LA REPUBBLICA del 26 luglio 2012
Che i quaranta milioni di “prestito infruttuoso” versati da Berlusconi a Dell’Utri siano frutto di ricatto o di semplice benevolenza, è certamente cosa della massima importanza per la Procura di Palermo. Ma a me, e spero a qualche altro patetico moralista, la cifra pare oscena a prescindere. Non solo un operaio, neanche un professionista di successo si mette in tasca, in una intera vita, una cifra così smisuratamente superiore al valore del lavoro umano. No, il denaro non è lo sterco del demonio; ma è la misura del lavoro, del sudore e del talento, di quanto ognuno di noi sa e può fare per rendersi utile alla società. Perfino la munifica paga corrisposta alle ragazzuole di corte ha una qualche attinenza col lavoro, specialmente con il sudore. Ma quaranta milioni a un senatore della Repubblica, già lautamente stipendiato, già comodamente sistemato nei piani alti della società, come si giustificano? Quaranta milioni di “prestito infruttuoso”, se anche dovessero corrispondere a una regalia volontaria, sono la bestemmia di due asociali contro gli umili e gli onesti, ovviamente compresi gli sciagurati umili e i malaccorti onesti che hanno dato il loro voto a gente di questa risma.
LA REPUBBLICA del 6 settembre 2012
Sono uno dei (tanti) tifosi di Alessandro Del Piero, è un uomo intelligente e sereno, non credo che Andrea Agnelli abbia l’esatta misura di quello che la sua Juventus ha perduto congedando, con Del Piero, un pezzo di se stessa. Ora se ne va in Australia, e solamente lui può dire se a tracciare una rotta così lunga, e così insolita per un calciatore, sia un contratto irresistibile, lo spirito migrante dei veneti o il desiderio di trovare, per i suoi tre figli, un luogo dove il futuro ha qualche consistenza in più, rispetto al nostro ansimante sopravvivere. Certo è che dire “Del Piero a Sidney” è un piccolo indizio in più per valutare le nostre ristrettezze, forse anche le nostre decrepitezze. Non siamo un paese per giovani (meglio, potendo, fare studiare i figli altrove) ma neanche per vecchi, visto che un campione di trentotto anni (appena uno in più di Matteo Renzi) pur essendo una celebrità planetaria è stato messo in esubero dalla sua società come un qualunque dipendente non previsto dai piani aziendali. Lo scontro generazionale è dunque un falso storico: quando un paese perde voglia di fare, di cambiare e di inventare, non c’è età che regga il colpo, e ci si deprime tutti assieme, i vecchi e i giovani.
LA REPUBBLICA del 1 agosto 2012
Basta avere perso la suocera per considerarsi a pieno titolo parente delle vittime di una strage? Sembra Achille Campanile, puro umorismo nero, è invece la cronaca politica di questo pazzesco Paese, nel quale uno dei condannati per la strage di Bologna (il serial killer Giuseppe Valerio Fioravanti) e un deputato di destra non convinto della sentenza (Raisi) accusano il presidente dell’Associazione delle vittime di non essere legittimato a quel ruolo perché in quella mattanza ha perduto solamente la suocera… Ridere e piangere per la stessa notizia è cosa che capita sempre più spesso. Non sai se siano la vergogna o il ridicolo, l’ira o l’ilarità a garantire il miglior esito ai tuoi sentimenti. Nel dubbio, preferendo non fare domande a Fioravanti, è al deputato Raisi che chiediamo di chiarire meglio la sua posizione stilando una graduatoria che consenta ai parenti delle vittime di tutte le stragi di legittimarsi. È sufficiente perdere la moglie? Un figlio può bastare? E quanti punti in meno valgono, secondo Raisi, un cognato, un cugino? E un partner molto amato, ma non sposato regolarmente, vale, quanto a gravità del lutto, come un coniuge regolare, o la Chiesa metterebbe il veto?
