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LA REPUBBLICA del 6 marzo 2011

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
 Nell’ asfissiante pressing che gli uomini del governo infliggono alla Rai, e alle persone che per la Rai lavorano e alla Rai portano ascolti e quattrini (Gabanelli, Santoro, Floris, Fazio, Dandini e a chi tocca tocca), c’ è un aspetto particolarmente grave e particolarmente insopportabile. Nessuno di questi censori, regolamentatori, suggeritori ha ombra di titolo professionale per dare lezioni di televisione a persone che la televisione la fanno – e bene – da una vita. Non ne sanno niente, e se discettano di un prodotto della cui natura e della cui fattura ignorano tutto, è solo in virtù di un mandato politico. Sono, di fatto, pretoriani di partito che fanno irruzione in una fabbrica pretendendo (come fa l’ onorevole Butti con la sua ridicola proposta di “alternanza dei conduttori”) di insegnare alle maestranze di quella fabbrica come si lavora. E il colmo è che accusano di “politicizzazione” (proprio loro, che senza un mandato politico in Rai non potrebbero mettere piede nemmeno come figurante) interi pezzi di palinsesto, guarda caso tra i più premiati dagli ascolti. La pura veritàè che del prodotto non gli importa un fico, e anzi (vedi il caso di “Vieniviaconme”) li rattrista un’ impennata di ascolti che, fossero davvero interessati ai destini della Rai, dovrebbe farli felici. Al di là del tentativo di controllo politico, quando li senti parlare lasciano l’ impressione di mediocri che odiano i meritevoli.

LA REPUBBLICA del 11 marzo 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca

Il reclutamento di Ferrara e (forse) Sgarbi nei palinsesti Rai è una buona notizia, perché aggiunge due voci non banali all´offerta televisiva. Chi non li sopporta (e sono in tanti) potrà rimediare con l´arma finale di ogni teleutente: cambiando canale.

Ma la buona notizia è fortemente condizionata dalle altre scelte della televisione pubblica. Se ai due nuovi ingressi dovessero corrispondere, come è nell´aria, epurazioni e soppressioni di programmi considerati «di sinistra», Ferrara e Sgarbi si troverebbero in una detestabile condizione: quella di rimpiazzi filogovernativi che vanno a maramaldeggiare su un campo di battaglia coperto dai cadaveri dei vinti. In una Rai già pesantemente berlusconizzata (i dati dell´Osservatorio di Pavia sui tigì di gennaio sono raccapriccianti) la puzza di regime sarebbe asfissiante, e definitiva. È quanto chiedono di fatto, con ottusa ferocia, giornali e giornalini di destra, catalizzatori, da anni, di un odio ideologico e perfino fisico per i cosiddetti "conduttori comunisti", in pratica tutti coloro che hanno il torto di non controfirmare le veline di governo. In un paese di sana costituzione democratica (e di davvero libero mercato) la sfida sarebbe solo sul terreno degli ascolti e dei risultati professionali. Poiché quel terreno, per i "conduttori comunisti", è stato fin qui vincente, restano, per combatterli, la delegittimazione giornalistica e il bavaglio politico.

LA REPUBBLICA del 19 marzo 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Ho letto con disagio l´articolo-denuncia di Agnes Heller (Repubblica di ieri) sull´odiosa campagna di discriminazione e diffamazione che il governo ungherese (destra nazional-populista) ha scatenato contro gli intellettuali. Il disagio deriva dal silenzio quasi assoluto che, almeno qui in Italia, ha circondato gli atti politici e le parole del premier ungherese Viktor Orban contro giornalisti, intellettuali, artisti, filosofi, accusati (incredibile ma vero) di "liberalismo" e dunque di "antipatriottismo", nonché di abusare di fondi pubblici immeritati. In particolare quest´ultima accusa dovrebbe esserci familiare, visto che anche in Italia è in atto uno strisciante Kulturkampf (definizione della Heller) che tende a declassare il ruolo della cultura e a spregiarne la funzione critica, che è la sua funzione sociale per eccellenza. Le campagne contro il "culturame" sono un classico di tutte le destre populiste e para-fasciste. L´Ungheria è vicina, è Europa, ed è all´Europa, cioè a noi tutti, che Heller si rivolge con accorata passione. In quel paese è in atto un maccartismo in piena regola, che tende a classificare gli intellettuali a seconda del loro presunto "patriottismo", punendo e isolando i reprobi. Sarebbe bene scriverne più spesso. 

