi, Bossi e i suoi sanno che "parlare a nome del Nord" non è più consentito. Parleranno, come fa ogni partito, a nome dei propri elettori. Solo Napolitano, che è capo dello Stato, ha il diritto di parlare a nome di tutti. Il Nord (scuole, municipi, piazze, case, balconi, gente) ha detto, in larga maggioranza, di sentirsi italiano, tricolore, risorgimentale e repubblicano.
LA REPUBBLICA del 31 marzo 2011
Ieri, per il berlusconismo, è stato il Giorno Perfetto. Mentre a Roma, nella sala macchine, la sua ciurma manometteva il diritto, inceppandone gli ingranaggi, lui sulla tolda mediatica, a Lampedusa, raccoglieva l´applauso del popolo, recitando un discorso memorabile, capolavoro dell´irrealtà, nuvola di cipria, polvere d´oro negli occhi del suo pubblico. Così come John Kennedy disse "io sono berlinese", rendendo universale una condizione specifica, lui dice "io sono lampedusano", rendendo personale una questione collettiva. Promette un campo da golf, case colorate, rimboschimenti, il premio Nobel "della pace", una scuola, una flotta di "navi passeggere" che portino in crociera i clandestini, e su tutto leva, scintillante come Excalibur, il suo rogito salvifico, l´acquisto di una villa (e dagli) a Lampedusa. La redenzione passa da lui, dall´annessione dell´isola a Berlusconia, dalla sua fulminea promozione da asilo di disperati a residenza di miliardari. Dicendo "io sono lampedusano", ha detto molto di più. Ha detto ai lampedusani "voi siete Berlusconi", e in quanto tali salvi, sollevati da ogni pena. La gente, attorno a lui, era entusiasta. E pochi minuti dopo, già i nuovi vicini di casa vedevano rivalutati i loro quattro sassi. Come gli aquilani, tra qualche anno anche i lampedusani avranno diritto a un apposito figurante che, per 300 euro, esprimerà gratitudine per ciò che non è stato fatto.
LA REPUBBLICA del 5 marzo 2011
Se vi è sfuggita (su Repubblica di ieri) la foto di Ruby Rubacuori con Gei Ar e il vecchio miliardario austriaco che li ospitava entrambi, cercatela in rete, stampatelae conservatela trai documenti storici. Si vedono due vecchi danarosi (uno americano, uno europeo) che mostrano la dentiera all’ obiettivo. Uno sventola il cappello da cow-boy come Buffalo Bill poco prima del decesso. L’ altro, essendo Gei Ar, è vestito da Gei Are ostenta il sorriso inespressivo dell’ ospite a noleggio. In mezzo ai due trionfa una giovanissima ragazza araba che per il solo talento di avere diciotto anni – talento puramente ormonale – è riuscita in pochi mesi a penetrare in quella decrepita ridotta di miliardi: e sta per espugnarla. È il nostro (meritato) destino. Una civiltà vecchia e di vecchi, seduta su una catasta di privilegi, sarà presto surclassata dalla brulicante marea dei popoli ragazzini (età media degli iraniani: vent’ anni. Età media degli italiani: 45 anni), affamati di pane e di potere, di vita e di agio. È una brutta notizia solo se la vediamo dal punto di vista, molto angusto, dei vecchi che si giocano il patrimonio per un paio di tette, e dei loro eredi che immaginiamo angustiati. Ma dal punto di vista dell’ umanità tutta intera, è una bella notizia: certifica che la vita continua, e che la Storia passa di mano.
LA REPUBBLICA del 1°aprile 2011
Il Sole 24 ore dell´altro giorno ha pubblicato un´analisi davvero impressionante del mercato televisivo italiano (dati Nielsen). In estrema sintesi: Mediaset ha perso molto pubblico (6 per cento) ma guadagnato parecchia pubblicità in più. La Rai ha perso poco pubblico (1 per cento) ma sta subendo un forte calo degli introiti pubblicitari. Anche volendo ammettere che Mediaset sia molto più abile nella vendita dei suoi spot, trovate voi se c´è un nesso tra il sedicente libero mercato e questo crudo dato. Tra il merito e i risultati. Chi ottiene meno ascolti, guadagna di più.
Se ne deduce che il potere conta più del merito. Che molti inserzionisti, quando si tratti di restringere il budget pubblicitario, non hanno dubbi: più conveniente, o più prudente, non penalizzare le televisioni del capo del Governo. Meglio mantenere buoni rapporti con chi ha il potere di legiferare, tanto più se costui, a più riprese, ha invitato i suoi colleghi imprenditori a non dare soldi alla Rai, nota azienda comunista, e di conseguenza di darli a lui: che come capo del Governo boicotta un´azienda pubblica, e come padrone di Mediaset intasca i quattrini dirottati dalle casse della Rai. Tutto questo è pazzesco? Sì, lo è. Ma ci viviamo sprofondati da vent’anni: quasi una vita.