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LA REPUBBLICA del 19 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Ho letto con disagio l´articolo-denuncia di Agnes Heller (Repubblica di ieri) sull´odiosa campagna di discriminazione e diffamazione che il governo ungherese (destra nazional-populista) ha scatenato contro gli intellettuali. Il disagio deriva dal silenzio quasi assoluto che, almeno qui in Italia, ha circondato gli atti politici e le parole del premier ungherese Viktor Orban contro giornalisti, intellettuali, artisti, filosofi, accusati (incredibile ma vero) di "liberalismo" e dunque di "antipatriottismo", nonché di abusare di fondi pubblici immeritati. In particolare quest´ultima accusa dovrebbe esserci familiare, visto che anche in Italia è in atto uno strisciante Kulturkampf (definizione della Heller) che tende a declassare il ruolo della cultura e a spregiarne la funzione critica, che è la sua funzione sociale per eccellenza. Le campagne contro il "culturame" sono un classico di tutte le destre populiste e para-fasciste. L´Ungheria è vicina, è Europa, ed è all´Europa, cioè a noi tutti, che Heller si rivolge con accorata passione. In quel paese è in atto un maccartismo in piena regola, che tende a classificare gli intellettuali a seconda del loro presunto "patriottismo", punendo e isolando i reprobi. Sarebbe bene scriverne più spesso. 

LA REPUBBLICA del 30 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Già è stato sottolineato che alla prèmiere di Berlusconi a Palazzo di Giustizia c´erano più giornalisti, fotografi e cameraman che pubblico. Pochi figuranti (un´ottantina pro-Silvio, venti contro) per una troupe così cospicua, che magari sperava di potere immortalare "dal vero" la scena finale del Caimano, con la città in fiamme mentre Lui scende ghignando i gradini del tribunale; e invece si è trovata davanti a una sparuta filodrammatica di massaie osannanti. Dev´essere per rimediare a questo fiasco mediatico che l´avvocato Ghedini ha preparato un cast di testimoni quasi strepitoso, Clooney e la Canalis, Belen senza Corona, la povera Carfagna che cerca invano di essere nominata in quanto ministro e non in quanto Carfagna. Udienze noiosissime potranno così diventare appetibili anche per il popolino televisivo, promosse a spettacolo e dunque sottratte al solito tran-tran della realtà e impacchettate per il Silvio-show. Il copione della giustizia non ha abbastanza appeal per lui, che come la Wandissima si aspetta di scendere tra due ali di boys (i suoi avvocati) e guadagnare il proscenio in un tripudio di fiori, baci, gratitudine. Peccato, solo, per quelle grigie stanze che odorano di vuote attese, di faldoni pieni di acari, di burocrazia. Ci vorrebbero uno scenografo, qualche luce burina ma allegra (basta chiedere a Mediaset), uno stacchetto musicale quando entra il testimone illustre. La Corte sarà disponibile? 

LA REPUBBLICA del 12 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Leggendo sui quotidiani che gli investimenti pubblici per la banda larga sono passati in due anni da un miliardo e trecento milioni di euro a 70 milioni di euro, giuro che ho pensato a un refuso. «Saranno 700 milioni», ho pensato, e già sarebbe stato gravemente significativo un dimezzamento dei quattrini destinati a dotare anche l´Italia di una rete Internet adeguata ai tempi. Ma no, non era un refuso. Sono proprio 70 milioni. È il gruzzolo che rimane dopo ripetuti dirottamenti di fondi statali verso il digitale terrestre, cioè verso la televisione. Indipendentemente da ogni sospetto, o illazione, o documentata notizia sui destinatari del lucroso (e obbligatorio) passaggio dall´analogico al digitale terrestre, rimane l´oggettiva volontà politica di favorire la televisione rispetto a Internet. La differenza tra i due media è evidente e risaputa: la televisione è controllabile dall´alto, specie in un Paese nel quale coincidono potere politico e potere televisivo. Internet è incontrollabile, come dimostrano le recenti insurrezioni giovanili e urbane nell´Africa del Nord, in buona parte nate e alimentate in rete. Avvantaggiare la prima e ostacolare il secondo è una scelta politica di enorme impatto sul presente e soprattutto sul futuro, così come decidere di costruire autostrade piuttosto che ferrovie. Rendiamocene conto: il potere berlusconiano sta giocando, quasi tutte assieme, le carte con le quali cerca di chiudere la sua partita. 