LA REPUBBLICA del 30 marzo 2011 

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Già è stato sottolineato che alla prèmiere di Berlusconi a Palazzo di Giustizia c´erano più giornalisti, fotografi e cameraman che pubblico. Pochi figuranti (un´ottantina pro-Silvio, venti contro) per una troupe così cospicua, che magari sperava di potere immortalare "dal vero" la scena finale del Caimano, con la città in fiamme mentre Lui scende ghignando i gradini del tribunale; e invece si è trovata davanti a una sparuta filodrammatica di massaie osannanti. Dev´essere per rimediare a questo fiasco mediatico che l´avvocato Ghedini ha preparato un cast di testimoni quasi strepitoso, Clooney e la Canalis, Belen senza Corona, la povera Carfagna che cerca invano di essere nominata in quanto ministro e non in quanto Carfagna. Udienze noiosissime potranno così diventare appetibili anche per il popolino televisivo, promosse a spettacolo e dunque sottratte al solito tran-tran della realtà e impacchettate per il Silvio-show. Il copione della giustizia non ha abbastanza appeal per lui, che come la Wandissima si aspetta di scendere tra due ali di boys (i suoi avvocati) e guadagnare il proscenio in un tripudio di fiori, baci, gratitudine. Peccato, solo, per quelle grigie stanze che odorano di vuote attese, di faldoni pieni di acari, di burocrazia. Ci vorrebbero uno scenografo, qualche luce burina ma allegra (basta chiedere a Mediaset), uno stacchetto musicale quando entra il testimone illustre. La Corte sarà disponibile? 

LA REPUBBLICA del 16 febbraio 2011 

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Tutti i giornali, i telegiornali, i siti del mondo parlano del nostro Paese. Pochi grammi di sollievo (pensando che forse questa volta Lui non riuscirà a venirne fuori) non compensano la tonnellata di amarezza che ci grava addosso. Primi al mondo a ritrovarci con un capo del governo chiamato a giudizio per un reato che mette disagio, e per una vicenda che mette tristezza. Il sentimento di impotenza (un genere di impotenza nei confronti della quale non vale alcun viagra, alcuna alchimia) è fortissimo, perché se davvero sarà una sentenza – anche la più giusta delle sentenze – a fermare l´avventura di Silvio Berlusconi, la politica ne uscirà comunque sconfitta. E ne usciremo sconfitti noi italiani, quelli che gli hanno creduto per fede o per calcolo, quelli come noi che in vent´anni non sono stati capaci di smontare il potere delirante di un uomo solo. Il breve interludio di Prodi, la cui civile normalità viene ora rimpianta anche alla luce della madornale smodatezza del suo predecessore e successore, non vale a sanare un bilancio disastroso. Non è questione di destra e sinistra. È questione di una misura smarrita, di un´intelligenza collettiva disattivata. Non mi sento, in questo senso, meno sconfitto e meno smarrito dell´ultimo dei suoi adulatori. Guardo lo stesso incidente dalla parte opposta della strada.

LA REPUBBLICA del 13 febbraio 2011 

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La notizia, messa in circolo da alcuni blog, secondo la quale tra i pochi manifestanti del Pdl davanti a Palazzo di Giustizia ci fossero anche parecchi figuranti dei programmi Mediaset, è così verosimile che potrebbe addirittura essere vera. La sostituzione della realtà con il suo surrogato mediatico, roseo e sognante, è il vero capolavoro di Berlusconi, nonché l’essenza del suo progetto politico. E poiché un ritorno in auge della realtà (prima o poi può accadere, prima o poi accadrà) leverebbe visibilità e potere all’esercito di comparse che partecipano al kolossal "Silvio", è non solo logico, ma addirittura lecito che quell’esercito si organizzi per resistere. Non solo veline e soubrette hanno molto da perdere. Non solo la schiera di avvocati tradotti in Parlamento. Anche l’umilee vigorosa massaia che nei programmi del pomeriggio è diventata opinionista, anche le festanti tricoteuses che eleggono tronisti e se vogliono li detronizzano (ah, il potere!), e un sacco di brava gente che, grazie alla tivù commerciale e dunque grazie a Silvio, è riuscita a trasformare il classico "quarto d’ora di celebrità" di una volta in un ventennio di celebrità: perché mai dovrebbe cedere all’odioso arbitrio della realtà, e di giudici che neanche hanno partecipato a "Forum"? 

LA REPUBBLICA del 13 marzo 2011

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Leggere le cronache su alcune inchieste giudiziarie (vedi le recenti indagini sulla cosiddetta P4 e il faccendiere di Stato Bisignani) e capirci pochissimo è tutt´uno. La colpa non è dei giornalisti, che cercano di raccontare quello che riescono a sapere. Né dei giudici, che cercano di dissotterrare i reati da una spessa coltre di segreti e silenzi. La colpa (dal suo punto di vista un merito) è di un potere politico ed economico che mai come in questi anni è riuscito a rendersi imperscrutabile, opaco, fuori controllo. Riusciamo a capire solo che gli interessi, le alleanze, gli scontri che determinano molte delle scelte nevralgiche per la collettività (gli appalti, il controllo del credito, la spartizione dei profitti) agiscono in una zona d´ombra, al riparo di ogni forma di controllo istituzionale, di visibilità pubblica, insomma di democrazia. Molto potere e molti quattrini in poche mani, zero potere e pochi quattrini nelle mani di tutti gli altri. E´ sempre stato così? Forse sì. Ma in un clima politico meno rassegnato, più integro, la scoperta della P2 destò, nell´Italia di allora, uno scalpore enorme. P3, P4 e domani P5 e P6 possono contare su un vantaggio enorme: la disarticolazione della politica e la nostra rassegnazione. Due facce della stessa medaglia. 