LA REPUBBLICA del 2 agosto 2012
Il nuotatore Magnini, molto seccato per gli insulti e le beffe che gli utenti di Twitter hanno dedicato al suo flop olimpico, ha annunciato di non voler avere più niente a che fare con quel social network “pieno di gente cattiva”. Gli esperti spiegano sempre ai profani (come me) che non è il web a essere “pieno di gente cattiva”, è il mondo, del quale il web è solo il fedele riflesso. C’è però una sostanziale differenza: il rumore del mondo è – come dire – facoltativo, per non sentirlo basta chiudere le finestre, o andare a camminare in montagna, o navigare a debita distanza dalle coste. L’ingresso nella loquacissima comunità di Twitter è invece volontario, in quella folla ci si va a ficcare, se ne desidera la presenza. Si suppone che Magnini, campione celebratissimo, abbia iniziato a twittare quando gli applausi erano unanimi, e a lui faceva piacere ascoltarli un po’ più da vicino. Doveva aspettarsi, però, che alla prima sconfitta, come ogni folla che si rispetti, anche quella twittante avrebbe mutato l’ammirazione in dileggio, e la sua caduta in motivo di esultanza. Il web abbonda di tricoteuses. Magnini, che non è un ragazzino, poteva aspettarselo, e piuttosto che uscire sbattendo la porta, neanche aprirla, quella porta.
LA REPUBBLICA del 27 luglio 2012
Da ieri a Milano si torna a circolare liberamente in automobile nelle strette vie del centro. La diminuzione del traffico, degli incidenti e del tasso di veleni nell’aria sono stati un successo, ma il vero successo l’ha ottenuto Mediolanum Parking, un parcheggio privato in Corsia dei Servi, che ha ottenuto dal Consiglio di Stato l’annullamento del provvedimento della giunta Pisapia. Motivo: gli interessi di Mediolanum Parking sono stati lesi dalla diminuzione del traffico. Prendo alla lettera la sentenza del Consiglio di Stato, dalla quale si apprende che gli interessi di un privato sono la stella polare che deve tracciare il cammino. Considero che il mio privato interesse di abitante di Milano sia gravemente leso dalla riapertura di Area C, e dunque da Mediolanum Parking. Invito chiunque si consideri personalmente danneggiato dalla riapertura indiscriminata al traffico, a non parcheggiare mai più a Mediolanum Parking, boicottando chi boicotta la lotta all’inquinamento e ostacola la battaglia in favore dei mezzi pubblici. Se dev’essere una guerra tra interessi privati, a decidere il futuro di Milano e non solo, non è giusto che a combatterla sia solamente la lobby dei parcheggi.
LA REPUBBLICA del 7 settembre 2012
Il codazzo di fotografi, cameramen e cronisti che fa da scorta a Nicole Minetti costituisce, in sé, una delle prove più schiaccianti della mancanza di dignità e di libertà del sistema mediatico così come ci illudiamo di gestirlo e così come lo stiamo subendo, per metà impotenti e per metà complici. Non c’è persona di buon senso, di qualunque orientamento ideologico e livello culturale, che non ritenga futile e dannoso dedicare tempo, tecnologia, parole e pensieri a una figuretta minore della nostra scena pubblica che è stata, a suo tempo, co-protagonista di uno scandalo di regime e oggi è protagonista di niente. Con la sola e spiegabile eccezione della stessa signorina Minetti, nessuno ha interesse a tenere acceso anche un solo riflettore su di lei. Se questo avviene è solo perché il potere (anzi: il dovere) di scegliere che cosa mostrare, di che cosa parlare è progressivamente venuto meno fino a scomparire dentro l’alibi – davvero ignobile – che bisogna “dare alla gente quello che vuole”: ma la gente legge e clicca ciò che le viene offerto, non altro. Non è la gente che fabbrica le notizie, sono i media. Anche il più scalcinato dei bancarellai ha facoltà di decidere quali merci esporre. I media sono gli unici commercianti che danno sempre al cliente la colpa della loro merce avariata.
LA REPUBBLICA del 22 settembre 2012
Le tifoserie ultras sono entrate a fare parte quasi istituzionalmente della gestione del calcio italiano. Impartiscono punizioni (vedi il giustamente celebre sequestro delle maglie dei giocatori del Genoa), orientano le campagne acquisti (alcune tifoserie non gradiscono giocatori “negri”) e ieri, a Milanello, una loro delegazione è stata ufficialmente ricevuta dallo staff tecnico della squadra di proprietà dell’uomo più ricco d’Italia per discutere “come uscire dalla crisi”. Una lettura (molto) ottimista potrebbe far pensare a una pagina particolarmente intensa delle insorgenze anti-casta, con il popolo che intende fare piazza pulita e sbrigare in proprio l’esercizio del potere. Si devono però onorare le drastiche regole di salute pubblica invocate dalle piazze in rivolta. Per esempio, ci sono capi-curva ormai incanutiti e con le tonsille logore, avendo cominciato a urlare “siete delle merde” alla curva opposta quando governava Andreotti. Non va bene. Due mandati al massimo, dunque due campionati, poi si lascia il posto a energumeni più giovani. E poi, ovviamente: i rappresentanti del popolo devono essere incensurati! Misura che, da sola, basterebbe a dimezzare il numero dei capi ultras e dunque a ridurre di molto le spese di trasferta.