LA REPUBBLICA del 23 marzo 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
È una vera fortuna che la carta di giornale serva per pulire i vetri. Se rimanesse memoria di quanto andiamo scrivendo lungo gli anni, non basterebbe una seconda vita per ridare ordine e coerenza a quello che abbiamo messo nero su bianco nella prima. Prendete l´animosa Maria Giovanna Maglie, che ai tempi della guerra in Iraq fu accesa interventista, e praticamente invase di persona quel paese alla testa dell´esercito americano. Scrisse pochi anni fa (e un perfido giornalista del Corriere ha riesumato quell´articolo) che l´Iraq era «un paese infelice, piagato dalla tortura, dallo spionaggio, dalla negazione di qualunque libertà personale, e il denaro del petrolio serviva ad arricchire Saddam e la sua famiglia». Dunque era giusto schiacciare il dittatore come uno scarafaggio. Oggi, a proposito di Gheddafi, Maglie scrive su Libero: «Garantiva pace, sicurezza, buoni contratti, sicurezza negli sbarchi, era un interlocutore privilegiato e un avversario dei fondamentalisti». Dunque attaccarlo è un grave errore. Meno ferrato della Maglie, la sola differenza sostanziale che riesco a cogliere, tra Saddam e Gheddafi, è che il primo è stato attaccato da Bush, il secondo da Obama. Tanto deve bastare, allo sguardo acuto di Maglie, per stabilire quando una guerra è santa, quando una porcheria. 

LA REPUBBLICA del 13 marzo 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Leggere le cronache su alcune inchieste giudiziarie (vedi le recenti indagini sulla cosiddetta P4 e il faccendiere di Stato Bisignani) e capirci pochissimo è tutt´uno. La colpa non è dei giornalisti, che cercano di raccontare quello che riescono a sapere. Né dei giudici, che cercano di dissotterrare i reati da una spessa coltre di segreti e silenzi. La colpa (dal suo punto di vista un merito) è di un potere politico ed economico che mai come in questi anni è riuscito a rendersi imperscrutabile, opaco, fuori controllo. Riusciamo a capire solo che gli interessi, le alleanze, gli scontri che determinano molte delle scelte nevralgiche per la collettività (gli appalti, il controllo del credito, la spartizione dei profitti) agiscono in una zona d´ombra, al riparo di ogni forma di controllo istituzionale, di visibilità pubblica, insomma di democrazia. Molto potere e molti quattrini in poche mani, zero potere e pochi quattrini nelle mani di tutti gli altri. E´ sempre stato così? Forse sì. Ma in un clima politico meno rassegnato, più integro, la scoperta della P2 destò, nell´Italia di allora, uno scalpore enorme. P3, P4 e domani P5 e P6 possono contare su un vantaggio enorme: la disarticolazione della politica e la nostra rassegnazione. Due facce della stessa medaglia. 

LA REPUBBLICA del 17 febbraio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La (tostissima) avvocatessa della signorina Minetti, l’ altra sera da Lerner, ha suggerito al premier di accettare il processo e sottoporsi al giudizio. Ma è come chiedere a Berlusconi di non essere Berlusconi. Lui il giudizio, prima ancora di non sopportarlo, non lo concepisce. Il suo segreto e la sua forza, nonché ciò che lo rende insopportabile a noi e nocivo alla serenità nazionale, sta proprio in questa incapacità congenita di misurarsi con il giudizio degli altri. Che questo riveli una patologica insicurezza di fondo, è argomento che lasciamo agli psicologi. A loro le cause, a noi l’ onere di sopportarne (da vent’ anni) i sintomi: rifiuto di ogni confronto televisivo, fastidio per ogni domanda diretta, lodi sperticate a se stesso ("sono il più grande presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni": non basterebbe questa frase per capire che non sta bene?), reazioni scomposte alle critiche e soprattutto attribuzione di ogni critica all’ "invidia", di ogni inciampo a "congiure", di ogni errore agli errori altrui. Essendo il processo un contraddittorio per eccellenza, come volete che possa affrontarlo? Gli parrà persecuzione ciò che è accertamento, odio ciò che è prassi di legge, arbitrio ogni accusa. Lo vedo piuttosto in fuga ad Antigua, dove rimuginare su quanto è bravo lui, e quanto cattivi gli altri. 

 LA REPUBBLICA del 25 gennaio 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca

Pare che alla prossima "Isola dei famosi" parteciperanno la mamma di Valeria Marini, il figlio di Brigitte Nielsen, il fratello di Materazzi, la figlia di Ambrogio Fogar, la sorella di Balotelli e la nipote di Fabrizio De André. Ciascuna di queste persone merita tutto il nostro affetto, e a conoscerle meglio, avendone il tempo e soprattutto la voglia, sono sicuro che meriterebbero anche la nostra stima. Non è questo il punto.