LA REPUBBLICA del 17 febbraio 2011 

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La (tostissima) avvocatessa della signorina Minetti, l’ altra sera da Lerner, ha suggerito al premier di accettare il processo e sottoporsi al giudizio. Ma è come chiedere a Berlusconi di non essere Berlusconi. Lui il giudizio, prima ancora di non sopportarlo, non lo concepisce. Il suo segreto e la sua forza, nonché ciò che lo rende insopportabile a noi e nocivo alla serenità nazionale, sta proprio in questa incapacità congenita di misurarsi con il giudizio degli altri. Che questo riveli una patologica insicurezza di fondo, è argomento che lasciamo agli psicologi. A loro le cause, a noi l’ onere di sopportarne (da vent’ anni) i sintomi: rifiuto di ogni confronto televisivo, fastidio per ogni domanda diretta, lodi sperticate a se stesso ("sono il più grande presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni": non basterebbe questa frase per capire che non sta bene?), reazioni scomposte alle critiche e soprattutto attribuzione di ogni critica all’ "invidia", di ogni inciampo a "congiure", di ogni errore agli errori altrui. Essendo il processo un contraddittorio per eccellenza, come volete che possa affrontarlo? Gli parrà persecuzione ciò che è accertamento, odio ciò che è prassi di legge, arbitrio ogni accusa. Lo vedo piuttosto in fuga ad Antigua, dove rimuginare su quanto è bravo lui, e quanto cattivi gli altri. 

 LA REPUBBLICA del 25 gennaio 2011

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Pare che alla prossima "Isola dei famosi" parteciperanno la mamma di Valeria Marini, il figlio di Brigitte Nielsen, il fratello di Materazzi, la figlia di Ambrogio Fogar, la sorella di Balotelli e la nipote di Fabrizio De André. Ciascuna di queste persone merita tutto il nostro affetto, e a conoscerle meglio, avendone il tempo e soprattutto la voglia, sono sicuro che meriterebbero anche la nostra stima. Non è questo il punto.

Il punto è che, nel casuale affastellarsi di cognomi così variamente assortiti, si può leggere la definitiva potenza del Modello Televisivo: una specie di soluzione finale che azzera differenze e retaggi come neppure a Stalin, che evidentemente aveva meno mezzi, sarebbe riuscito. Perché laddove la nipote di Einstein e la cugina di Vanna Marchi (mettiamo) si ritrovassero a spartire un capanno, e a contendersi una noce di cocco, allora vuol dire che siamo davvero, e finalmente, tutti uguali e tutti iscritti alla stessa gara. Non era poi questo, esattamente questo il sogno radicale delle grandi rivoluzioni sociali? Poi resta da stabilire, ovviamente, se contendersi tutti insieme una noce di cocco mentre la Marcuzzi o Sgarbi (non so, non me ne intendo) commentano dallo studio, sia la vita ideale che avevamo sognato per la Futura Umanità. Ma questo è un altro discorso. 

LA REPUBBLICA del 24 febbraio 2011

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Vorrei invitare a cena il 10 marzo, per suo risarcimento e per mia curiosità umana, l’unico spettatore che aveva acquistato l’unico biglietto venduto per il concerto di Mariano Apicella sul prestigioso palco degli Arcimboldi in Milano. Lo show, finanziato da anonimi filantropi che avevano affittato il teatro per 15mila euro, è stato sospeso per una ventilata "minaccia di contestazioni", più probabilmente per il non eclatante risultato della prevendita: un unico spettatore, per quanto entusiasta, non garantisce quel minimo di calore che aiuta l’artista a dare il meglio di sé.

Considerando che questi sono tempi grami per la cultura, e che la premiere di Apicella era pur sempre una premiere, credo che questo solitario e misterioso spettatore non vada abbandonato alla sua delusione. Dunque lo invito volentieri a cena, per conversare con lui di arte e di canzone, pur sapendo di espormi a un rischio non trascurabile. Il rischio è che quell’unico biglietto venduto sia stato acquistato dalla stessa persona che ha organizzato l’esordio milanese di Apicella, ha affittato il teatro, ha apprezzato e apprezza l’opera del Maestro ed era disposto ad applaudirlo, solo nel buio, fino al bis. Il rischio, insomma, è ritrovarmi a cena con Silvio Berlusconi.

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