LA REPUBBLICA del 11 settembre 2012
In tempi non allegri, devo ringraziare la cantante Rihanna per avermi regalato un istante di buonumore. Aggirandomi svogliato tra le notizie on-line, settore minutaglie, nel tentativo di scampare al cupore della giornata politica, vedo un titolino che annuncia “il nuovo tatuaggio hot di Rihanna”. Accompagna un’immagine molto strana: il tatuaggio (la dea Iside, roba forte) sembrerebbe impresso su un arrosto di lonza, o su una confezione di petti di tacchino, comunque su una massa carnosa irriconoscibile a prima vista. Dovendo trattarsi della stessa Rihanna, chiedo aiuto alle persone che mi circondano. Nasce dibattito. “Sono le chiappe”, “no, è l’interno delle cosce”, fino a un inverosimile “forse è un’ascella”. Solo ingrandendo l’immagine, e dopo una minuziosa analisi anatomica, si capisce che la vecchia Iside è sistemata subito sotto il seno, parzialmente coperto da un avambraccio. Spiega la dida che Rihanna ha postato essa stessa l’immaginetta su Twitter. Con tutto il rispetto per l’ammirevole orizzontalità del web, se i risultati sono così modesti, e diciamo poco espressivi, ridateci il buon vecchio eros a pagamento: fatto, voglio dire, da fotografi professionisti in appositi studi e con le luci giuste. Costa? Sì. Ma il gratuito è la porta del brutto, e il brutto è la porta del Male.
LA REPUBBLICA del 25 luglio 2012
La legge quadro per la difesa dei suoli agricoli e contro la folle cementificazione del territorio italiano (presentata dal ministro per l’Agricoltura Catania) è così importante, così giusta, così necessaria che difficilmente riuscirà a trovare applicazione. Lo so, sono pessimista, e di fronte alle cose giuste bisognerebbe sempre fare festa. Ma è davvero troppo tempo, nel nostro Paese, che la categoria del “giusto” è trascurata e negletta, resa sinonimo di “impossibile” dal cinismo e dalla mediocrità imperanti. Mi perdonerà Carlo Petrini, tra i pochi a usare la parola “giusto” come se avesse un peso politico, e per questo trattato da utopista o da minoritario da politici spocchiosi e ciechi. Ma io non ci credo, che un ministro per giunta “tecnico”, per giunta a termine, possa avere la meglio contro l’orda famelica degli speculatori, i lobbisti del cemento, l’ignoranza crassa della maggior parte di una classe politica che di territorio, di difesa dei suoli, di agricoltura ignora tutto o quasi, salvo andare a stringere la mano ai sopravvissuti quando frane e alluvioni squassano i nostri crinali abbandonati e i nostri fondovalle depredati. Mi auguro, con tutto il cuore, di avere torto. E che una cosa giusta, solo perché è giusta, possa accadere, possa vincere.
LA REPUBBLICA del 3 agosto 2012
Parafrasando un vecchio e beffardo slogan del femminismo: il centrosinistra senza Di Pietro è come un pesce senza la bicicletta. Non c’è neanche bisogno di rivangare la sciagurata elezione in Parlamento di Scilipoti, De Gregorio e Razzi, tutti in quota all’Idv prima di animare, ciascuno a modo suo, sgangherate avventure di sottopotere. Anche se la sua conduzione del partito fosse stata impeccabile, Tonino Di Pietro rimarrebbe un populista di destra, e se il suo distacco dal centrosinistra diventasse definitivo ci troveremmo semplicemente di fronte alla fine di un lungo equivoco. Meno semplice è capire che fine faranno i suoi non pochi elettori, molti dei quali profondamente convinti di essere di sinistra, anzi: molto più di sinistra di Bersani e di Vendola. Difficile che si accontentino della sinistra così com’è, piena di limiti e incertezze e soprattutto storicamente legata a un lealismo repubblicano che diffida molto dei facili bollori anti-sistema. Seguiranno Tonino nei territori incerti di un’opposizione “né di destra né di sinistra”, già ben presidiato dalle Cinque Stelle? Preferiranno, già che ci sono, Grillo? Si asterranno? Cercheranno nella destra radicale nuovi appigli contro le detestata Casta? Non è facile, per i duri e puri, trovare un partito alla loro altezza.