Il punto è che, nel casuale affastellarsi di cognomi così variamente assortiti, si può leggere la definitiva potenza del Modello Televisivo: una specie di soluzione finale che azzera differenze e retaggi come neppure a Stalin, che evidentemente aveva meno mezzi, sarebbe riuscito. Perché laddove la nipote di Einstein e la cugina di Vanna Marchi (mettiamo) si ritrovassero a spartire un capanno, e a contendersi una noce di cocco, allora vuol dire che siamo davvero, e finalmente, tutti uguali e tutti iscritti alla stessa gara. Non era poi questo, esattamente questo il sogno radicale delle grandi rivoluzioni sociali? Poi resta da stabilire, ovviamente, se contendersi tutti insieme una noce di cocco mentre la Marcuzzi o Sgarbi (non so, non me ne intendo) commentano dallo studio, sia la vita ideale che avevamo sognato per la Futura Umanità. Ma questo è un altro discorso. 

LA REPUBBLICA del 24 febbraio 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Vorrei invitare a cena il 10 marzo, per suo risarcimento e per mia curiosità umana, l’unico spettatore che aveva acquistato l’unico biglietto venduto per il concerto di Mariano Apicella sul prestigioso palco degli Arcimboldi in Milano. Lo show, finanziato da anonimi filantropi che avevano affittato il teatro per 15mila euro, è stato sospeso per una ventilata "minaccia di contestazioni", più probabilmente per il non eclatante risultato della prevendita: un unico spettatore, per quanto entusiasta, non garantisce quel minimo di calore che aiuta l’artista a dare il meglio di sé.

Considerando che questi sono tempi grami per la cultura, e che la premiere di Apicella era pur sempre una premiere, credo che questo solitario e misterioso spettatore non vada abbandonato alla sua delusione. Dunque lo invito volentieri a cena, per conversare con lui di arte e di canzone, pur sapendo di espormi a un rischio non trascurabile. Il rischio è che quell’unico biglietto venduto sia stato acquistato dalla stessa persona che ha organizzato l’esordio milanese di Apicella, ha affittato il teatro, ha apprezzato e apprezza l’opera del Maestro ed era disposto ad applaudirlo, solo nel buio, fino al bis. Il rischio, insomma, è ritrovarmi a cena con Silvio Berlusconi.

LA REPUBBLICA del 3 febbraio 2011  

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
A Casoria (Italia) c’ è un piccolo museo di arte contemporanea. Il suo direttore, Antonio Manfredi, esasperato dalle intimidazioni di camorra e dai continui vandalismi, ha chiesto per iscritto "asilo politico-culturale" alla Germania, nella persona del cancelliere Merkel, specificando che il "gesto estremo, che può sembrare provocatorio, è per noi l’ ultima possibilità". A parte l’ ovvia ma fraterna solidarietà a Manfredi e al museo assediato dall’ ignoranzae dalla violenza, c’ è da chiedersi se una così inaudita notizia (un museo italiano che chiede asilo e salvezza all’ estero) avrà adeguato riscontro politico. E cioè se il ministro della Cultura Bondi e il presidente del Consiglio Berlusconi vorranno – anche per formale cortesia – dire qualcosa o addirittura fare qualcosa. Non bastasse la nuova emigrazione qualificata, diplomati, laureati e ricercatori che cercano di organizzare la fuga, sono i quadri di un museo a temere che nella cintura napoletana, per loro, non ci sia futuro. Sempre che non vogliano, quei quadrie quel museo, chiedere la benevola protezione di una delle simpatiche "famiglie" locali, magari in cambio di un paio di tele da appendere sopra la Jacuzzi. E sempre che un direttore così irriducibile non venga insignito anche lui, come Saviano, del titolo di rompicoglioni, o di "professionista dell’ antimafia".

LA REPUBBLICA del 5 febbraio 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Dunque. La Camera dei deputati del vostro e mio Paese ha votato, a maggioranza, a favore della seguente tesi: Silvio Berlusconi telefonò alla Questura di Milano perché effettivamente convinto che la minorenne marocchina ivi trattenuta fosse la nipote di Mubarak, e di conseguenza era "preoccupato di tutelare le relazioni internazionali" (sono le parole testuali dell’onorevole Maurizio Paniz, del Pdl). Le ipotesi interpretative, secondo logica, sono due e due soltanto. Prima ipotesi: 315 deputati della Repubblica hanno avallato con il loro voto questa ricostruzione perché convinti che sia vera. Ne consegue che considerano il (loro) presidente del Consiglio uno scemo totale, così sprovvisto di discernimento da poter credere che una delle signorine prezzolate conosciute a Arcore fosse la nipote di un capo di Stato, e avendolo saputo, per giunta, di averla ugualmente scritturata per i suoi festini. Secondo caso: i 315 deputati hanno sottoscritto questa esilarante storiella sapendo perfettamente che è una balla. Ma preferiscono sottoscrivere il falso piuttosto che ammettere che il (loro) presidente del Consiglio possa finire davanti ai giudici per una malinconica faccenda di prostituzione minorile. Dopo il voto vittorioso, parecchi nella maggioranza ridevano. Di che cosa è difficile dire, visto che con il loro voto hanno certificato di essere o dei sostenitori di un cretino, o dei pubblici mentitori.
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